Revoca della protezione internazionale a seguito di una minaccia per la sicurezza nazionale

La Redazione
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23 Settembre 2022

Revoca della protezione internazionale a seguito di una minaccia per la sicurezza nazionale: il diritto dell'Unione osta alla normativa ungherese secondo la quale la persona interessata o un suo rappresentante possono accedere al fascicolo soltanto a posteriori, previa autorizzazione e senza vedersi comunicare le ragioni che fondano la decisione.

Nel 2002, GM è stato condannato da un giudice ungherese ad una pena detentiva per traffico di stupefacenti. Dopo la presentazione di una domanda di asilo in Ungheria, GM si è visto concedere lo status di rifugiato da una sentenza pronunciata nel giugno 2012 dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria; in prosieguo: il «giudice del rinvio»). Mediante una decisione adottata nel luglio 2019, l'Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (Direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria) gli ha revocato lo status di rifugiato ed ha rifiutato di concedergli lo status conferito dalla protezione sussidiaria disciplinato dalle direttive 2011/95 1 e 2013/32 2 , pur applicando nei suoi confronti il principio del non respingimento. Tale decisione era fondata su un parere non motivato emesso da due organi specializzati ungheresi, l'Alkotmányvédelmi Hivatal (Ufficio per la tutela della Costituzione) e il Terrorelhárítási Központ (Ufficio centrale di prevenzione del terrorismo), nel quale queste due autorità avevano concluso che il soggiorno di GM comprometteva la sicurezza nazionale. GM ha proposto un ricorso contro tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.

Il giudice del rinvio si interroga, segnatamente, sulla compatibilità della normativa ungherese in materia di accesso alle informazioni classificate con l'articolo 23 della direttiva 2013/32 3 , che disciplina la portata dell'assistenza giuridica e della rappresentanza riconosciuta al richiedente la protezione internazionale. Esso si interroga altresì in merito alla conformità al diritto dell'Unione della norma ungherese che esige che l'amministrazione si fondi su un parere non motivato degli organi specializzati sopra citati, senza poter esaminare essa stessa l'applicazione della clausola di esclusione della protezione in questione.

La Corte statuisce segnatamente che la direttiva 2013/32 4 , letta alla luce del principio generale relativo al diritto ad una buona amministrazione e dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, osta ad una normativa nazionale, la quale preveda che, allorché una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale o di revoca di tale protezione è fondata su informazioni la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, la persona interessata o il suo consulente possano accedere a tali informazioni soltanto a posteriori, previa autorizzazione e senza neppure ricevere in comunicazione le ragioni su cui sono fondate le decisioni suddette, con il divieto di utilizzare tali informazioni ai fini di un eventuale successivo procedimento amministrativo o giurisdizionale. La Corte precisa anche che le direttive 2013/32 e 2011/95 5 ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale l'autorità responsabile dell'esame delle domande di protezione internazionale sia sistematicamente tenuta, qualora degli organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale abbiano constatato, mediante un parere non motivato, che una persona costituiva una minaccia per tale sicurezza, ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria a tale persona o a revocare una protezione internazionale precedentemente concessa a quest'ultima, fondandosi sul parere summenzionato.

Giudizio della Corte

Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione della conformità al diritto dell'Unione della normativa nazionale nella parte in cui essa limita l'accesso delle persone interessate o del loro rappresentante alle informazioni riservate sul cui fondamento sono state adottate decisioni di revoca o di diniego di concessione della protezione internazionale per ragioni di tutela della sicurezza nazionale, la Corte ricorda che, in conformità della direttiva 2013/32 6 , qualora gli Stati membri limitino l'accesso ad informazioni o a fonti la cui divulgazione comprometterebbe, segnatamente, la sicurezza nazionale o la sicurezza delle fonti, essi devono non soltanto consentire l'accesso a tali informazioni o a tali fonti ai giudici competenti al fine di pronunciarsi sulla legittimità della decisione relativa alla protezione internazionale, ma anche istituire, nel loro ordinamento nazionale, delle procedure che garantiscano che i diritti della difesa della persona interessata vengano rispettati 7 . Se gli Stati membri possono, a questo proposito, concedere l'accesso alle informazioni ad un consulente della persona interessata, una procedura siffatta non costituisce l'unica possibilità consentita agli Stati membri per conformarsi all'obbligo suddetto. Le concrete modalità delle procedure istituite a questo scopo rientrano infatti nell'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in virtù del principio dell'autonomia procedurale degli Stati membri, a condizione però che esse non siano meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni simili di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività).

