Violazione del principio del “Ne bis in idem”: richiesta di estradizione e giudicato transnazionale

Valentina Pirozzi
09 Novembre 2022

Per la CGUE il principio del ne bis in idem osta alla estradizione da parte delle autorità di uno Stato membro, di un cittadino di uno Stato terzo verso un altro Stato terzo quando, da un lato, tale cittadino sia stato condannato in via definitiva in un altro Stato membro per gli stessi fatti di cui alla domanda di estradizione e abbia scontato la sentenza pronunciata e, dall'altro lato, la richiesta di estradizione sia basata su un trattato di estradizione bilaterale che limita la portata del principio del ne bis in idem alle sentenze pronunciate nello Stato membro richiesto.

Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in Grande Sezione, è intervenuta sulla domanda pregiudiziale proposta dal Tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera (Germania) vertente sull'interpretazione del principio del ne bis in idem quale ostativo all'arresto, nello spazio Schengen e nell'Unione europea, di una persona interessata da un avviso dell'Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol).

Nel caso di specie, l'Interpol aveva emesso, su richiesta degli Stati Uniti, un “avviso rosso” a carico di un cittadino tedesco, ai fini della sua eventuale estradizione. Le autorità statunitensi sostenevano che la persona interessata avesse preso parte ad organizzazioni corrotte influenzate dal racket e finalizzate a commettere frodi bancarie e frodi per mezzo di telecomunicazioni.

Tuttavia, l'Alta Corte Regionale di Monaco, chiamata a pronunziarsi sulla richiesta di estradizione, ha opinato che l'interessato fosse già stato condannato per i medesimi fatti con sentenza passata in giudicato in un altro Stato membro, ossia la Slovenia, e che avesse già scontato integralmente la pena ivi pronunciata.

Alla luce dei fatti esposti, la Corte rimettente decideva allora di interrogare la Corte di Lussemburgo sull'applicazione del principio del ne bis in idem (previsto dall' articolo 54 della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen in combinato disposto con l'articolo 50 dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) e, più precisamente, sulla eventuale preclusione, alla luce del principio in parola, della esecuzione della richiesta di estradizione.

Il dubbio discendeva dal fatto che gli accordi bilaterali tra la Repubblica federale di Germania e gli Stati Uniti d'America prevedono l'applicazione del principio ne bis in idem nella sola ipotesi in cui l'imputato viene giudicato con sentenza definitiva dalle autorità competenti dallo Stato richiesto (vale a dire, nel caso di specie, la Germania); non è, invece, prevista una disposizione ad hoc mirante all'estensione del principio del ne bis in idem alle condanne pronunciate da Stati terzi.

Con la sentenza in discorso la Corte, in risposta al quesito sottopostole, ha affermato che il principio del ne bis in idem osta alla estradizione da parte delle autorità di uno Stato membro, di un cittadino di uno Stato terzo verso un altro Stato terzo quando, da un lato, tale cittadino sia stato condannato in via definitiva in un altro Stato membro per gli stessi fatti di cui alla domanda di estradizione e abbia scontato la sentenza pronunciata e, dall'altro lato, la richiesta di estradizione sia basata su un trattato di estradizione bilaterale che limita la portata del principio del ne bis in idem alle sentenze pronunciate nello Stato membro richiesto.

In merito alla mancata previsione all'interno del Trattato di estradizione tra l'Unione e gli Stati Uniti d'America dell'applicazione del principio de quo rispetto alle sentenza emesse in altro Stato membro, la Corte ha affermato che l'effetto diretto delle disposizioni della Carta e della Convenzione di attuazione dell'accordo di Schengen impone ai giudici nazionali di disapplicare, d'ufficio, ogni disposizione dello stesso che risulti incompatibile con tale principio.

Diversamente opinando, aggiungono i giudici di Lussemburgo, si correrebbe il rischio di disattendere, nelle relazioni tra gli Stati membri, il fondamento stesso dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia come spazio senza frontiere interne nonché i principi di fiducia reciproca e di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia penale su cui si basano le disposizioni in esame.

Le coordinate ermeneutiche dettate dalla Corte appongono un'ulteriore tessera al mosaico relativo alla disciplina dell'estradizione verso Paesi terzi di cittadini dell'Unione europea, facendo seguito alla pronuncia del 12 maggio 2021 (C-505/2019) di cui ribadiscono e sviluppano ulteriormente i principi.

Alla sentenza si deve il merito di aver conferito vis espansiva al principio del ne bis in idem riconducendolo al di fuori del circuito strettamente intracomunitario. Rivolgendo lo sguardo in avanti, sarà interessante verificare se la pronuncia richiederà anche modifiche legislative all'interno degli Stati membri, al fine di trasferire nella normativa nazionale i principi dalla stessa e garantirne l'operatività o se invece la diretta efficacia delle pronunzie della Corte si rivelerà a tal fine sufficiente sì da non richiedere ulteriori interventi.