Il regime sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo: Italia e Francia a confronto

Ilaria Cendret
10 Novembre 2022

Le discipline dettate, rispettivamente, dall'ordinamento francese e da quello italiano in materia di regime sanzionatorio avverso un licenziamento illegittimo appaiono, in larga misura, sovrapponibili, con particolare riferimento alla comune previsione di plafond minimi e massimi dell'indennità risarcitoria. La presente disamina illustra i due sistemi giuridici e intende approfondirne i punti di contatto e le divergenze, anche sotto il profilo della prescrizione dei crediti di lavoro.
La disciplina sanzionatoria dei licenziamenti nulli o illegittimi nell'ordinamento francese

La legge francese n°73-680 del 13 luglio 1973 (1), completata dalla legge n° 89-549 del 2 agosto 1989 (2), ha introdotto nell'ordinamento francese l'esigenza di una “cause réelle et sérieuse” di licenziamento di un lavoratore dipendente e il rispetto di una determinata procedura. L'esigenza di un valido motivo - inizialmente riservato ai soli licenziamenti per motivi personali (3) e successivamente esteso ai licenziamenti per motivi economici (4) - costituisce la peculiarità del licenziamento in quanto atto “causato” (5) dal datore di lavoro.

Questo requisito è diventato centrale in quanto previsto dall'articolo 4 della Convenzione n. 158 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), adottata nel 1982, che richiede l'esistenza di “un motivo valido di licenziamento legato all'attitudine o alla condotta del lavoratore, o fondata sulle necessità di funzionamento dell'impresa, dello stabilimento o del servizio.”.

La terminologia di licenziamento illegittimo utilizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese include diverse tipologie di illiceità: il licenziamento irregolare in quanto non conforme alle regole di forma di procedura del licenziamento, il licenziamento ingiustificato per assenza di “cause réelle et sérieuse” e, infine, il licenziamento nullo a seguito della violazione di determinate regole che vietano il licenziamento in specifiche situazioni.

L'ordinamento francese prevede, in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento per assenza di “cause réelle et sérieuse”, la reintegra nel posto di lavoro unicamente se accettata da entrambe le parti, lavoratore e datore di lavoro; in caso contrario, fatte salve ipotesi gravi di illiceità (come, ad esempio, il licenziamento discriminatorio), il Code du travail stabilisce dei parametri per la liquidazione di una indennità che - tenuto conto delle dimensioni dell'azienda - combinano i criteri dell'anzianità di servizio del lavoratore ingiustamente licenziato con il livello stipendiale e con la gravità del provvedimento espulsivo, tra un minimo di una mensilità fino ad un massimo di 20 mensilità.

Va segnalato che, in caso di licenziamento per motivi economici in un'azienda avente almeno 1000 lavoratori, il datore di lavoro francese è tenuto ad informare ed offrire al lavoratore il congé de reclassement la cui durata è generalmente compresa tra 4 e 12 mesi. Il congé de reclassement è un ammortizzatore sociale che consente al lavoratore di beneficiare di corsi di formazione e dell'assistenza di un'unità di collocamento per la ricerca di altro posto di lavoro. Durante il periodo di congedo, corrispondente al periodo di preavviso di licenziamento, il datore di lavoro paga la retribuzione abituale al lavoratore; se il periodo di congedo supera il periodo di preavviso, il lavoratore riceverà un'indennità mensile pari ad almeno il 65% della retribuzione media lorda degli ultimi 12 mesi precedenti alla notifica del licenziamento.

Il giudice, dunque, dopo aver accertato la sussistenza di un licenziamento ingiustificato, proporrà la reintegrazione del lavoratore nell'azienda alle condizioni preesistenti il licenziamento e, in caso di mancato accordo delle parti, attribuirà un'indennità per licenziamento illegittimo a carico del datore di lavoro. Quest'ultima deve, per l'appunto, essere calcolata tra dei valori minimi e massimi indicati dal Code du travail.

(Segue) Il sistema Barème Macron in caso di licenziamenti illegittimi

In caso, dunque, di licenziamento ingiustificato, l'ordonnance n°2017-1387 del 22 settembre 2017 (ratificata dalla legge n° 2018-217 del 29 marzo 2018 e entrata in vigore il 1 aprilo 2018), ha introdotto una griglia limitativa del montante di indennizzo del lavoratore nei casi di licenziamento “sans cause réelle et sérieuse” (c.d. Barème Macron). Più precisamente, l'articolo L. 1235-3 del Code du travail espone due tabelle - una per le aziende aventi 11 lavoratori o più, e l'altra per le aziende con meno di 11 lavoratori - contenenti i limiti minimi e massimi di indennizzo che variano in funzione degli anni di anzianità del lavoratore e del livello stipendiale percepito. Detti limiti sono calcolati sulla base della mensilità di salario lordo. Dunque, a titolo esplicativo, in un'azienda con più di 11 lavoratori, l'indennizzo per licenziamento “sans cause réelle et sérieuse” di un lavoratore avente 6 anni di anzianità potrà variare tra un montante di 3 e 7 mesi di salario lordo, mentre in un'azienda con meno di 11 dipendenti, spetterà al lavoratore (con medesima anzianità di servizio pari a 6 anni) un montante tra 1,5 e 7 mesi di salario lordo. Nel caso in cui il lavoratore abbia un'anzianità di servizio di 25 anni, l'indennità risarcitoria potrà variare tra un montante di 3 e 18 mesi di salario lordo sia in un'azienda avente 11 o più lavoratori che in un'azienda con meno di 11 lavoratori in quanto, a partire dall'undicesimo anno di anzianità, le due tabelle dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail si unificano.

