Procedimento competitivo ex art. 163 bis e tutela dei creditori ipotecari

Francesca Monica Cocco
15 Novembre 2022

La fattispecie concreta, cui il quesito inerisce, è quella di una procedura di concordato preventivo, caratterizzata dall'offerta di acquisto di beni immobili, già gravati da ipoteca, da parte di un terzo soggetto, con la conseguente necessità per il tribunale di indire una procedura competitiva ex art. 163 bis l. fall.

Unitamente al decreto di apertura di un concordato preventivo, il tribunale ha emesso un decreto con cui bandisce la vendita competitiva, ai sensi dell'art. 163 bis l.fall., dei beni immobili inseriti nel concordato ed oggetto di promessa di acquisto da parte di soggetti terzi.

Peraltro la gara di vendita avverrà prima dell'udienza nella quale i creditori esprimeranno il loro voto e l'eventuale atto notarile entro i 60 successivi giorni, quindi prima dell'omologa. Il tutto con conseguente cancellazione delle ipoteche.

Alcuni creditori ipotecari sono allarmati perché temono che le somme ricavate dalla vendita non abbiano sufficiente certezza di essere destinate ad essi nel caso in cui il Tribunale rigetti l'omologa senza dichiarare contestualmente il fallimento.

Ritengono, infatti, che la società, tornando in bonis, si vedrebbe consegnare le somme ottenute dalla vendita, che, in teoria potrebbero essere poi – nelle mani dell'amministratore – destinate ai fini più diversi, nonostante che le loro ipoteche siano già state cancellate in virtù dell'avvenuta vendita. E' giustificato il loro timore? È possibile, cioè, che l'art. 163 bis contenga un “buco normativo” di tal genere?

La fattispecie concreta, cui il quesito inerisce, è quella di una procedura di concordato preventivo, caratterizzata dall'offerta di acquisto di beni immobili, già gravati da ipoteca, da parte di un terzo soggetto, con la conseguente necessità per il tribunale di indire una procedura competitiva ex art. 163 bis l. fall.

Il realizzo della procedura competitiva su beni gravati da ipoteca, dedotte le spese e secondo i principi di graduazione, è destinato alla soddisfazione dei creditori, come da piano e successivamente all'omologazione di quest'ultimo da parte del Tribunale.

Il quesito, poi, contempla il caso in cui – effettuata la vendita dei beni immobili gravati da ipoteca in sede di procedura competitiva, ed essendo stati, gli stessi immobili, oggetto di cancellazione dell'ipoteca – il Tribunale non omologhi il concordato, in guisa che i creditori ipotecari possano perdere le proprie aspettative di recupero sui beni ormai purgati dalle formalità pregiudizievoli.

Difatti, la mancata omologa del concordato preventivo, senza che successivamente intervenga una dichiarazione di fallimento, comporta, di fatto, il ritorno “in bonis” del debitore, con la conseguente astratta possibilità di dispersione delle somme derivanti dalla vendita degli immobili e di lesione dei diritti dei creditori ipotecari.

In sostanza, il realizzo della vendita del bene gravato da ipoteca in sede di procedura competitiva, non seguito dalla soddisfazione del credito, sterilizza il “diritto di seguito” proprio del creditore ipotecario, in caso di trasferimento del bene.

Si tratta della problematica legata alla tutela del creditore che gode di un diritto di prelazione su una cosa oggetto di vendita da parte dell'imprenditore sottoposto a procedura concordataria in una fase anticipata rispetto a quella fisiologica di adempimento della procedura.

Ebbene, la legge non disciplina tale ipotesi, pertanto si pone il problema di individuare delle soluzioni che consentano ai creditori ipotecari la tutela dei propri diritti, ormai irreparabilmente inficiati dall'esperimento della procedura competitiva (ovvero dalla vendita e dalla cancellazione dell'ipoteca).

Si ritiene che tali soluzioni debbano essere perseguite, preferibilmente, in via anticipata rispetto al momento eventuale della mancata omologa e cioè che debbano essere perseguite già nel corso della procedura di concordato preventivo.

Nel caso in cui venga indetta la procedura competitiva su beni immobili già gravati da ipoteca prima dell'omologa, i creditori ipotecari possono richiedere che, dopo la vendita dei beni immobili ipotecati, si proceda all'immediato pagamento – in deroga al divieto di soddisfacimento dei creditori concorsuali – del creditore ipotecario; pagamento, che non potrà che essere autorizzato nel rispetto della previsione di cui all'art. 167 l. fall., qualora disposto nel corso della procedura di concordato.

Questa soluzione potrebbe essere supportata dalla pronuncia Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2016, n. 3324, secondo la quale i pagamenti eseguiti dall'imprenditore ammesso al concordato preventivo, anche se effettuati in assenza di autorizzazione del Tribunale, non comportano la revoca automatica dell'ammissione alla procedura ex art. 173, ultimo comma, l. fall., qualora essi non siano diretti a frodare i creditori pregiudicando le chance di adempimento della proposta di concordato.

