Il Tribunale conferma le sanzioni inflitte dalla Commissione a quattro imprese per la partecipazione a un'intesa sul mercato italiano
10 Novembre 2022
Con decisione del 17 dicembre 2002, la Commissione europea ha constatato che otto imprese e un'associazione di imprese avevano violato l'articolo 65, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), partecipando, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, a un'intesa nel mercato italiano del tondo per cemento armato avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione (in prosieguo: la «prima decisione»).
Il Tribunale ha annullato detta decisione per il motivo che la sua base giuridica, ossia l'articolo 65, paragrafi 4 e 5, del Trattato CECA, non era più in vigore al momento della sua adozione, dato che il Trattato CECA è scaduto il 23 luglio 2002. Di conseguenza, la Commissione ha adottato una nuova decisione, il 30 settembre e l'8 dicembre 2009, constatando la medesima infrazione ma sulla base del Trattato CE e del regolamento (CE) n. 1/2003 (in prosieguo: la «seconda decisione»).
Tale seconda decisione, confermata dal Tribunale con sentenze del 9 dicembre 2014, è stata annullata dalla Corte. Secondo quest'ultima, il Tribunale era incorso in un errore di diritto quando aveva considerato che la Commissione non era tenuta ad organizzare una nuova audizione nell'ambito del procedimento sfociato nell'adozione della seconda decisione, dato che l'omissione di una siffatta audizione costituiva una violazione delle forme sostanziali. Così, la Corte ha dichiarato che la prima audizione organizzata in vista dell'adozione della prima decisione non era conforme ai requisiti procedurali relativi all'adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, in quanto le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri non vi avevano partecipato. La Corte aveva quindi integralmente annullato le sentenze del 9 dicembre 2014.
Riprendendo il procedimento dal punto in cui l'illegittimità era stata dichiarata dalla Corte, la Commissione ha organizzato una nuova audizione e ha nuovamente constatato, con decisione del 4 luglio 2019 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), l'infrazione oggetto della seconda decisione. Tuttavia, a causa della durata del procedimento, è stata concessa una riduzione del 50% dell'importo di tutte le ammende inflitte alle imprese destinatarie.
Quattro delle otto imprese interessate, precisamente la Ferriera Valsabbia SpA e la Valsabbia Investimenti SpA, l'Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holdings SpA e la Ferriere Nord SpA (in prosieguo: le «ricorrenti»), hanno presentato ricorsi per l'annullamento della decisione impugnata, che ha imposto loro sanzioni per un importo compreso tra 2,2 milioni e 5,1 milioni di euro. Tali ricorsi sono tutti respinti dalla Quarta Sezione ampliata del Tribunale, che, in siffatto contesto, chiarisce le condizioni alle quali la Commissione può adottare una decisione sanzionatoria quasi 30 anni dopo l'inizio dei fatti costitutivi dell'infrazione senza violare i diritti di difesa delle parti interessate o il principio del termine ragionevole. Il Tribunale si pronuncia altresì sulla legittimità del regime di interruzione e di sospensione della prescrizione in materia d'irrogazione di ammende nonché sulle condizioni per tenere conto della recidiva nel calcolo delle ammende.
Giudizio del Tribunale
Nelle cause T-655/19, T-656/19, T-657/19 e T-667/19, il Tribunale respinge il motivo di ricorso vertente su talune irregolarità nell'organizzazione della nuova audizione da parte della Commissione.
Ricordando che l'annullamento di un atto che pone fine a un procedimento amministrativo non incide su tutte le fasi precedenti alla sua adozione, ma unicamente su quelle interessate dalle ragioni che hanno giustificato l'annullamento, il Tribunale conferma, nel caso di specie, che ben poteva la Commissione riaprire il procedimento a partire dalla fase dell'audizione.
In tale contesto, il Tribunale respinge, in primo luogo, l'argomentazione delle ricorrenti secondo cui l'imparzialità dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri facenti parte del comitato consultivo non era garantita durante la nuova audizione, giacché tali rappresentanti conoscevano la prima e la seconda decisione della Commissione nonché la posizione adottata dal Tribunale nelle sentenze del 9 dicembre 2014.