Per comodità del lettore si includono, al termine del contributo, le due tabelle contenenti i valori delle indennità risarcitorie previsti dall'articolo L. 1235-3 del Code du travail, applicabili a seguito del rifiuto della reintegrazione espresso da una delle due parti, lavoratore o datore di lavoro. L'esame di queste tabelle dimostra che, con riguardo ad azienda aventi 11 o più dipendenti, il plafond (mensile) massimo aumenta con criterio speculare all'anzianità di servizio sino a 10 anni di anzianità; successivamente il plafond massimo non aumenta in maniera direttamente proporzionale rispetto agli anni di anzianità lavorativa (ossia fino a 10 anni di anzianità, il plafond massimo di indennità risarcitoria è pari a 10 mensilità di retribuzione; a 20 anni, ad esempio, il plafond massimo è pari a 15,5 mensilità di retribuzione; a 30 anni e oltre di anzianità spetta un plafond massimo pari a 20 mensilità lorde di retribuzione).

(Segue) Il sistema sanzionatorio in caso di licenziamenti nulli

È rilevante precisare che il Barème Macron non si applica nei casi di nullità del licenziamento, enumerati all'articolo L. 1235-3-1 del Code du travail, come, ad esempio, i licenziamenti discriminatori, i licenziamenti dovuti a violenze morali o sessuali e i licenziamenti effettuati in violazione dello statuto dei lavoratori c.d. protégés (che necessitano una preventiva autorizzazione da parte dell'Ispettorato del lavoro).

Nei casi di licenziamento nullo, il lavoratore può chiedere di essere reintegrato nel suo posto di lavoro o in un posto equivalente; l'opposizione alla reintegrazione del lavoratore può essere fatta valere dal datore di lavoro solo nei casi in cui si rivela impossibile (come in caso di cessazione dell'attività dell'azienda). In caso di richiesta di reintegrazione formulata dal lavoratore, quest'ultimo ha diritto al pagamento di un'indennità pari all'importo della retribuzione che avrebbe percepito dall'allontanamento dall'azienda alla sua reintegra effettiva; tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che in caso di domanda di reintegrazione tardiva formulata in maniera abusiva, l'indennità percepita dal lavoratore inizierà a decorrere solamente a partire dal giorno della domanda di reintegrazione (6).

Se – nei casi di licenziamento nullo - il lavoratore non richiede la reintegrazione nell'azienda o se quest'ultima risulta impossibile, l'importo del risarcimento del lavoratore non sarà limitato ai plafond prescritti dall'articolo L.1235-3 del Code du travail: il lavoratore avrà diritto a una indennità risarcitoria che, indipendentemente dall'anzianità di servizio e dalle dimensioni dell'azienda, non potrà essere inferiore agli ultimi 6 mesi di stipendio del lavoratore (7). Conseguentemente, il Barème Macron non essendo applicabile, spetterà ai giudici di merito prendere in considerazione gli elementi che determinano il pregiudizio subito dal lavoratore, a seguito della pronuncia della nullità del licenziamento, e fissare l'importo esatto del risarcimento dovuto dal datore di lavoro in assenza di limitazioni inerenti ai valori massimi e indipendentemente dall'anzianità di servizio maturata (8).

Il licenziamento sarà riconosciuto come nullo in una delle seguenti situazioni prescritte dal Code du travail: la violazione di una libertà fondamentale (come, ad esempio, la libertà di espressione, la libertà di associazione e la libertà di religione), atti di molestia morale o sessuale, un licenziamento discriminatorio, a seguito di un'azione legale nel contesto della parità professionale tra uomini e donne o a seguito della denuncia di un crimine o di un reato, la violazione dello statuto dei lavoratori c.d. protégés in ragione dell'esercizio del loro mandato, la violazione della protezione alla maternità o paternità, la violazione della protezione inerente agli infortuni sul lavoro o alla malattia professionale.

È da notare che l'indennità risarcitoria in casi di licenziamenti nulli non prevede dei limiti massimi in quanto il licenziamento è intervenuto in un contesto di violazione dei diritti fondamentali del lavoratore che può, dunque, richiedere la reintegrazione o, in alternativa, il pagamento di un'indennità determinata dal giudice, senza limiti massimi. L'esclusione dell'applicazione del barème ai licenziamenti nulli (compresi i licenziamenti ritorsivi) è così presa in considerazione dalle giurisdizioni francesi che si sono pronunciate sulla conformità dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail all'art. 10 della Convenzione OIL n. 158 del 1982 - in quanto il barème garantisce al lavoratore ingiustamente licenziato un ragionevole indennizzo - e sull'assenza di produzione di effetti diretti dell'articolo 24 della Carta sociale europea nel diritto nazionale francese nell'ambito di una controversia tra privati.

(Segue) La verifica di compatibilità del Barème Macron con l'ordinamento internazionale e con l'articolo 24 della Carta sociale europea

La limitazione dell'indennità risarcitoria in caso di “licenciement sans cause réelle et sérieuse”, introdotta dall'ordinanza n° 2017-1387 del 22 settembre 2017 è stata contestata alla luce dei suddetti testi sovranazionali costituendo l'oggetto di due controlli esistenti nel sistema giuridico francese, ossia quello di costituzionalità, operato dal Conseil Constitutionnel, e quello di conformità alle convenzioni e trattati internazionali, eseguito dalle giurisdizioni ordinarie ed amministrative (9).

All'occasione dell'esame della legge di ratifica dell'ordonnance del 22 settembre 2017, il Conseil Constitutionnel si è pronunciato sulla conformità del barème alla Costituzione (10), rilevando che l'articolo 4 della Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789 non impedisce al legislatore di introdurre limitazioni o esclusioni, per motivi di interesse generale, alle condizioni di applicabilità della responsabilità, fatta salva la violazione sproporzionata dei diritti delle vittime di atti illeciti; i giudici del Conseil Constitutionnel hanno considerato che il fine perseguito dal legislatore, ossia la prevedibilità delle conseguenze connesse alla risoluzione del rapporto di lavoro, costituisce un interesse generale e che tale limitazione è proporzionata all'obiettivo perseguito in quanto l'indennità è modulata in base ad alcuni criteri relativi al danno subito dal lavoratore, come il criterio dell'anzianità. Inoltre, il giudice delle leggi francese ha ricordato che il legislatore ha tenuto conto - nel corso dei lavori preparatori - della media delle indennità risarcitorie concesse dai giudici di merito precedentemente all'entrata in vigore dell'ordonnance in assenza di limitazioni massime.