La Corte ricorda altresì che i diritti della difesa non costituiscono delle prerogative assolute e che il diritto di accesso al fascicolo che ne costituisce il corollario può essere limitato, sulla base di una ponderazione tra, da un lato, il diritto alla buona amministrazione nonché il diritto ad un ricorso effettivo della persona interessata e, dall'altro, gli interessi invocati per giustificare la mancata divulgazione di un elemento del fascicolo a tale persona, in particolare qualora tali interessi si riferiscano alla sicurezza nazionale. Se certo tale ponderazione non può portare, tenuto conto del necessario rispetto dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, a privare di qualsiasi effettività i diritti della difesa della persona interessata e a svuotare del suo contenuto il diritto di ricorso previsto dalla medesima direttiva 8 , essa può però portare a far sì che alcuni elementi del fascicolo non vengano comunicati alla persona interessata, qualora la divulgazione di tali elementi sia suscettibile di compromettere in maniera diretta e particolare la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi.

Di conseguenza, l'articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32 non può essere interpretato nel senso che esso permetta alle autorità competenti di porre detta persona in una situazione nella quale né essa né il suo consulente siano in grado di prendere utilmente conoscenza, eventualmente nel quadro di uno specifico procedimento destinato a salvaguardare la sicurezza nazionale, del contenuto essenziale degli elementi determinanti inseriti in tale fascicolo. La Corte precisa a questo proposito che, qualora la divulgazione di informazioni inserite nel fascicolo sia stata limitata per un motivo di sicurezza nazionale, il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata non è garantito in maniera sufficiente dalla possibilità per tale persona di ottenere, a determinate condizioni, un'autorizzazione ad accedere a tali informazioni accompagnata da un divieto assoluto di utilizzarle ai fini del procedimento amministrativo o di un eventuale procedimento giurisdizionale. Peraltro, la facoltà riconosciuta al giudice competente di accedere al fascicolo non può sostituirsi, al fine di assicurare la garanzia dei diritti della difesa, all'accesso alle informazioni contenute in tale fascicolo da parte della persona interessata stessa o del suo consulente.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la conformità al diritto dell'Unione della normativa nazionale in questione, laddove essa conferisce un ruolo eminente ad organi specializzati in materia di sicurezza nazionale nell'ambito del procedimento che conduce all'adozione delle decisioni di revoca o di diniego di concessione della protezione internazionale, la Corte statuisce che spetta unicamente all'autorità accertante procedere, sotto il controllo dei giudici, alla valutazione dell'insieme dei fatti e delle circostanze pertinenti, ivi compresi quelli che si riferiscono all'applicazione degli articoli della direttiva 2011/95 riguardanti la revoca, la cessazione dello status di rifugiato o il rifiuto di rinnovarlo 9 e quelli relativi all'esclusione dal beneficio dello status 10. La suddetta autorità accertante deve inoltre indicare nella propria decisione le ragioni che l'hanno indotta ad adottare quest'ultima. Essa non può dunque limitarsi ad attuare una decisione adottata da un'altra autorità e prendere, su questa sola base, la decisione di escludere di concedere il beneficio della protezione sussidiaria o di revocare una protezione internazionale previamente concessa. Essa deve, al contrario, disporre di tutte le informazioni pertinenti e procedere, alla luce di queste ultime, alla propria valutazione dei fatti e delle circostanze, al fine di determinare il senso della propria decisione nonché di motivare quest'ultima in maniera completa. Se le informazioni utilizzate dall'autorità competente per compiere la propria valutazione possono in parte essere fornite da organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale, la portata di queste informazioni e la loro rilevanza per la decisione da emanare deve essere valutata liberamente da tale autorità. Quest'ultima non può, di conseguenza, essere tenuta a fondarsi su un parere non motivato emesso da organi siffatti, sulla base di una valutazione la cui base fattuale non le sia stata comunicata.

IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione o alla validità di un atto dell'Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.