E difatti, anche il pagamento anticipato dei creditori privilegiati non costituisce atto di frode ed anzi consente di conservare l'integrità del patrimonio liquido ad essi destinato; sicché esso sarebbe legittimo, alla luce della citata giurisprudenza della Cassazione.

A fronte della predetta pronuncia, la scelta di addivenire ad una soddisfazione anticipata del creditore privilegiato, in dispregio al divieto di pagamento dei creditori ante procedura, conserva i suoi rischi, anche perché sarebbe lesiva del principio che prevede di imputare le spese prededucibili al ricavato del bene gravato da ipoteca; spese che spesso, nella fase iniziale del concordato, non sono sempre facilmente individuabili.

Una parte della dottrina ha ravvisato diversa soluzione, ai fini della “sopravvivenza” del vincolo ipotecario: ovvero il riferimento alla sussistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale, in base a cui la sostituzione del vincolo reale si determina ogniqualvolta un bene vincolato venga “trasformato” in un altro.

In ragione di tale principio, avverrebbe dunque un “trasferimento” del vincolo prelatizio dal bene alle somme che il creditore ipotecario avrebbe diritto di ottenere. Trattasi della surrogazione reale, in cui la prelazione si trasferisce dal bene originario al bene sostitutivo, da distinguersi dalla surrogazione personale, perché a mutare non è il soggetto titolare del rapporto, bensì l'oggetto del rapporto stesso.

Tuttavia, anche questa soluzione presenta delle criticità.

In primo luogo, in materia di privilegi, vige il principio della tipicità, e questo ostacola l'applicazione analogica della surrogazione reale al di fuori dei casi tassativamente previsti dal codice civile; a meno di ipotizzare che il debitore ed il creditore privilegiato stipulino un patto para-concordatario e la proposta di concordato contenga un'apposita previsione in tal senso, ritenuta ammissibile dal Tribunale.

In secondo luogo, il vero problema non è solo quello di segregare temporaneamente le somme realizzate dalla vendita del bene in attesa dell'omologa, ma soprattutto di garantire che al creditore ipotecario sia comunque assicurato un soddisfacimento prioritario, anche in ipotesi di fuoriuscita del debitore dalla procedura concordataria in cui è avvenuta la vendita del bene.

Tanto che, altra dottrina, ha ipotizzato, piuttosto, di poter costituire in pegno la somma equivalente a quella realizzata dalla vendita del bene oggetto di garanzia, a favore del creditore privilegiato, previa autorizzazione del Tribunale.

Altra soluzione ravvisata dalla dottrina è quella di depositare apposita istanza, affinché il Tribunale disponga l'apertura di un conto corrente specifico delle somme derivanti dalla vendita degli immobili a favore dei creditori ipotecari, anche in caso di rinuncia, revoca o mancata omologazione del concordato.

Tuttavia, in quest'ultimo caso, permane il dubbio che la chiusura del concordato non possa far “sopravvivere” il limite che normalmente nasce dal deposito della somma su di un conto della procedura vincolato all'ordine del Tribunale, posto che, venuti meno gli effetti segregativi del procedimento, non dovrebbe persistere nemmeno quel vincolo.

Una soluzione pragmatica potrebbe consistere nella segregazione delle somme ricavate in un trust di scopo vincolato al soddisfacimento del creditore privilegiato, oppure nell'erezione di un vincolo di destinazione ai sensi dell'art. 2645 ter c.c.: anche per chi ritiene che la revocatoria ordinaria di tale atto possa sfuggire all'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. e), l.fall., infatti, dovrebbe risultare quantomai arduo dimostrare l'inerenza del “pregiudizio” di cui all'art. 2901 c.c., trattandosi di atto che assicura al creditore antergato nulla di più ciò che gli è dovuto, nonché compiuto dagli organi della procedura o comunque sotto il loro controllo (Danilo Galletti, Tutela del creditore privilegiato e vendita del bene vincolato nel concordato, 4 gennaio 2017, Il Fallimentarista).

In conclusione, ed a fronte delle soluzioni sopra esaminate, unitamente alle loro criticità e rischi, nel caso in cui venga indetta la procedura competitiva su beni immobili già gravati da ipoteca prima dell'adunanza dei creditori e prima dell'omologa, i creditori ipotecari possono proporre reclamo contro il decreto, ovvero depositare apposita istanza, affinché il Tribunale voglia condizionare all'omologazione del concordato l'obbligo di dare attuazione all'offerta risultata aggiudicataria all'esito della procedura competitiva: il decreto di accoglimento risolverebbe, così, il problema della sorte dell'offerta risultata aggiudicataria nell'ipotesi di mancata omologazione del concordato.