Per quanto riguarda la conformità del Barème Macron all'articolo 10 della Convenzione 158 dell'OIL, il Conseil d'Etat (11) e, successivamente, la Corte di Cassazione (12), tramite un parere non vincolante, hanno convalidato il barème alla luce del margine di apprezzamento lasciato agli Stati firmatari. La giurisdizione amministrativa sottolinea che la previsione di importi minimi e massimi dell'indennità in caso di licenziamento ingiustificato, basati sui criteri dell'anzianità di servizio del lavoratore e del numero dei dipendenti dell'azienda, non impedisce al giudice di prendere in considerazione ulteriori criteri relativi alla situazione specifica del dipendente al fine di fissare l'importo esatto dell'indennità nel caso concreto e nei limiti fissati all'articolo L.1235-3 del Code du travail. Quindi, al fine di determinare i mesi di salario lordo a titolo di indennità risarcitoria all'interno dei limiti fissati dal plafond, il giudice potrà prendere in considerazione - in caso ricorrano “situazioni particolari” - criteri diversi da quelli già considerati dal Barème Macron come l'età, le qualificazioni, la situazione familiare o eventuali disabilità; il Conseil d'Etat precisa che le disposizioni dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail, incentrate sui criteri dell'anzianità di servizio e del numero dei dipendenti dell'azienda, non violano il principio di uguaglianza in quanto quest'ultimo non comporta l'obbligo di trattare in modo diverso persone che si trovano in situazioni diverse (13).

La Suprema corte ribadisce che il diritto francese - anche al di fuori dei casi di licenziamento nullo - offre la possibilità di proporre la reintegrazione del lavoratore all'interno dell'azienda: solo nel caso in cui la reintegrazione è rifiutata da una delle due parti, allora il giudice assegnerà al lavoratore un'indennità ai sensi dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail, la cui applicazione è esclusa, per l'appunto,nei casi di licenziamenti nulli. La previsione legale di un limite massimo all'indennità da erogare al lavoratore ingiustamente licenziato non costituisce un ostacolo procedurale all'accesso alla giustizia e il tenore lessicale dell'art. 10 della Convenzione OIL 158 (direttamente applicabile) lascia, comunque, agli Stati membri un margine di apprezzamento che può senz'altro tradursi nella previsione di un plafond massimo.

(Segue) Ultimi arresti della Corte di Cassazione francese

La Chambre sociale della Corte di Cassazione francese ha, recentemente (attraverso una sentenza dell'11 maggio 2022) (14), precisato - con riguardo al Barème Macron - che una convenzione internazionale ha effetti diretti nell'ordinamento francese quando non necessita di ulteriori misure per renderla applicabile e può essere direttamente invocata dai singoli privati davanti al giudice nazionale.

La Corte di Cassazione, anche richiamando suoi arresti precedenti, ha premesso che l'art. 10 della Convenzione 158 dell'OIL esplica effetti diretti nell'ordinamento francese perché si tratta di una disposizione sufficientemente chiara e precisa, enuncia diritti a favore dei lavoratori e rinvia agli organi giudiziari dei singoli paesi quanto alle modalità di applicazione; ha, invece, rilevato che l'art. 24 della Carta sociale europea ha carattere generale e meramente programmatico (che dunque, richiede necessariamente l'adozione di misure nazionali in ragione “dell'importante” margine discrezionale lasciato agli Stati membri), si rivolge agli Stati (e non ai suoi organi giudiziari), prevede un meccanismo di controllo affidato al Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) in materia di meccanismi di applicazione dei principi della Carta che conferma l'esclusione della efficacia diretta della Carta stessa.

ll CEDS è un organo di controllo del Consiglio d'Europa e veglia sul rispetto della Carta sociale europea - un complemento della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - da parte degli Stati firmatari. Tuttavia, il Comitato non ha un vero e proprio statuto giurisdizionale: il Comitato svolge il proprio compito attraverso la procedura dei reclami collettivi (introdotti da un numero limitato di denuncianti, ossia dagli attori sociali e da altre organizzazione non governamentali) e la procedura dei rapporti periodici degli Stati membri.

Più precisamente, la questione dell'obbligatorietà dell'esecuzione delle decisioni del Comitato si è posta alla luce del rispetto del diritto all'esecuzione delle decisioni di giustizia, ossia atti che emanano da una giurisdizione. È necessario ricordare che la nozione di giurisdizione ai sensi della Corte europea dei diritti dell'uomo è autonoma (la definizione risulta indifferente alle concezioni nazionali) ed è identificabile grazie alla funzione esercitata: “decidere, sulla base di norme giuridiche e seguendo una procedura organizzata, ogni questione che rientri nelle sue competenze” (15). Conseguentemente, la Cour de Cassation fa riferimento, nella notice explicative della sentenza, al meccanismo di controllo esercitato dal CEDS come ulteriore giustificazione all'esclusione di effetti diretti della Carta nel diritto nazionale (16). Il Comitato, infatti, non ha mai imposto ai giudici nazionali francesi il riconoscimento della diretta applicabilità della Carta facendo, anzi riferimento alla giurisprudenza del Conseil d'Etat che respinge qualsiasi applicazione diretta della Carta (17).

Dunque, l'articolo 24 enuncia solamente l'obbligazione degli Stati contrattanti, attraverso la loro legislazione o tramite la negoziazione collettiva, di garantire l'esercizio effettivo del diritto a una protezione in caso di licenziamento illegittimo. Questo presupposto comporta che le disposizioni dell'articolo 24 hanno un carattere generale e programmatico e necessitano, per la loro applicazione, di essere completate con delle misure nazionali. Di conseguenza, l'articolo 24 della Carta sociale europea non avendo effetti diretti sul diritto nazionale (18), il giudice francese non può escludere l'applicazione del Barème Macron, che viene ritenuta conforme alla citata Convenzione dell'OIL.

