Nullità del matrimonio concordatario tra ordine pubblico e vizi genetici del vincolo
07 Novembre 2022
Massima
La convivenza “come coniugi”, pur essendo elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, e pur integrando una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, non è ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per vizi genetici del “matrimonio-atto” presidiati da nullità anche nell'ordinamento italiano; in particolare non è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica che accerti la nullità del matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge dovuto a dolo di questi, poiché una tale nullità non è sanabile, nell'ordinamento italiano, dalla protrazione della convivenza prima della scoperta del vizio. Il caso
Tizio chiede la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto con Caia la quale ha dolosamente taciuto di essere affetta da amenorrea, condizione che le impedisce di procreare.
La Corte d'appello di Firenze respinge la domanda, ritenendo ostativa alla delibazione lastabilità e rilevanza della situazione giuridica riferibile al rapporto matrimoniale protrattosi per oltre cinque anni (dieci anni, considerando anche la fase pre-matrimoniale) e giudicando strumentale l'istanza di Tizio poiché il giudizio ecclesiastico è stato introdotto, da quest'ultimo, subito dopo la presentazione del ricorso per separazione da parte della moglie.Richiamando un arresto della Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 16379/2014), i giudici rilevano, nel caso di specie, una ipotesi di contrasto tra la decisione canonica e l'ordine pubblico italiano per non avere considerato (il tribunale ecclesiastico) il valore del rapporto matrimoniale in sé (matrimonio-rapporto), favorendo soltanto il rilievo di vizi genetici che incidono sul matrimonio-atto.
Tizio affida il ricorso per Cassazione a due motivi: a) Violazione e falsa applicazione della L. n. 121/1985 art. 8, art. 122 c.c. comma 2, art. 7 Cost., atteso che la sentenza si basa sull'esistenza di requisiti di annullamento previsti anche dall'ordinamento nazionale (art. 122 c.c.) che legittimano l'azione di impugnativa entro un anno dalla scoperta, senza che vi sia alcun riferimento al matrimonio-rapporto. Pertanto, la pronuncia ecclesiastica sarebbe del tutto conforme all'ordine pubblico. b) Avrebbe errato il giudice della Corte d'appello nel riesaminare il merito delle decisioni assunte nella sentenza da delibare, in violazione e falsa applicazione del punto 4, lett. B), n. 3 del protocollo addizionale dell'accordo ratificato con la L. n. 121/1985.
La Cassazione, ritenendo fondati i suddetti motivi, cassa la sentenza impugnata e rimanda alla Corte d'appello anche sulla questione delle spese di giudizio. La questione
La convivenza protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, in quanto situazione giuridica di ordine pubblico, è sempre ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità del matrimonio, pronunciata dal tribunale ecclesiastico, per qualsiasi vizio genetico accertato e dichiarato dal giudice? Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, la Cassazione chiarisce l'irrilevanza - nel caso di specie - del periodo di convivenza pre-matrimoniale e definisce eccentriche e fuori tema, rispetto all'oggetto del giudizio, le considerazioni della Corte d'appello circa la natura strumentale della domanda di nullità del matrimonio, proposta dall'attore dopo l'istanza di separazione formulata dalla moglie. Sul punto, gli Ermellini evidenziano come al giudice della delibazione non competa il riesame della questione nel merito, già analizzata dal tribunale competente (ecclesiastico). Parimenti, al giudice italiano non è consentito respingere la domanda di exequatur (ovvero di riconoscimento dell'efficacia della sentenza civile straniera) fornendo una diversa interpretazione delle risultanze processuali (Cass. n. 24967/2013).
Ciò premesso, la Cassazione rileva come la pronuncia a Sezioni Unite (n. 16379/14), sulla quale la Corte d'appello di Firenze ha fondato il rigetto della delibazione, in virtù della convivenza matrimoniale protrattasi per più di tre anni, sia stata interpretata in maniera non corretta e senza considerare la fattispecie dalla qualetale pronuncia si è originata.Ebbene, il caso riguardava la riserva di uno dei coniugi circa il carattere indissolubile del matrimonio e, dunque, un'ipotesi di nullità del matrimonio contemplata solo nel diritto canonico, non anche nel nostro ordinamento, a fronte di una convivenza coniugale di lunga durata, protrattasi per lungo tempo anche dopo la scoperta della causa invalidante.