A tal riguardo, il Tribunale ricorda che, quando un atto viene annullato, esso scompare dall'ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito. Allo stesso modo, le sentenze del Tribunale scompaiono retroattivamente dall'ordinamento giuridico quando sono annullate in sede di impugnazione. Di conseguenza, sia le decisioni della Commissione sia le sentenze del 9 dicembre 2014 erano scomparse, con effetto retroattivo, dell'ordinamento giuridico dell'Unione al momento in cui il comitato consultivo ha emesso il suo parere. Inoltre, poiché la conoscenza della soluzione giurisprudenziale adottata dalla Corte nelle sue sentenze di annullamento è insita nell'obbligo di trarre le conseguenze da tali sentenze, non se ne può inferire una mancanza di imparzialità delle autorità garanti della concorrenza interessate.
Il Tribunale respinge, in secondo luogo, la censura secondo cui, omettendo di invitare all'audizione diverse entità che avevano svolto un ruolo importante nell'ambito dell'istruzione della pratica, la Commissione aveva leso i diritti della difesa delle ricorrenti.
Per quanto riguarda, più in particolare, l'assenza delle entità che avevano rinunciato, in una fase anteriore del procedimento, a contestare la prima o la seconda decisione che era stata loro indirizzata, il Tribunale considera che, essendo detta decisione divenuta definitiva nei loro confronti, la Commissione non è incorsa in errore escludendo tali entità dalla nuova audizione. Per quanto riguarda l'assenza di un'entità terza il cui diritto di partecipare al procedimento amministrativo era stato riconosciuto nel 2002, il Tribunale dichiara che la Commissione ha correttamente constatato che, avendo partecipato alla prima audizione ma non essendosi presentata alla seconda organizzata in occasione dell'adozione della prima decisione, tale entità aveva perso il suo interesse ad intervenire nuovamente.
In terzo luogo, il Tribunale respinge l'argomentazione secondo cui i cambiamenti intervenuti, a causa del tempo trascorso, nell'identità dei soggetti e nella struttura del mercato impedivano l'organizzazione di una nuova audizione a condizioni equivalenti a quelle esistenti nel 2002. Secondo il Tribunale, la Commissione aveva effettuato una valutazione corretta quando aveva concluso, alla luce delle circostanze esistenti al momento della riapertura del procedimento, che la prosecuzione di quest'ultimo costituiva ancora una soluzione adeguata.
I motivi di ricorso vertenti su una violazione del principio del termine ragionevole sono, a loro volta, respinti. Da un lato, le ricorrenti addebitavano alla Commissione di non aver esaminato se l'adozione della decisione impugnata fosse ancora compatibile con il principio del termine ragionevole. Dall'altro, esse si dolevano della durata del procedimento sfociato nell'adozione di quest'ultima.
In primo luogo, a tal riguardo, il Tribunale constata che la Commissione aveva analizzato la lunghezza del procedimento amministrativo prima di adottare la decisione impugnata, le cause che potevano spiegare la durata del procedimento e le conseguenze che potevano esserne tratte. Pertanto, essa aveva rispettato il suo obbligo di prendere in considerazione i requisiti derivanti dal principio del termine ragionevole nella sua valutazione dell'opportunità di avviare azioni e di adottare una decisione applicativa delle regole di concorrenza.
In secondo luogo, per quanto riguarda la durata del procedimento, il Tribunale rileva che il superamento del termine ragionevole può portare all'annullamento di una decisione solo alla duplice condizione che la durata del procedimento sia stata irragionevole e che detto superamento del termine ragionevole abbia ostacolato l'esercizio dei diritti della difesa.