La disciplina sanzionatoria dei licenziamenti nulli o illegittimi nell'ordinamento italiano; punti di contatto e divergenze con l'ordinamento francese

Come è noto, nell'ordinamento italiano vige la regola generale della necessità di una giustificazione al licenziamento (art. 3 della legge n. 604 del 1966), salvo casi residui di licenziamento libero (art. 2118 cod.civ., tra i quali rientrano i dirigenti, che peraltro ricevono una tutela tramite il contratto collettivo, i lavoratori in prova, i lavoratori ultrasessantenni con i requisiti per la pensione di vecchiaia).

Con riguardo ai sistemi sanzionatori, la tutela reale (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro, art. 18, commi 1-3, della legge n. 300 del 1970 e art. 2 del decreto legislativo n. 23 del 2015) è sempre applicabile per i licenziamenti orali e per i licenziamenti nulli (ad esempio i licenziamenti discriminatori, i licenziamenti della lavoratrice madre o a causa di matrimonio, i licenziamenti per motivo illecito - cioè contrario a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume - unico e determinante, quale ad esempio il licenziamento ritorsivo), a prescindere da qualsiasi limite dimensionale dell'azienda. In questi casi, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro, il giudice condanna il datore di lavoro a pagare un'indennità che comprende tutto il periodo tra l'estromissione dall'azienda fino all'effettivo ripristino del rapporto, indennità che - in ogni caso - non può scendere al di sotto di 5 mensilità di retribuzione. Ferma la riscossione di questa indennità, solamente il lavoratore può rinunciare alla reintegrazione optando (entro un breve termine dalla conoscenza della sentenza a lui favorevole) per un'ulteriore indennità pari a 15 mensilità di retribuzione, con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro.

Nei diversi (meno gravi e più ricorrenti) casi di licenziamento illegittimo, ossia non supportati da una giusta causa o da un giustificato motivo soggettivo od oggettivo, l'ordinamento italiano detta una diversa tutela a seconda che il lavoratore sia stato assunto prima (art. 18, commi 4 e 5, della legge n. 300 del 1970) o dopo la data del 7 marzo 2015 (art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015) e ciò in quanto l'evoluzione più rilevante di questi ultimi anni nel diritto del lavoro è stata la riforma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 e la riduzione del campo di applicazione della tutela reale: nel primo caso (assunzione prima del 7 marzo 2015), l'accertamento della “insussistenza del fatto” - sia in senso materiale che giuridico - posto a base del licenziamento disciplinare o economico-organizzativo fa nascere il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno non superiore a 12 mensilità di retribuzione (19); stesso regime sanzionatorio si applica nel caso in cui il fatto disciplinarmente contestato (che ha dato origine al licenziamento) sia sanzionato dal contratto collettivo applicato in azienda con una sanzione di tipo conservativo (20). In tutte le altre ipotesi in cui il giudice accerti la illegittimità del licenziamento (disciplinare o per giustificato motivo oggettivo) il rapporto di lavoro si risolve e si applica una tutela risarcitoria: l'indennità può oscillare tra 12 e 24 mesi di retribuzione e i criteri per determinarla sono dettati dalla legge che indica l'anzianità di servizio, le dimensioni dell'organico e dell'attività economica, le condizioni delle parti. Ove il lavoratore sia stato assunto dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo (sia disciplinare che per motivi economici-organizzativi), il rapporto di lavoro generalmente si risolve e spetta un'indennità compresa tra 6 e 36 retribuzioni che viene calcolata dal giudice in base ai criteri precedenti (21), salvo che - solo per i licenziamenti disciplinari - risulti la “insussistenza del fatto” che determina l'applicazione della tutela reintegratoria (e del risarcimento del danno fino al massimo di 12 mensilità) (22).

Con riguardo, dunque, ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, l'ordinamento italiano appare molto simile all'ordinamento francese: la tutela risarcitoria è generalizzata e la tutela reintegratoria rimane riservata alle ipotesi di licenziamenti nulli o di licenziamenti disciplinari più pretestuosi (ossia ove il fatto è insussistente) (23). In caso di licenziamento il lavoratore ha diritto alla NASpI (art. 3 del d.gs. n. 22 del 2015), trattandosi di ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale del datore di lavoro, indennità di disoccupazione che viene finanziata da uno specifico contributo addizionale posto a carico delle imprese che licenziano, rapportata alla retribuzione degli ultimi 4 anni di retribuzione e, comunque, non superiore a 1.300,00 euro mensili per il 2015 (importo rivalutato annualmente in base agli indici Istat), corrisposta per un numero di settimane pari alla metà dei contributi versati negli ultimi 4 anni e condizionata, come in Francia, alla partecipazione a percorsi di riqualificazione professionale. Il sistema di determinazione dell'indennizzo a favore dei lavoratori ingiustamente licenziati appare molto simile al Barème francese, in quanto basato sui criteri delle dimensioni aziendali e dell'anzianità di servizio: anche nell'ordinamento italiano i plafond minimi e massimi sono diversi a seconda che si tratti di aziende con più o meno di 15 dipendenti (rispettivamente, da 6 a 36 mensilità di retribuzione, art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, come novellato dal d.l. n. 87 del 2018, convertito dalla legge n. 96 del 2018, e da 3 a 6 mensilità, art. 9 del d.lgs. n. 23); mentre, però, l'ordinamento francese, ai sensi dell'articolo L. 1235-3 del Code du travail, combina tale criterio esclusivamente con quello dell'anzianità di servizio (spetta al giudice, nei limiti del plafond, prendere in considerazione tutti i criteri che determinano il danno subito dal lavoratore), l'ordinamento italiano, che era nel medesimo modo conformato, è stato cambiato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 2018 che sembra aver richiamato tutti gli altri criteri già presenti nell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 (ossia gli ulteriori criteri delle dimensioni dell'attività economica e del comportamento e delle condizioni delle parti) perché ha ritenuto che tale meccanismo aveva introdotto un criterio rigido e automatico tale da precludere qualsiasi “discrezionalità valutativa del giudice” (24). Parallelamente alla possibilità di usare i criteri del Barème Macron anche per le conciliazioni stragiudiziali (in modo da disincentivare il ricorso al giudice), l'ordinamento italiano (art. 6 del d.lgs. n. 23 del 2015) prevede un sistema calibrato sull'anzianità di servizio in sede di conciliazione (ossia una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, tra un minimo di 2 ed un massimo di 18 mensilità di retribuzione).

