Probabilità di crisi (pre-crisi), probabilità d'insolvenza (crisi) e insolvenza nel CCI

Daniele Fico
14 Novembre 2022

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza contiene una nozione “ampia” di stato di crisi, che va dalla probabilità di crisi (c.d. pre-crisi), alla probabilità di insolvenza (crisi) e che, in assenza dell'adozione di idonee misure di prevenzione e soluzione della crisi stessa, può sfociare sino alla insolvenza, intesa come impossibilità per il debitore a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.
Premessa

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a differenza della normativa previgente, che nulla ha previsto in merito, all'art. 2, comma 1, lett. a), CCII, offre la definizione di crisi, in esecuzione di quanto disposto dalla L. 155/2017 (che, tra i principi generali, annoverava all'art. 2, comma 1, lett. c), CCII, la necessità di definire lo “stato di crisi” come “probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l'attuale nozione di insolvenza” di cui all'art. 5 L. Fall.

Con la nuova normativa, pertanto, la crisi assume “un carattere ordinante, in diretto confronto dialettico con l'insolvenza di cui costituisce l'anticipazione e dunque il campo di elezione per la prevenzione e la più ordinata ed efficiente risoluzione dell'insolvenza” medesima (B. Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistemi sanzionatori nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in dirittodellacrisi.it, 18 marzo 2021).

Sul punto, giova ricordare, preliminarmente, che le riforme del 2005 e 2010 hanno introdotto nella legge fallimentare il concetto di “stato di crisi” come presupposto oggettivo per accedere alla procedura di concordato preventivo (art. 160 c. 1 L. Fall.) ed agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L. Fall.), senza tuttavia darne una definizione. Al riguardo, è stato osservato come i concetti di crisi ed insolvenza si ponessero tra loro in rapporto di genere a specie, nel senso che l'insolvenza rappresentava una delle forme (la più grave) in cui poteva manifestarsi la crisi.

In ogni caso, come precisato dalla Relazione illustrativa alla novella legislativa, le definizioni contenute nel sopra citato art. 2 CCII hanno “finalità meramente esplicative o di sintesi” e, in quanto tali, presentano ampi margini interpretativi.



Crisi e insolvenza nel CCI

Nella prima versione del D. Lgs. 14/2019, la crisi era stata definita dal citato art. 2 comma 1 lett. a) CCI, come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

Tale nozione di crisi è stata criticata da alcuni commentatori che si sono interrogati sulla utilità di una definizione legale di crisi, ovvero sulla sua capacità di integrare effettivamente una fattispecie astratta tale da selezionare la disciplina in caso concreto, arrivando sino al punto di evidenziarne la sua probabile dannosità, a causa del fondato rischio che gli allarmi della crisi di fatto suonino quando c'è già stato di insolvenza (A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alla resilienza della twlight zone, in Fallimento, 2019, 295; G. Lo Cascio, Il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza: considerazioni a prima lettura, in Fallimento, 2019).

Alla base di tale opinione c'è la considerazione che la nuova disciplina si occupa di far emergere una situazione di crisi “tendenzialmente manifesta e terminale, bisognosa per l'appunto di un trattamento concorsuale”, senza al contrario preoccuparsi di disciplinare la fase di maturazione interna della crisi - c.d. “crisi atipica” - quando l'imprenditore percepisce che la situazione sta degenerando e che, in caso di mancato intervento sui costi, sulla struttura finanziaria, sui mercati, e così via, si profila all'orizzonte il probabile disallineamento dei flussi di cassa che, ai sensi dell'anzidetto art. 2 comma 1 lett. a) CCII, costituisce una probabile futura insolvenza.