Il matrimonio-rapporto, per le Sezioni Unite, concretizza una situazione di ordine pubblico che trova inderogabile tutela nei principi supremi di sovranità e laicità dello Stato e che osta alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità, pronunciata dal tribunale ecclesiastico, “per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto”. Ai fini dell'applicazione del suddetto limite, il giudice della delibazione deve ritenere irrilevante il vizio genetico del matrimonio, accertato e dichiarato nell'ordinamento canonico, qualora sussista l'elemento essenziale della convivenza coniugale, successiva al matrimonio concordatario regolarmente trascritto e protrattasi per almeno tre anni, quale limite generale di ordine pubblico italiano.
Esistono, tuttavia, vizi genetici del matrimonio-atto che rilevano anche nel nostro ordinamento interno (es. artt. 86 e 87 c.c.) oltre che nel diritto canonico.
Affermare che qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto debba soccombere in favore del criterio della durata del matrimonio (matrimonio-rapporto), porterebbe al paradosso di non riconoscere quei vizi genetici ritenuti rilevanti anche nel nostro ordinamento giuridico (es. matrimonio del bigamo o dell'incestuoso) ove vi sia stata una convivenza “come coniugi” per più di tre anni.
L'interpretazione fornita dalla Corte d'appello di Firenze, pertanto, appare totalizzante e non condivisibile, tanto da necessitare di una lettura più coerentemente restrittiva della espressione “per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto”.
E dunque, osserva la Corte nel caso esaminato, la convivenza dopo il matrimonio, prolungata per più di tre anni, non può costituire in sé un limite generale per la delibazione della sentenza ecclesiastica che abbia accertato un'ipotesi di nullità del matrimonio prevista, come tale, anche dall'ordinamento italiano, senza termini di decadenza o fattispecie di sanatoria.
La durata del matrimonio, in sostanza, non può essere considerata sempre e comunque un limite di ordine pubblico ostativo alla nullità del matrimonio inficiato da vizi previsti dall'ordinamento italiano.
L'errore in cui, nel caso di specie, è incappato il marito (indotto dalla moglie ad ignorare che la stessa non fosse abile a procreare) è un errore sulle qualità personali della consorte che non può soccombere in favore della durata del matrimonio poiché incide su un aspetto essenziale della vita matrimoniale.
La sterilità taciuta (dolosamente) è una condizione che, anche per l'ordinamento italiano, determina la nullità del matrimonio sul presupposto dell'essenzialità dell'errore in base alla sensibilità dell'altro coniuge.
A nulla rileva, dunque, in questo caso, la durata del matrimonio-rapporto, considerando che l'art. 122 c.c. pone, semmai, come impeditivo alla delibazione, il decorso del termine di un anno di coabitazione dalla cessazione della causa di invalidità o dalla scoperta dell'errore.
Pertanto, la Corte fiorentina, che a torto ha negato la delibazione della sentenza invocando le S.U., dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto:
“La convivenza come coniugi, pur essendo elemento essenziale del “matrimonio-rapporto” ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, e pur integrando una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, non è ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per vizi genetici del “matrimonio-atto” presidiati da nullità anche nell'ordinamento italiano; in particolare non è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica che accerti la nullità del matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge dovuto a dolo di questi, poiché una tale nullità non è sanabile, nell'ordinamento italiano, dalla protrazione della convivenza prima della scoperta del vizi”. Osservazioni
Al fine di comprendere meglio il significato della pronuncia esaminata, appare opportuno contestualizzala nel quadro normativo di riferimento.