(Segue) La verifica di compatibilità con l'ordinamento internazionale e con l'articolo 24 della Carta sociale europea

Con riguardo alla compatibilità del sistema di determinazione dell'indennità risarcitoria - la recente decisione del CEDS (CGIL c. Italia) (25) sulla violazione, da parte del legislatore italiano, dell'articolo 24 della Carta e la pronuncia di incostituzionalità dell'articolo 3, comma 1 del d. lgs. n. 23/2015 (26), hanno posto la questione del valore giuridico dell'articolo 24 della Carta sociale europea nel sistema delle fonti del diritto nazionale italiano. La pronuncia del CEDS inerente la violazione dell'articolo 24 della Carta fa riferimento all'assenza di previsione di rimedi giuridici alternativi o complementari che, a fronte della previsione di limiti minimi e massimi di risarcimento del danno (dettati dall'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015), permettano di offrire un integrale ristoro di tutti i danni, materiali e morali, subiti dal lavoratore (27); inoltre, il meccanismo di conciliazione stragiudiziale previsto dall'art. 6 del d.lgs. n. 23 del 2015 è chiaramente predisposto per evitare le procedure giudiziarie, obiettivo che - seppur non confliggente con l'art. 24 della Carta sociale europea - non può essere perseguito a svantaggio del lavoratore (che riceverebbe, pur se nei tempi più veloci di una conciliazione stragiudiziale, un importo inferiore a quello che potrebbe essere liquidato in sede giudiziale, vista la fissazione di un limite massimo più contenuto di quello vigente per la fase giudiziale). Né, aggiunge il CEDS, la via giudiziaria appare concretamente dissuasiva, considerato il limite massimo prefissato dell'indennità e la durata del processo (che si risolve a favore del datore di lavoro). Insomma, le disposizioni esaminate del d.lgs. n. 23 del 2015 non consentono di ottenere un ristoro adeguato e proporzionale al pregiudizio subito, di natura tale da dissuadere il datore di lavoro all'adozione di un licenziamento illegittimo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194 citata, ha dichiarato illegittimo l'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015 nella misura in cui prevedeva un meccanismo automatico di liquidazione della indennità risarcitoria al lavoratore illegittimamente licenziato (2 mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di servizio). A differenza della Cour de cassation, la Corte Costituzionale ha espressamente richiamato l'art. 24 della Carta sociale europea (“che si ispira alla Convenzione OIL n. 158 del 1982”) rilevando l'idoneità della Carta stessa a integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost. e riconoscendo l'autorevolezza delle decisioni del CEDS, ancorché non vincolanti per i giudici nazionali (28). Sottolinea, la Corte Costituzionale, che l'art. 24 della Carta sociale europea specifica sul piano internazionale, in armonia con l'art. 35, terzo comma, Cost. e con riguardo al licenziamento ingiustificato, l'obbligo di garantire l'adeguatezza del risarcimento, in linea con quanto già affermato sulla base del parametro costituzionale interno dell'art. 3 Cost., in tal modo realizzandosi un'integrazione tra fonti e - ciò che più rileva - tra le tutele da esse garantite.

Esaminando, dunque, comparativamente, gli approdi della giurisprudenza francese e di quella italiana elaborati con riguardo all'art. 24 della Carta sociale europea, va notato che la Cour de cassation respinge qualsiasi profilo di ingerenza nella legislazione statale, evidenziandone i profili di natura soggettiva (la Carta si rivolge solamente agli Stati sottoscrittori) e oggettiva (il mero carattere generale e programmatico della disposizione); diversamente, la Corte Costituzionale sottolinea l'idoneità della Carta sociale europea ad integrare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (rilevando la violazione dei parametri costituzionale dettati dagli art. 76 e 117, primo comma, per il tramite di questa norma interposta) e la particolare autorevolezza dei pareri espressi dal CEDS.

Ove, poi, ci si sposta a valutare l'impatto dell'art. 10 della Convenzione n. 158 dell'OIL nelle legislazioni nazionali, pur a fronte di meccanismi sostanzialmente simili di tutela indennitaria avverso i licenziamenti illegittimi (il sistema barème francese e l'indennità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015) e salva l'operatività della tutela reintegratoria in caso di licenziamenti discriminatori o posti in violazione dei diritti e delle libertà fondamentali (valevole per entrambi gli ordinamenti), la Cour de cassation ritiene del tutto compatibile il proprio meccanismo con il principio dell' “indennizzo adeguato” e della “riparazione appropriata” dettato dalla fonte internazionale, anche in considerazione dell'effetto, giudicato assolutamente positivo, della prevedibilità dell'ammontare dell'indennizzo, mentre la Corte Costituzionale si limita a dare atto della mancata ratifica dell'Italia della suddetta Convenzione (e, dunque, della insuscettibilità di integrare i parametri costituzionale evocati dal giudice a quo).

In conclusione, la disamina giurisprudenziale dei due sistemi ordinamentali, confrontati con la normativa (anche di soft law) europea, dimostra che le formule di carattere generale contenute nei testi internazionali (come “congruo”, “adeguato”, “dissuasivo”) lascino, secondo la giurisprudenza francese, ampia discrezionalità al legislatore nazionale di articolare un meccanismo di tutela indennitario fisso e prestabilito, basato su criteri (il livello stipendiale, l'anzianità di servizio, la gravità del licenziamento) selezionati dal legislatore stesso e che ha i pregi (senz'altro di carattere deflattivo) di consentire alle stesse parti coinvolte di determinare l'ammontare del pregiudizio in caso di licenziamento illegittimo e di evitare una varietà incontrollata di decisioni giudiziali, mentre, secondo il giudice delle leggi italiano, costituiscano - queste stesse formule - la conferma della necessità di una valutazione caso per caso, che sia adeguata alla particolarità di ogni fattispecie concreta mediante l'utilizzo di una “pluralità di fattori” che impedisca l'ingiustificata omologazione di situazioni diverse ma che, forse, compromette, in parte, le esigenze di certezza del diritto e di prevedibilità della sanzione che hanno sottolineato i giudici francesi (29).