In altri termini, con il novellato sistema normativo concentrato sulla emersione della situazione di crisi tipica, rimarrebbe comunque non disciplinato l'atteggiamento degli organi sociali di fronte ad una situazione di crisi atipica, che corrisponde ad una situazione di difficoltà dell'impresa non ancora riconducibile ad una probabilità di insolvenza e, in particolare, ad un attuale disallineamento dei flussi di cassa; “crisi atipica che qualunque gestore capace di fare il suo mestiere è in grado di rilevare, anche senza affidarsi in toto e passivamente al cruscotto di indicatori predisposto dal CCII, prima che la stessa degeneri in una probabile insolvenza” (A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di azione degli organi sociali nelle situazioni di crisi atipica, cit., 8. Per A.M. Azzaro, Appunti sulla nozione giuridica di “crisi” d'impresa come stato di non insolvenza (irreversibile), in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretto da S. Ambrosini, Bologna, 2017, 147, la nozione di crisi tipica ”appare all'evidenza un vestito troppo stretto a ricomprendere, in un unico concetto giuridico, tutte le situazioni che, siccome diverse dall'insolvenza irreversibile, consentono in vario modo all'imprenditore, sulla base della loro maggiore o minore gravità, di utilizzare i vari strumenti che l'ordinamento appresta per gestire le crisi d'impresa”).

La definizione di crisi contenuta nella versione originaria del D. Lgs. 14/2019 è stata modificata, una prima volta, dal D. Lgs. 147/2020, che ha sostituito il termine “difficoltà” con “squilibrio” (sul tema, fra i tanti, cfr. A. Quagli, Sulla necessaria rimodulazione nel Codice della crisi degli indicatori e indici della crisi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 28 agosto 2021, 3) e, successivamente, dal D. Lgs 83/2022. A seguito di tale ultima variazione, per crisi si intende “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” (secondo P. Bastia, Crisi e insolvenza dopo il codice della crisi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 agosto 2022, con il codice della crisi viene fornita una definizione di crisi non “diretta”, ma “indiretta”, “come prefigurazione della probabilità di futura insolvenza”).

Lo stato di crisi, in pratica, identifica situazioni di difficoltà economico–finanziaria reversibile che, però, possono determinare, qualora non affrontate o affrontate in ritardo, lo stato d'insolvenza che si palesa con l'incapacità dei flussi di cassa prospettici a far fronte ai debiti nei successivi dodici mesi.

Sulla questione, risulta importante evidenziare che nella versione definitiva di crisi, rispetto alle precedenti due, da un lato, è venuto meno l'avverbio “regolarmente”, con il che sarà possibile far fronte alle obbligazioni in maniera non integrale, non puntuale, anche con mezzi anormali di pagamento; dall'altro, è previsto un orizzonte temporale annuale, in luogo della precedente previsione semestrale, secondo F. Lamanna, Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata, in questo portale, 20 aprile 2022, con l'ultima versione dell'art. 2, comma 1, lett. a, CCII, risulta notevolmente asciugata la nozione originaria di crisi, eliminandosi qualunque riferimento sia allo “squilibrio”, sia alle sue qualificazioni, oltre che l'avverbio “regolarmente” e l'aggettivo “pianificate” riferiti alle “obbligazioni”; operazione che, tuttavia, lungi dal tradursi in una mera semplificazione, presenta il rischio di notevoli criticità teorico-applicative. In senso critico, si è espresso anche D. Galletti, Una nuova definizione della crisi d'impresa: bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è ora, in questo portale, 21 aprile 2022).

Lo stato di crisi rappresenta, quindi, uno stadio antecedente alla insolvenza, definita dall'art. 2, comma 1, lett. b) CCII, come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

L'insolvenza rispecchia, pertanto, una situazione di difficoltà economico-finanziario che, alla luce del codice della crisi, darà origine al nuovo istituto della liquidazione giudiziale (espressione, quest'ultima, sostitutiva di quella tradizionale di “fallimento”), oltre che rappresentare il presupposto oggettivo per l'accesso alla procedura di concordato preventivo (ai sensi dell'art. 84, comma 1, CCI, infatti, al fine di proporre il concordato preventivo, l'imprenditore deve trovarsi “in stato di crisi o di insolvenza”) ed all'accordo di ristrutturazione dei debiti (conclusi, in base all'art. 57, comma 1, CCI, dall'imprenditore, anche non commerciale e diverso dall'imprenditore minore, in stato di crisi o di insolvenza, con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti).

Crisi ed insolvenza, per altro verso, costituiscono il presupposto oggettivo del “sovraindebitamento”, definito dall'art. 2 comma 1 lett. c) CCII, appunto come lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start – up innovative di cui al D.L. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. 221/2012 e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero alla procedura di liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza; nonché il presupposto per il ricorso ai piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII, al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione di cui all'art. 64-bis CCII ed alla composizione negoziata di cui all'art. 12 CCII.