Orbene, tenuto conto della rilevanza della controversia per gli interessati, della complessità del caso, del comportamento delle parti ricorrenti e di quello delle autorità competenti, la durata delle fasi amministrative del procedimento non era stata irragionevole nel caso di specie. Peraltro, la durata complessiva del procedimento era in parte imputabile alle interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale legate al numero di ricorsi proposti dinanzi al giudice dell'Unione sui diversi aspetti del caso. Inoltre, poiché le ricorrenti avevano avuto, almeno sette volte, l'occasione di esprimere il loro punto di vista e di esporre i loro argomenti nel corso dell'intero procedimento, i loro diritti della difesa non erano stati ostacolati.
Secondo il Tribunale, la Commissione aveva altresì adempiuto il suo obbligo di motivazione riguardo alla presa in considerazione della durata del procedimento. Essa aveva appunto giustificato l'adozione di una nuova decisione che accertasse l'esistenza dell'infrazione e infliggesse un'ammenda alle imprese interessate per soddisfare l'obiettivo di non lasciare impunite queste ultime e di dissuaderle dal commettere in futuro un'infrazione analoga.
Nelle cause T-657/19 e T-667/19, il Tribunale respinge altresì i motivi di ricorso vertenti sulla violazione del principio del ne bis in idem nonché quelli che mettono in discussione la legittimità del regime di interruzione e di sospensione della prescrizione enunciato all'articolo 25, paragrafi da 3 a 6, del regolamento n. 1/2003.
Va ricordato che il principio del ne bis in idem vieta che un'impresa venga condannata o perseguita un'altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile. Per contro, nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati, tale principio non osta ad una riattivazione delle procedure sanzionatorie aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale, dato che le sanzioni irrogate dalla nuova decisione non si cumulano con quelle inflitte dalla decisione annullata, ma si sostituiscano ad esse.
A tal proposito, il Tribunale rileva che sia la prima che la seconda decisione erano state annullate senza alcuna statuizione in via definitiva sul merito. Inoltre, anche se, nelle sue sentenze del 9 dicembre 2014, il Tribunale si era pronunciato sui motivi di merito dedotti dalle ricorrenti, tali sentenze erano state integralmente annullate dalla Corte. Peraltro, le sanzioni inflitte dalla decisione impugnata si erano sostituite a quelle irrogate dalla seconda decisione, le quali, a loro volta, avevano sostituito le sanzioni inflitte dalla prima decisione. Il Tribunale ne trae la conclusione che, adottando la decisione impugnata, la Commissione non aveva violato il principio del ne bis in idem.
Sollevando un'eccezione d'illegittimità del regime di interruzione e di sospensione della prescrizione applicabile, le ricorrenti contestavano, inoltre, l'assenza di un termine massimo assoluto, stabilito dal legislatore dell'Unione, al di là del quale fosse esclusa ogni azione della Commissione, nonostante le eventuali sospensioni o interruzioni del termine di prescrizione iniziale.
Conformemente all'articolo 25 del regolamento n. 1/2003, il termine di prescrizione di cinque anni in materia di irrogazione di ammende o di penalità di mora è sospeso durante i procedimenti di ricorso promossi dinanzi alla Corte contro la decisione della Commissione, nel qual caso esso è prorogato del periodo durante il quale si è verificata la sospensione. Secondo il Tribunale, tale sistema risulta da un contemperamento operato dal legislatore dell'Unione tra due obiettivi distinti, vale a dire la necessità di garantire la certezza del diritto e l'esigenza di garantire il rispetto del diritto, perseguendo, definendo e sanzionando le infrazioni al diritto dell'Unione. Orbene, effettuando tale contemperamento, il legislatore dell'Unione non ha superato il margine di discrezionalità che deve essergli riconosciuto in tale ambito.
Secondo il Tribunale, benché il termine di prescrizione sia sospeso in caso di ricorso proposto dinanzi al giudice dell'Unione, resta il fatto che tale possibilità richiede, ai fini della sua attuazione, un atto cui incombe alle imprese stesse procedere. Pertanto, non si può addebitare al legislatore dell'Unione la circostanza che, in seguito alla presentazione di diversi ricorsi da parte imprese interessate, la decisione che interviene al termine della procedura sia adottata dopo un certo termine. Inoltre, i singoli che si lamentano di un procedimento irragionevolmente lungo possono contestare tale durata perseguendo l'annullamento della decisione adottata in esito a tale procedimento, a condizione che il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato l'esercizio dei diritti della difesa. Laddove tale superamento non dia luogo ad una violazione di tali diritti, i singoli possono proporre allora un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell'Unione.