La prescrizione dei crediti di lavoro in Italia e in Francia

Infine, è interessante verificare, sotto un profilo comparatista, quale è il sistema di prescrizione dei crediti lavoro vigente in Italia e in Francia.

Nell'ordinamento francese, il termine di prescrizione ordinario è definito dall'articolo 2224 (30) del Code civil e corrisponde a 5 anni a partire dal giorno in cui il titolare del diritto ha conosciuto o avrebbe dovuto conoscere i fatti che gli permettono di esercitare l'azione. Tuttavia, il Code du travail prevede dei termini di prescrizione speciali tra i quali è necessario distinguere quello inerente all'esercizio dell'azione intentata a seguito di una rottura del rapporto di lavoro e quello inerente alla prescrizione dell'azione per il pagamento delle retribuzioni.

Il primo comma dell'articolo L.1471-1 del Code du travail (31) enuncia un termine di prescrizione di 2 anni per le azioni relative all'esecuzione o alla risoluzione del contratto di lavoro. Eppure, questo termine di prescrizione non è applicabile in alcuni casi enunciati al terzo comma dell'articolo L. 1471-1 del Code du travail, tra i quali le azioni per il pagamento delle retribuzioni maturate.

In materia di prescrizione dei crediti di lavoro, il Code du travail prevede, all'articolo L. 3245-1 (32), una durata di 3 anni a decorrere dal giorno in cui il lavoratore ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza dei fatti; nel caso di rottura del rapporto di lavoro, l'azione può avere ad oggetto le sole somme dovute nei 3 anni precedenti la risoluzione del contratto.

La giurisprudenza della Chambre sociale della Cour de Cassation ritiene il criterio della natura del credito invocato dal lavoratore al fine di determinare i termini della prescrizione (33). La Suprema corte ha recentemente precisato (34) che nel caso in cui l'azione per il pagamento di retribuzioni arretrate si fondi su una violazione del contratto deve ritenersi applicabile il termine di prescrizione inerente alla natura del credito fatto valere ossia il termine di 3 anni per il pagamento delle retribuzioni arretrate. La soluzione scelta dalla Corte risulta così favorevole ai lavoratori in quanto prevede l'applicazione del termine di prescrizione più lungo.

È utile notare la vicinanza del regime di prescrizione dell'ordinamento francese al sistema tedesco. Nell'ordinamento tedesco, il termine di prescrizione dei crediti di lavoro corrisponde al termine ordinario di prescrizione - in assenza di una norma speciale concernente la prescrizione dei crediti di lavoro - ossia 3 anni a partire dalla nascita del diritto secondo il §195 del Bürgerliches Gesetzbuch (BGB) (35). Codesto termine di prescrizione inizia a decorrere anche nel corso del rapporto di lavoro se i crediti di lavoro sono maturati durante la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Ciononostante, si rileva che, in virtù del consensualismo contrattuale, i contratti di lavoro prevedono una durata più breve del termine di prescrizione rispetto al termine previsto dalla norma di diritto comune; i termini di prescrizione possono ugualmente essere previsti dal contratto collettivo applicabile o dal contratto aziendale.

Con riferimento all'ordinamento italiano, il sistema di prescrizione diverge dal regime francese e tedesco sia sotto l'aspetto del termine della prescrizione che del dies a quo. Il termine di prescrizione estintiva è decennale (art. 2946 cod.civ.) ma alcuni importanti diritti del lavoratore si prescrivono in 5 anni (art. 2948 cod.civ.): si prescrive in 5 anni “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno o a termini più brevi” (quindi tutte le retribuzioni periodiche, con esclusione delle erogazioni una tantum, come ad esempio il premio fedeltà o l'indennità di trasferimento; così anche l'indennità sostitutiva del preavviso e il trattamento di fine rapporto si prescrivono in 5 anni); si prescrive in 10 anni il diritto al riconoscimento di una qualifica superiore. Con riguardo al dies a quo, secondo la regola civilistica di applicazione generale (art. 2935 cod.civ.), la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; ma nell'ambito del diritto del lavoro, con particolare riguardo alle retribuzioni, la Corte Costituzionale ha da tempo ritenuto che la prescrizione decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro solamente ove si tratti di rapporto di lavoro dotato di stabilità ossia nelle ipotesi in cui sia prevista la tutela reintegratoria nei confronti di un licenziamento illegittimo (36); e recentemente la Corte di Cassazione ha precisato che la prescrizione dei diritti retributivi decorre sempre alla cessazione del rapporto di lavoro perché la tutela reintegratoria è assicurata (dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012) solo nei casi di licenziamenti nulli o in ipotesi tassative di licenziamenti ingiustificati (ossia per “insussistenza del fatto” e per previsione del fatto tra le sanzioni conservative del CCNL applicato in azienda) e non può, dunque, ritenersi che sia assicurata una stabilità tale da escludere il timor reverentialis del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (37).

Sul fronte, quindi, della prescrizione dei diritti dei lavoratori si registra una forte divergenza tra sistema francese e tedesco, da una parte, e sistema italiano, dall'altro, in quanto nei primi viene dato assoluto rilievo al principio della certezza del diritto che impone la breve prescrizione (durante il rapporto di lavoro) dei diritti del lavoratore mentre nel secondo la considerazione che l'inerzia del lavoratore (protratta anche per tutto il rapporto di lavoro) sia riconducibile alla soggezione nei confronti del datore di lavoro ha suggerito alla giurisprudenza di escludere l'operatività del principio di immediata decorrenza della prescrizione.

