Responsabilità professionale dell’avvocato che omette di eccepire una nullità rilevabile d’ufficio

Redazione scientifica
16 Novembre 2022

Deve escludersi l'ipotesi di responsabilità professionale per l'avvocato che erroneamente omette di eccepire una nullità comunque rilevabile d'ufficio sulla base del materiale processuale già acquisito e dal quale il giudice non può prescindere.

La vicenda su cui si è pronunciata la Corte di cassazione trae origine dal giudizio instaurato da G.B. contro due avvocati, con cui il primo chiedeva ne la condanna al risarcimento dei danni, previo accertamento della loro responsabilità professionale.

Evidenziava che aveva incaricato l'avvocato A. di predisporre una causa di impugnazione per licenziamento disciplinare e che il difensore incaricato che aveva predisposto il ricorso aveva omesso di eccepire la mancata preventiva contestazione dell'addebito, che avrebbe comportato l'illegittimità del licenziamento.

Successivamente, a seguito di rinuncia al mandato da parte dell'avv. A., aveva affidato l'incarico all'avv. G., il quale non aveva eccepito il difetto di forma del licenziamento e aveva poi rinunciato al mandato.

Il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso e anche il successivo appello proposto, con il quale era stata dedotta la violazione dell''art. 7 della l. n. 300/1970, era stato respinto per tardività dell'eccezione.

La Corte d'appello, condividendo quanto affermato dal giudice di primo grado, aveva rilevato che, a seguito della sentenza della Sezioni Unite n. 26242/2014, anche la nullità per mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 7 della l. n. 300/1970 era stata considerata come nullità di protezione, come tale rilevabile d'ufficio.

Di conseguenza, sebbene G.B. non avesse ottenuto la declaratoria di nullità del licenziamento in sede di gravame, avrebbe comunque potuto sollecitare l'esercizio del potere d'ufficio in Cassazione, sicché l'errore ascritto ai due avvocati non aveva avuto efficienza causale rispetto al mancato accoglimento della domanda.

G. B. impugnava così la decisione con ricorso per cassazione, censurandola nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto che l'errore ascrivibile ai due avvocati non avrebbe avuto efficienza causale riguardo al rigetto della domanda.

Evidenziava che la sentenza disattendeva l'art. 437 c.p.c., comma 2, che vieta l'ammissione di nuove domande ed eccezioni, l'art. 112 c.p.c., che preclude la pronuncia d'ufficio su eccezioni proponibili solo dalle parti, nonché l'art. 414 c.p.c. che impone la precisazione dei fatti e degli elementi di diritto alla base della domanda.

Applicando tali disposizioni normative, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello, anche il ricorso per cassazione, ove proposto, sarebbe stato rigettato, il che impone di ritenere sussistente il nesso di causalità tra la condotta dei due avvocati ed il pregiudizio da lui subito.

A sostegno delle censure il ricorrente invocava l'applicazione della giurisprudenza di legittimità in ambito giuslavoristico che nega il diritto della parte di aggiungere ulteriori ragioni di invalidità nel corso del processo ed al giudice di procedere al rilievo officioso di ragioni di nullità del licenziamento diverse da quelle eccepite.

I giudici di legittimità hanno preliminarmente richiamato i vari orientamenti giurisprudenziali formatisi in tema di rilevabilità officiosa delle nullità nell'ambito del licenziamento, ritenendo improprio il richiamo alla giurisprudenza della sezione lavoro citata dal ricorrente.

Hanno quindi rilevato, da un lato, che «il giudice, ai fini della decisione, non può prescindere dal materiale processuale già esistente ed acquisito al giudizio dal quale emergano fatti che siano idonei ad integrare il profilo a rilievo officioso».

Dall'altro, hanno evidenziato che «l'esistenza in atti di tale materiale processuale è necessario e sufficiente a consentire la rilevazione officiosa della nullità dell'atto, pur se diversa da quella dedotta e allegata dalla parte, in ossequio ai principi dettati dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 26242 e 26243/2014)».

Nel caso di specie, dall'esame della lettera di licenziamento, riprodotta dalle parti in ricorso e in controricorso, emergeva che la contestazione del fatto era stata contestuale al licenziamento, sicché era evidente che risultava, dai documenti di causa, che non fosse stato rispettato l'iter di cui all'art. 7 della l. n. 300/1970.

Trattandosi di un fatto già acquisito al processo, ben era possibile — ed anzi doveroso — il rilievo officioso, da parte del giudice di appello, dell'esistenza di una causa di nullità diversa da quella allegata, come del tutto correttamente il giudice di primo grado e successivamente la Corte d'appello hanno ritenuto.

Ciò impone di escludere che l'errore professionale ascrivibile ai professionisti abbia spiegato efficienza causale rispetto al mancato accoglimento della domanda di declaratoria di nullità del licenziamento, posto che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello.

Per questi motivi, la Corte ha rigettato il ricorso.