Dalla lettura dell'art. 2, comma 1, lett. a) e b), CCII, si evince chiaramente una differenziazione delle definizioni di crisi ed insolvenza.

Sulla questione, per anni si è diffusa la convinzione che il discrimine tra la crisi e l'insolvenza fosse rappresentato dalla irreversibilità dell'insolvenza stessa, definita dalla giurisprudenza come “condizione di impotenza economica nella quale l'imprenditore non è in grado di adempiere regolarmente con normali mezzi solutori le proprie obbligazioni per il venir meno della liquidità finanziaria e della disponibilità di credito necessari per lo svolgimento della sua attività” (Cass. 27 maggio 2015, n. 10952; Cass. 27 aprile 1999, n. 4277).

Il concetto di “irreversibilità” dell'insolvenza, tuttavia, risulta di fatto fortemente indebolito con il codice della crisi che, all'art. 21 CCII, menziona l'insolvenza “reversibile”, ovvero la situazione in cui l'imprenditore, nel corso della composizione negoziata, risulta insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento (sul tema, cfr. in particolare V. Minervini, Composizione negoziata, norme unionali e (nuovo) Codice della crisi, in dirittodellacrisi.it, 30 marzo 2022; P. Bastia, Crisi e insolvenza dopo il codice della crisi, cit., 37).

L'insolvenza, pertanto, potrebbe presentarsi in due diverse modalità: una prima (meno grave) reversibile, caratterizzata dalla esistenza di effettive prospettive di risanamento e ristrutturazione dell'impresa; una seconda, per contro, più grave, caratterizzata da uno squilibrio economico-finanziario irreversibile, verso il quale l'unico rimedio parrebbe essere il ricorso alla liquidazione giudiziale.

L'insolvenza non va tuttavia identificata con l'inadempimento che, come chiarito dai giudici di legittimità, è un fatto e non uno stato: “l'insolvenza differisce dall'inadempimento, poiché non indica un fatto, e cioè un avvenimento puntuale, ma appunto uno stato, e cioè una situazione dotata di un certo grado di stabilità: una situazione risolta in una inidoneità da dare regolare soddisfazione delle proprie obbligazioni” (Cass. 20 novembre 2018, n. 29913).

Sul punto, la S.C. ha ulteriormente chiarito che lo stato d'insolvenza non presuppone “necessariamente, l'esistenza di inadempimenti, né è da essi direttamente deducibile, essendo gli stessi, qualora effettivamente riscontrati, equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato, con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso, e con possibilità di escludersene la rilevanza ove si tratti di inadempimento irrisorio” (Cass. 15 dicembre 2017, n. 30209).



La nozione di “pre-crisi”

Nel D.Lgs. 14/2019 è altresì rinvenibile un'ulteriore nozione, definibile di “pre-crisi”, che viene in evidenza relativamente al nuovo istituto della composizione negoziata.

L'art. 12 comma 1 CCI, infatti, tra i presupposti oggettivi, rectius condizioni, per l'accesso a questo strumento, indica lo “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi” medesima Per A. Rossi, Il presupposto oggettivo, tra crisi dell'imprenditore e risanamento dell'impresa, in Fallimento, 2021, 1502, il riferimento alla “probabilità di crisi, evoca un concetto di dubbia interpretazione, perché oggi convivono nell'ordinamento due nozioni di crisi: quella, sostanzialmente atipica ed includente lo stato d'insolvenza, di cui all'art. 160 c. 3 L. Fall., e quella, tipica e riconducibile ad una probabilità di insolvenza, dell'art. 2 CCII”).