Le tabelle del Barème Macron (articolo L. 1235-3 del Code du travail)

In caso di licenziamento illegittimo in un'azienda avente 11 o più lavoratori:


Anzianità del lavoratore nell'azienda

(calcolata in anni interi)


Indennità minima

(in mesi di salario lordo)


Indennità massima

(in mesi di salario lordo)


0


Senza oggetto


1


1


1


2


2


3


3,5


3


3


4


4


3


5


5


3


6


6


3


7


7


3


8


8


3


8


9


3


9


10


3


10


11


3


10,5


12


3


11


13


3


11,5


14


3


12


15


3


13


16


3


13,5


17


3


14


18


3


14,5


19


3


15


20


3


15,5


21


3


16


22


3


16,5


23


3


17


24


3


17,5


25


3


18


26


3


18,5


27


3


19


28


3


19,5


29


3


20


30 e oltre


3


20

In caso di licenziamento illegittimo in un'azienda avente meno di 11 lavoratori, si applicano gli importi minimi indicati di seguito, in deroga a quelli indicati nella tabella precedente:


Anzianità del lavoratore nell'azienda

(calcolata in anni interi)


Indennità minima

(in mesi di salario lordo)


0


Senza oggetto


1


0,5


2


0,5


3


1


4


1


5


1,5


6


1,5


7


2


8


2


9


2,5


10


2,5

Note
(*) Ilaria Cendret, Dottoressa. (1)

Loi n°73-680 du 13 juillet 1973 MODIFICATION DU CODE DU TRAVAIL EN CE QUI CONCERNE LA RESILIATION DU CONTRAT DE TRAVAIL A DUREE INDETERMINEE.

(2)

Loi n° 89-549 du 2 août 1989 modifiant le code du travail et relative à la prévention du licenciement économique et au droit à la conversion.

(3)

Articolo L. 1232-1 del Code du travail : « Tout licenciement pour motif personnel est motivé dans les conditions définies par le présent chapitre.

Il est justifié par une cause réelle et sérieuse. ».

(4)

Articolo L.1233-2 del Code du travail : « Tout licenciement pour motif économique est motivé dans les conditions définies par le présent chapitre.

Il est justifié par une cause réelle et sérieuse. ».

(5) Jean Pélissier, « La réforme du licenciement » Sirey 1974.

(6)

Cour de cassation, Chambre sociale, 13 janvier 2021, n° 19-14.050, Publié au bulletin.

(7)

Prima dell'entrata in vigore dell'ordinanza del 22 settembre 2017, l'indennità risarcitoria in caso di licenziamento nullo poteva variare tra un minimo di 6 mesi o 12 mesi, a seconda della causa della nullità del licenziamento.

(8) La valutazione del pregiudizio subito dal lavoratore in caso di un licenziamento dichiarato nullo non può essere limitata alla durata del suo contratto di lavoro cfr. Cour de cassation, Chambre sociale, 16 mars 2022, n° 21-10.507.

(9)

A tal proposito si ricorda la decisione del Conseil Constitutionnel n° 74-54 DC del 15 gennaio 1975 con la quale quest'ultimo non si riconosce competente per esaminare la conformità della legge alle stipulazioni di un trattato o di un accordo internazionale. Successivamente, si sono riconosciute competenti le giurisdizioni civili (Cour de Cassation, chambre mixte, 24 mai 1975, Société des cafés Jacques Vabre) e le giurisdizioni amministrative (Conseil d'Etat, Assemblée, 20 octobre 1989, Nicolo). In entrambi i casi si è trattato di un controllo di una legge posteriore al Trattato di Roma del 1957.

(10)

CC, décision n° 2018-761 DC du 21-03-2018.

(11) Conseil d'État, Juge des référés, 07/12/2017, n° 415243, Inédit au recueil Lebon. Si segnala che il référé è una procedura d'urgenza per la risoluzione provvisoria di una controversia e che l'ordonnance de référé non ha, ai sensi dell'articolo 488 del Code de procédure civile, autorità della cosa giudicata sulla domanda principale.

(12) Avis n°15013 del 17 luglio 2019, pourvoi n° 19-70.010.

(13) « 8. Enfin, en fixant des montants minimaux et maximaux d'indemnisation du licenciement sans cause réelle et sérieuse en fonction des seuls critères de l'ancienneté du salarié dans l'entreprise et des effectifs de celle-ci, les auteurs de l'ordonnance n'ont pas entendu faire obstacle à ce que le juge détermine, à l'intérieur de ces limites, le montant de l'indemnisation versée à chaque salarié en prenant en compte d'autres critères liés à la situation particulière de celui-ci.

9. En deuxième lieu, la Confédération générale du travail soutient que les nouvelles dispositions de l'article L. 1235-3 du code du travail méconnaissent le principe d'égalité, en retenant pour seuls critères de différenciation du barème d'indemnisation l'ancienneté dans l'entreprise et les effectifs de celle-ci, ce qui ne permettrait pas de tenir compte de l'âge, des qualifications, de la situation familiale et d'un éventuel handicap des salariés licenciés sans cause réelle et sérieuse. Toutefois, le principe d'égalité n'implique pas que l'autorité investie du pouvoir réglementaire traite de façon différente des personnes se trouvant dans des situations différentes. ».

(14) Cour de cassation, civile, Chambre sociale, 11 mai 2022, 21-15.247, Publié au bulletin.

(15) « Trancher, sur la base de normes de droit et à l'issue d'une procédure organisée, toute question relevant de sa compétence », CEDH, Cour (plénière), Sramek c. Autriche, 22 octobre 1984, 8790/79, §36.

(16) « Ce mécanisme de contrôle prévu par la Charte, confié au CEDS et au comité des ministres du Conseil de l'Europe écarte ainsi toute possibilité d'effet direct de la Charte ».

(17) CEDS, 1er déc. 2010, Conseil européen des Syndicats de Police (CESP) c. France, réclam. 57/2009, § 23.

(18) La storica giurisprudenza del Conseil d'Etat (CE Ass., 11 avril 2012, GISTI et FAPIL) e, più recentemente la chambre sociale, con una sentenza in data 11 maggio 2022, individuano due criteri (il primo oggettivo e il secondo soggettivo) in base ai quali le disposizioni di un Trattato internazionale - introdotte nel diritto interno in virtù dell'articolo 55 della Costituzione - hanno effetto diretto nell'ordinamento degli Stati membri: 1) l'assenza di una incidenza esclusiva sui rapporti tra gli Stati; 2) la compiutezza della disciplina tale da consentire la produzione di effetti direttamente nei confronti dell'individuo (ossia la disciplina internazionale non richiede l'intervento di un atto complementare per produrre i suoi effetti nei confronti dei privati).