Nel nostro ordinamento giuridico manca una definizione specifica dell'istituto del matrimonio (Titolo VI libro I codice civile) desumibile dalle disposizioni di legge come vincolo che unisce due soggetti, attribuendo loro uno status giuridico al quale sono collegati diritti e doveri, l'assunzione di responsabilità personalissime ed aspettative legittime dei componenti della famiglia. Il matrimonio, pertanto, assume un doppio significato in quanto rapporto giuridico, che pone in relazione le sfere personali e patrimoniali dei coniugi, ed in quanto atto, come espressione della volontà, formalmente esplicitata dinanzi ad un pubblico ufficiale, di contrarre matrimonio.
Il matrimonio può essere celebrato civilmente, secondo i dettami codicistici che ne delineano presupposti, forma ed effetti, oppure, dinanzi ad un Ministro del culto cattolico (matrimonio cd. 'concordatario'), nel qual caso il matrimonio canonico produce effetti nel nostro ordinamento in quanto trascritto nei registri dello stato civile, in virtù degli Accordi di Villa Madama, del 1984, intercorsi tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, resi esecutivi con la legge di ratifica n. 121/1985, in modifica del Concordato del 1929.
Tra le cause di nullità del matrimonio, secondo il nostro ordinamento, rilevano l'inosservanza delle regole inerenti alla celebrazione (artt. 106 - 114 c.c.), la mancanza delle condizioni per contrarre matrimonio e i vizi del consenso, ovvero, quei vizi che riguardano la formazione e il contenuto dell'atto inficiando la volontà di uno dei coniugi che non viene manifestata in modo libero e autonomo (art. 122 violenza, timore, errore).
Tra le cause di nullità del matrimonio concordatario, oltre ai vizi che si verificano nella formazione del consenso prestato al momento delle nozze da uno o da entrambi i coniugi, sono previste ragioni di carattere spirituale, ovvero, la mancata adesione agli impegni matrimoniali - quali bonum sacramenti (indissolubilità del vincolo coniugale), bonum prolis (apertura alla nascita di figli), bonum fidei (accettazione del vincolo esclusivo di fedeltà all'altro coniuge) - o l'incapacità psicologica di effettuare una vera scelta coniugale ed adempiere agli obblighi sopra indicati (canone 1095 codice di diritto canonico).
La nullità del matrimonio concordatario viene pronunciata dal tribunale ecclesiastico, secondo i dettami del diritto canonico, pertanto, in quanto provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria straniera, la relativa sentenza necessita di essere delibata, ovvero, sottoposta ad una procedura (dinanzi alla Corte d'Appello italiana territorialmente competente) che accerti determinati requisiti del procedimento che vi ha dato origine.
La funzione del giudice italiano è quella di controllare che la sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico sia stata emessa all'esito di una procedura che abbia rispettato il principio del contraddittorio, che sia passata in giudicato, che non sia contraria ad un'altra pronuncia valida nel nostro ordinamento e che non sia contraria all'ordine pubblico.
La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario produce effetti sin dall'origine della celebrazione, travolgendo ab origine tutto il vissuto della coppia e del nucleo familiare costituitosi ed inficiando tutti i rapporti giuridici sorti durante il vincolo, compresi i diritti patrimoniali acquisiti fin dal giorno della sua celebrazione (fatti salvi gli eventuali rapporti di filiazione e gli obblighi giuridici che ne derivano).
Diversamente da quanto accade con il divorzio - nel quale alla disgregazione del nucleo familiare, sussistendone i presupposti, sono collegate statuizioni economiche post-matrimoniali - la nullità del matrimonio comporta per i coniugi la perdita di qualsiasi reciproca pretesa economica, in termini di contributo al mantenimento e di aspettative successorie, come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato (tamquam non esset).
E ciò, senza che vi sia un limite di tempo, diversamente da quanto accade nell'ordinamento civile italiano in cui l'azione di nullità può essere esercitata entro un anno dalla scoperta del vizio.
In questo quadro di riferimento, l'arresto delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 16379/2014) è apparso dirimente rispetto al contrasto giurisprudenziale, sorto in seno alla I sezione civile della Cassazione, sulla possibilità di riconoscere l'efficacia della sentenza di nullità del matrimonio canonico di lunga durata, protrattosi per lungo tempo dopo il verificarsi (o dopo la scoperta) della causa invalidante.