La “pre-crisi” è uno stadio antecedente a quello di “crisi” che, se non adeguatamente affrontata, rende probabile la crisi medesima la quale, a sua volta, può sfociare nello stato d'insolvenza. Dei tre diversi stadi sopra citati, la “pre-crisi” rappresenta, senza dubbio, quello meno “grave” o, secondo una diversa prospettiva, “più leggero” e, come tale, più facilmente affrontabile e risolvibile, che dovrebbe rappresentare il vero campanello di allarme per far fronte al temporaneo stato di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa (di diverso avviso, E. La Marca, Insolvenza, crisi e pre-crisi nel Codice della crisi, a valle della emanazione del Decreto Attuativo della Direttiva Insolvency, in dirittodellacrisi.it, 22 agosto 2022, secondo cui la situazione di pre-crisi, apparentemente inseguita dalla disciplina unionale, non sembra essersi tradotta in un concetto diverso dalla crisi. “E questo, unitamente alla circostanza che la Direttiva Insolvency espressamente rinuncia alla definizione di insolvenza e di probabilità di insolvenza, rimettendola alle discipline nazionali (art. 2, § 2, lett. a), consente di non ravvisare discrepanze tra la disciplina interna e disciplina unionale, nonostante il riferimento del Codice della crisi allo stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario).

Al riguardo, è stato osservato (F. Lamanna, Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata, cit.) che il riferimento alla probabilità, da un lato, fa retrocedere lo stato di crisi ad un momento antecedente a quello della crisi vera e propria e quindi fino ad una sorta di “pre-crisi”, che dovrebbe consentire l'accesso anche alle imprese che si trovano nella cd. twilight zone - ovvero il momento della vita dell'impresa che si pone a monte della manifestazione di un vero e proprio stato d'insolvenza (l'espressione è di P. Montalenti, La gestione dell'impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 820 ss.) - che versano cioè in situazioni di lieve difficoltà, con un notevole allargamento della possibilità di avvalersi dello strumento; dall'altro, fa retrocedere allo stesso modo l'insolvenza, escludendo che questa possa giocare come presupposto oggettivo nell'attualità, e quindi ammettendo come presupposto l'attuale esistenza solo di una crisi come stadio meno grave dell'insolvenza.

In tale ottica, le uniche condizioni per l'accesso alla composizione negoziata parrebbero essere la pre-crisi, da intendersi come stadio meno grave della crisi (“probabilità di crisi”) e la crisi, da intendersi come stadio meno grave dell'insolvenza (“probabilità di insolvenza”). Tale conclusione, tuttavia, viene contrastata dal Decreto Dirigenziale approvato dal Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia il 28 settembre 2021, laddove, alla sezione III, par. 2.4, si sostiene che ove l'esperto ravvisi “la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata”, consentendo quindi il ricorso alla citata composizione negoziata anche in presenza di stato d'insolvenza, considerata “reversibile” (in senso conforme, M. Fabiani, I. Pagni, Introduzione alla composizione negoziata, in Fallimento, cit. 1483, per i quali il ricorso alla composizione negoziata è consentito anche all'imprenditore insolvente, a patto che l'esperto “scorga concrete prospettive di risanamento”; A. Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Crisi e insolvenza. Scritti in ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 412, secondo cui anche l'impresa insolvente “se alleggerita da buona parte dei debiti mediante un accordo con il ceto creditorio, può avere a volte opportunità di sopravvivenza”. Contra, S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal DL 118/2021, in dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021, 9, secondo cui quando l'impresa arriva decotta deve procedersi all'archiviazione immediata da parte dell'esperto).



L'insolvenza prospettica

Con il codice della crisi, dunque, l'ottica con cui viene considerata l'insolvenza è sensibilmente mutata: mentre in passato la stessa era considerata rilevante solo se attuale, con il citato codice è rilevante – come crisi - anche se soltanto potenziale e prospettica (B. Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistemi sanzionatori nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, cit.).

Al riguardo, non si può non rilevare che negli ultimi anni il dibattito sul concetto di insolvenza si è concentrato sulla prospettiva temporale al quale va riferito il suo accertamento. In tale contesto, si è discusso in relazione a se, l'apertura di una procedura concorsuale, fosse subordinata all'esistenza di una incapacità patrimoniale effettiva ed attuale da parte dell'imprenditore o se, al contrario, fosse possibile la dichiarazione di fallimento anche sulla base di un giudizio prognostico in merito alla imminente evoluzione finanziaria ed economica dell'impresa.