(19) Con riguardo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e alla insussistenza del fatto, cfr., da ultimo, Cass. n. 16975del 2022; con riguardo al licenziamento disciplinare e alle ipotesi di insussistenza del fatto, l'orientamento consolidato è quello secondo cui sono compresi non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare. cfr., fra le tante, Cass. n. 3076 del 2020 e Cass. n. 13383 del 2017.

(20) Con riguardo all'individuazione delle ipotesi di fatti sussumibili nelle previsioni del contratto collettivo applicato in azienda, cfr., da ultimo, Cass. n. 11665 del 2022 e Cass. n. 20780 del 2022.

(21) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 194 del 2018, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 ove ancorava esclusivamente l'indennità risarcitoria ad un criterio direttamente proporzionale all'anzianità di servizio, escludendo gli altri usuali e concorrenti criteri.

(22) Con riguardo al concetto di insussistenza del fatto nel regime dettato dall'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015 cfr. Cass. n. 12174 del 2019, secondo cui - al pari dell'interpretazione data all'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 - la fattispecie legislativa comprende sia l'ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, nondimeno non presenti profili di illiceità.

(23) In particolare, va sottolineato che la Corte Costituzionale ha già avuto modo di escludere che la tutela reintegratoria è “costituzionalmente necessaria”: sentenze n. 46 del 2000 e n. 303 del 2011, nonché la recente sentenza n. 194 del 2018.

(24) Con riguardo al problema della natura meramente interpretativa (ovvero additiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 2018 in punto di individuazione dei criteri per determinare l'indennità, cfr. G. Proia, Le tutele contro i licenziamenti dopo la pronuncia della corte costituzionale, in Mass.Giur.Lav., 2018, fascicolo unico; la dottrina si è, infatti, interrogata se i riferimenti agli altri criteri (oltre all'anzianità di servizio) contenuti nella parte motiva della sentenza fossero idonei ad integrare il dispositivo, ovvero se quei riferimenti siano stati formulati dalla Corte esclusivamente in via interpretativa, per orientare l'applicazione della norma di risulta da parte del giudice.

(25) CEDS, 11 febbraio 2020, Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) c. Italia, n. 158/2017.

(26) Sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale.

(27) La CEDS richiama altresì sue precedenti decisioni: 2 luglio 2013 nei confronti della Norvegia e 6 e 8 settembre 2016 nei confronti della Finlandia.

(28) Sulla assenza di effetti vincolanti delle decisioni del CEDS per il nostro ordinamento, vedi anche Corte Cost. n. 120 del 2018.

(29) Sulla idoneità del parametro del “ristoro adeguato”, adottato dalla sentenza n. 194 del 2018, ad aprire “praterie alla discrezionalità valutativa dei giudici”, cfr. Raffaele De Luca Tamajo, in Diritti lavori mercati, 2018, 634 e ss.

(30) Articolo 2224 del Code civil : « Les actions personnelles ou mobilières se prescrivent par cinq ans à compter du jour où le titulaire d'un droit a connu ou aurait dû connaître les faits lui permettant de l'exercer. ».

(31) Articolo L. 1471-1 del Code du travail : « Toute action portant sur l'exécution du contrat de travail se prescrit par deux ans à compter du jour où celui qui l'exerce a connu ou aurait dû connaître les faits lui permettant d'exercer son droit.

Toute action portant sur la rupture du contrat de travail se prescrit par douze mois à compter de la notification de la rupture.

Les deux premiers alinéas ne sont toutefois pas applicables aux actions en réparation d'un dommage corporel causé à l'occasion de l'exécution du contrat de travail, aux actions en paiement ou en répétition du salaire et aux actions exercées en application des articles L. 1132-1, L. 1152-1 et L. 1153-1. Elles ne font obstacle ni aux délais de prescription plus courts prévus par le présent code et notamment ceux prévus aux articles L. 1233-67, L. 1234-20, L. 1235-7, L. 1237-14 et L. 1237-19-8, ni à l'application du dernier alinéa de l'article L. 1134-5. ».

(32) Articolo L. 3245-1 del Code du travail : « L'action en paiement ou en répétition du salaire se prescrit par trois ans à compter du jour où celui qui l'exerce a connu ou aurait dû connaître les faits lui permettant de l'exercer. La demande peut porter sur les sommes dues au titre des trois dernières années à compter de ce jour ou, lorsque le contrat de travail est rompu, sur les sommes dues au titre des trois années précédant la rupture du contrat. »

(33) Cour de cassation, Chambre sociale, 27 mars 2019, n° 17-23.314, n° 17-23.375, Publié au bulletin. La chambre sociale ritiene la qualificazione di azione in pagamento delle retribuzioni arretrate e, dunque, prescrittibile in 3 anni ai sensi dell'articolo L. 3245-1 del Code du travail. Nel caso di specie, la Corte - ritenendo l'azione non prescritta - ammette la contestazione in via incidentale della validità del contratto. La soluzione che ritiene il termine di prescrizione dell'azione inerente alla validità del contratto di lavoro di una durata di 3 anni deve essere circoscritta al solo caso di esercizio - a titolo principale - di un'azione in pagamento delle retribuzioni arretrate.

Cfr. Hélène Nasom-Tissandier, Nullité de la convention de forfait-jours : quel délai de prescription ?, Jurisprudence Sociale Lamy, Nº 477, juillet 2019.

(34) Cour de cassation, Chambre sociale, 30 juin 2021, n° 18-23.932, Publié au bulletin.

(35) Bürgerliches Gesetzbuch (BGB) § 195: « Die regelmäßige Verjährungsfrist beträgt drei Jahre ».

(36) Cfr. le sentenze della Corte Cost. n. 63 del 1966, 143 del 1969, 86 del 1971, 174 del 1972, 115 del 1975, 13 del 1981.

(37) Cfr. Cass. n. 26246 del 2022.