Da un lato, infatti, la Cassazione si era già espressa a Sezioni Unite nel 2008 (con la pronuncia n. 19809) affermando che “l'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali, con la conseguenza che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti alla coscienza, sono rilevanti per l'ordinamento canonico, non hanno di regola significato per l'annullamento in sede civile” e considerando la convivenza matrimoniale come espressione di una volontà di accettare il rapporto, incompatibile con l'azione volta a mettere in discussione il matrimonio.
Da qui, a seguire, si era consolidato un certo filone giurisprudenziale che, dando rilievo alla convivenza coniugale, contrastava il fenomeno dell'annullamento di matrimoni di lunga durata (anche pluridecennali) su ragioni prettamente spirituali, non riconosciute dall'ordinamento italiano, affermando che “la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge” (Cass. n. 1343/2011 e Cass n. 9844/2012).
Dall'altro lato, però, non erano mancate pronunce difformi secondo le quali la perdurante convivenza tra i coniugi (protrattasi addirittura per oltre trent'anni) non era da considerarsi, sotto il profilo dell'ordine pubblico interno, ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico, in quanto non “espressiva delle norme fondamentali che disciplinano l'istituto del matrimonio” e, dunque, risultava irrilevante (Cass. n. 8926/2012).
A fronte del suddetto contrasto ed a chiarimento della annosa questione, gli Ermellini nel 2014 sono intervenuti nuovamente in favore del primo orientamento, ribadendo l'importanza della “convivenza coniugale” nell'ambito del matrimonio non solo secondo il sistema normativo e costituzionale interno (artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost.), ma anche in linea con l'assetto legislativo, sia internazionale che europeo (v. art. 8Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà̀ fondamentali, art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
La convivenza è elemento essenziale del matrimonio-rapporto che “si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari”(Cass. S.U. n. 16379/2014 e Cass. n. 10923/2014).
Ebbene, così intesa, la convivenza matrimoniale protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio "concordatario" regolarmente trascritto - anche in applicazione dell'art. 7 Cost. e del principio supremo di laicità dello Stato -integra una situazione di ordine pubblico che impedisce, sul territorio italiano, la dichiarazione di efficacia di nullità del matrimonio pronunciata dai tribunali ecclesiastici, perqualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'ordine canonico.
In tal modo, la Cassazione ha dettato un limite preciso, non consentendo che matrimoni di lunga durata (anche ultraventennali) possano essere annullati ricorrendo a riserve mentali e vizi non riconosciuti nel nostro ordinamento, ma solo in quello canonico, con conseguenze importanti sul piano della perdita di quello status giuridico (diritti e doveri) acquisito durante un percorso di vita insieme, nel quale, peraltro, il protrarsi della convivenza per lungo tempo abbia espresso, anche implicitamente, la volontà di accettare e riconoscere il rapporto.
Ciò non comporta, tuttavia, che la lunga durata del matrimonio sia sempre ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto, essendo necessario verificare, piuttosto, se il predetto vizio sia previsto nell'ordinamento italiano.
Senza contraddire quanto affermato dalle Sezioni Unite, ma anzi richiamandone il principio di diritto, la Corte, con la pronuncia qui esaminata, ha messo in luce la necessità di operare un distinguo fondamentale sul tipo di vizio che inficia il vincolo.
L'errore essenziale sulle qualità dell'altro coniuge, per esempio, è una condizione presidiata da nullità anche nel nostro ordinamento interno (art. 122 c.c. commi 2 e 3), non solo nel diritto canonico, e non sanabile dal protrarsi della convivenza prima della scoperta del vizio, in quanto impeditiva dello svolgimento della vita coniugale in un aspetto essenziale secondo quanto conforme alla sensibilità del coniuge.
In tale caso, la durata del matrimonio è del tutto irrilevante atteso che neppure il Codice civile la prevede come sanatoria ponendo, semmai, come ostativo alla dichiarazione di annullamento, il decorso del termine di un anno di coabitazione dalla cessazione della causa di invalidità, ovvero, di un anno dalla scoperta dell'errore. |