Quest'ultima tesi, definita appunto “insolvenza prospettica”, è andata progressivamente affermandosi, sul presupposto che solo attraverso una valutazione prospettica dell'insolvenza è possibile distinguere tra stato di insolvenza e situazioni di mera difficoltà transitoria, come tali, reversibili e non definitive che, quindi, esulano dai confini del requisito oggettivo di cui all'art. 5 L. Fall. (Cass. 20 novembre 2018, n. 29913. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 9 ottobre 2019; App. Palermo 23 novembre 2021, in ilcaso.it, secondo cui al fine di accertare l'insolvenza di un imprenditore è necessario valutare non solo la situazione esistente al momento della decisione, ma anche il suo prevedibile sviluppo; con la conseguenza che “tale valutazione prognostica deve prendere in considerazione non isolati aspetti dell'attività imprenditoriale, ma tutti gli elementi significativi – e, tra questi, i fattori generatori di liquidità connessi al ciclo produttivo, la capacità di produzione di reddito e il mantenimento del credito – utili a misurare l'attitudine dell'impresa a disporre economicamente e finanziariamente dei mezzi e della liquidità necessari per fare fronte al regolare adempimento delle proprie obbligazioni e, sostanzialmente, a sopportare i costi determinati dallo svolgimento della gestione aziendale”).

In definitiva, si è ritenuto possibile l'accertamento dell'insolvenza e la conseguente dichiarazione di fallimento dell'imprenditore che, pur avendo soddisfatto i creditori le cui pretese siano diventate esigibili, in un futuro prossimo si rivelerà con ogni probabilità non in grado di far fronte - sulla base di una normale prospettiva di continuità aziendale - alle proprie obbligazioni; in questo modo prevenendo l'aggravamento del dissesto che, al contrario, si produrrebbe nel caso in cui l'apertura della procedura concorsuale fosse ritardata sino all'effettivo verificarsi degli insoluti.

Sulla questione, è stato comunque osservato come l'attribuzione alla nozione di insolvenza di una capacità di proiettare la qualificazione del presente in una prospettiva futura sia del tutto analoga alla probabilità di crisi che, ai sensi della sopra citata definizione di cui all'art. 2 comma 1 lett. a) CCII, “si declina in termini di inadeguatezza dei flussi di cassa prospettica” (A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di azione degli organi sociali nelle situazioni di crisi atipica, in ilcaso.it, 11 gennaio 2019, 6. In senso analogo L.A. Bottai, Le modifiche al codice civile dettate dalla L. n. 155/2017 e l'affermazione del diritto concorsuale societario, in questo portale, 23 aprile 2018, secondo cui il periodo di emersione dell'insolvenza prospettica corrisponde alla definizione di crisi di cui all'art. 2 lett. a) CCII).

In questa ottica, pertanto, l'insolvenza prospettica sembrerebbe avere un significato analogo allo stato di crisi come definito dal più volte citato art. 2 comma 1 lett. a) CCII.

Tale definizione di crisi, in realtà, contiene sia un elemento propriamente definitorio, rappresentato dalla probabilità di insolvenza conseguente dallo stato di difficoltà economico-finanziaria; sia uno, di natura sintomatica, rappresentato dalla inadeguatezza, in prospettiva, dei flussi di cassa al fine del rispetto del piano dei pagamenti nei successivi dodici mesi.



Conclusioni

Le brevi riflessioni sopra riportate evidenziano come con il D. Lgs. 14/2019 - nella versione definitiva entrata in vigore il 15 luglio 2022 - , sia stata offerta una nozione “ampia” di stato di crisi, che va dalla probabilità di crisi (c.d. pre-crisi), come definita dall'art. 12 comma 1 CCII, alla probabilità di insolvenza (crisi) secondo la definizione dell'art. 2 comma 1 lett. a) CCII; che, in assenza dell'adozione di misure idonee alla rilevazione tempestiva dello stato di crisi medesimo e dell'assunzione di opportune iniziative necessarie a farvi fronte (art. 3 CCII), può sfociare nello stato d'insolvenza.

L'insolvenza, a sua volta, può essere sia “reversibile” (art. 21 CCII), quando, pur in presenza di incapacità a far fronte regolarmente alle obbligazioni esistono comunque concrete prospettive di risanamento dell'impresa; sia “irreversibile”, fattispecie nella quale l'impresa versa in uno stato di difficoltà economico-finanziario irrimediabile.



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