Nell'ambito delle cause T–657/19 e T–667/19, il Tribunale, nell'esercizio della sua competenza estesa al merito, dichiara che occorre prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell'importo delle ammende inflitte alle ricorrenti, l'attenuazione del loro effetto deterrente a causa del lasso di tempo di quasi 20 anni trascorso tra la fine dell'infrazione e l'adozione della decisione impugnata, confermando così, mediante una sostituzione di motivazione, la necessità di irrogare un'ammenda a carico di dette ricorrenti. Esso considera, a tal riguardo, che la riduzione del 50% di detto importo, quale concessa dalla Commissione, fosse appropriata a tal fine.
Nella causa T-667/19, infine, il Tribunale respinge il motivo di ricorso della Ferriere Nord SpA relativo all'illegittimità della maggiorazione dell'importo dell'ammenda inflitta a titolo di recidiva.
Per quanto riguarda il rispetto dei diritti della difesa della Ferriere Nord SpA, il Tribunale osserva che, quando la Commissione intende imputare una violazione del diritto della concorrenza a una persona giuridica e prevede, in siffatto contesto, di applicare nei suoi confronti la recidiva quale circostanza aggravante, la comunicazione degli addebiti indirizzata a tale persona deve contenere tutti gli elementi che consentano a quest'ultima di garantire la sua difesa, in particolare quelli idonei a giustificare che le condizioni della recidiva sono soddisfatte.
Orbene, alla luce di un esame vertente sul complesso delle circostanze che hanno caratterizzato il caso, il Tribunale constata che l'intenzione della Commissione di prendere in considerazione, a titolo di recidiva, la decisione sanzionatoria precedentemente inviata alla Ferriere Nord SpA era sufficientemente prevedibile. Quest'ultima aveva peraltro avuto la possibilità di presentare le proprie osservazioni su tale punto nel corso del procedimento sfociato nell'adozione della decisione impugnata. Direzione della Comunicazione Unità Stampa e informazione curia.europa.eu Restate connessi!
Quanto alle censure relative al lasso di tempo intercorso tra le due infrazioni prese in considerazione a titolo di recidiva, il Tribunale precisa che, anche se nessun termine di prescrizione osta alla constatazione di uno stato di recidiva, ciò non toglie che, per rispettare il principio di proporzionalità, la Commissione non può prendere in considerazione decisioni anteriori che sanzionano un'impresa senza limiti nel tempo. Ciò premesso, vista la brevità del periodo intercorso tra le due infrazioni in causa, vale a dire tre anni e otto mesi, la Commissione ha giustamente ritenuto che una maggiorazione dell'importo di base dell'ammenda a titolo di recidiva fosse giustificata, tenuto conto della propensione della Ferriere Nord SpA a violare le regole di concorrenza, e ciò malgrado il fatto che l'indagine fosse durata un certo tempo.
Alla luce di quanto precede, i ricorsi delle ricorrenti sono integralmente respinti.
IMPORTANTE: Il ricorso di annullamento mira a far annullare atti delle istituzioni dell'Unione contrari al diritto dell'Unione. A determinate condizioni, gli Stati membri, le istituzioni europee e i privati possono investire la Corte di giustizia o il Tribunale di un ricorso di annullamento. Se il ricorso è fondato, l'atto viene annullato. L'istituzione interessata deve rimediare all'eventuale lacuna giuridica creata dall'annullamento dell'atto.
IMPORTANTE: Contro la decisione del Tribunale, entro due mesi e dieci giorni a decorrere dalla data della sua notifica, può essere proposta dinanzi alla Corte un'impugnazione, limitata alle questioni di diritto |