Il contratto di sub-partecipazione per l'acquisto dei proventi dei crediti del concedente non è soggetto all'IVA

Pasqualina A. P. Condello
16 Novembre 2022

Rientrano nella nozione di concessione di credito, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1 lett. b, della direttiva 2006/112/Ce e godono, pertanto, dell'esenzione IVA ivi prevista i servizi forniti, da un fondo di investimento in base a un contratto di sub-partecipazione, consistenti nella messa a disposizione del cedente di un contributo finanziario in cambio del versamento dei proventi dei crediti che restano nel patrimonio del cedente.
Il principio

Con sentenza 6 ottobre 2022 in causa C–250/21, Szef Krajowej Administracji Skarbowej c. O. Fundusz Inwestycyjny Zamkniety reprezentowany przez O S.A., la Corte di Giustizia U.e. ha affermato che l'articolo 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112/CE, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che rientrano nella nozione di concessione di credito, ai sensi di tale disposizione, i servizi forniti da un sub-partecipante in base ad un contratto di sub-partecipazione, consistenti nella messa a disposizione del cedente di un contributo finanziario in cambio del versamento dei proventi dei crediti specificati in tale contratto, i quali rimangono nel patrimonio del cedente.

Il fatto

Il fondo di cartolarizzazione polacco, O. Fundusz, dovendo stipulare contratti di sub-partecipazione con banche o fondi di investimento, presentò al Ministero delle Finanze polacco un'istanza di interpello al fine di conoscere se le prestazioni che avrebbe dovuto fornire in qualità di sub-partecipante potessero beneficiare dell'esenzione dall'IVA.

Con interpello del 30 dicembre 2015, il Ministro delle Finanze, discostandosi dalla interpretazione prospettata dal Fondo, secondo la quale i servizi forniti in base ai contratti di sub-partecipazione, assolvendo ad una duplice funzione di strumento di credito e di copertura del rischio, erano esenti dall'IVA, ritenne, al contrario, che il contratto di sub-partecipazione non potesse essere assimilato ad un contratto di credito e non rientrasse in alcuna delle esenzioni dall'IVA.

In esito al ricorso proposto dal Fondo, il giudice di primo grado annullò l'interpello, ritenendo che il contratto di sub-partecipazione costituisse strumento finanziario analogo ai contratti di credito.

La sentenza venne impugnata dall'autorità tributaria dinanzi alla Corte Suprema amministrativa, la quale, osservando che il contratto di sub-partecipazione presentava peculiarità che lo distinguevano da un contratto di credito, del tutto coincidenti con quelle evidenziate dal Ministro delle Finanze nell'interpello, ha sospeso il procedimento e proposto questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, al fine di acclarare: ‹‹se l'articolo 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che l'esenzione prevista da tale disposizione in relazione alle operazioni di concessione di crediti, di negoziazione di crediti o di gestione di crediti si applica anche al contratto di sub-partecipazione descritto nel procedimento principale››.

La Corte di giustizia U.e. ha risolto la questione nei termini riportati in premessa (punti da 21 a 43 della decisione).

La motivazione

1. Nell'esaminare la questione sottoposta al suo esame, la Corte osserva, innanzitutto, che i servizi forniti da un sub-partecipante in forza di un contratto di sub-partecipazione costituiscono prestazioni effettuate a titolo oneroso ai sensi dell'art. 2, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva IVA, considerato che il sub-partecipante ed il cedente si impegnano reciprocamente, il primo, a mettere a disposizione del cedente un contributo finanziario e, il secondo, a trasferire al sub-partecipante i proventi dei crediti specificati in detto contratto, conservando al contempo nel suo patrimonio i titoli di credito, e ritenuto inconferente, ai fini del carattere oneroso di una prestazione di servizi, il fatto che la retribuzione non rivesta la forma del versamento di una provvigione o del pagamento di spese specifiche.

Sebbene, secondo quanto già stabilito da precedenti pronunce, un operatore che acquisti, a proprio rischio, crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al loro valore nominale non effettua una prestazione di servizi ‹‹a titolo oneroso››, ai sensi della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari, la Corte ha posto in rilievo che il sub-partecipante non acquista, a proprio rischio, crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al loro valore nominale e che, come precisato dalla stessa autorità tributaria nell'interpello, l'importo del contributo finanziario messo a disposizione del cedente è generalmente determinato diversamente dal prezzo pagato da un cessionario per la cessione di crediti (cfr. punti da 23 a 29 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

In secondo luogo, la decisione rammenta che le esenzioni di cui all'art. 135, paragrafo 1, della Direttiva IVA costituiscono nozioni autonome del diritto dell'Unione, che mirano ad evitare divergenze nell'applicazione del sistema dell'IVA da uno Stato membro all'altro, e puntualizza che dette esenzioni devono essere interpretate restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo. Con la ulteriore precisazione che, tuttavia, l'interpretazione dei termini con cui sono state designate le esenzioni deve essere conforme agli obiettivi perseguiti dalle medesime esenzioni e rispettare quanto prescritto dal principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, non dovendo la regola dell'interpretazione restrittiva comportare che i termini utilizzati per definire le esenzioni privi queste ultime dei loro effetti (cfr. punti da 30 a 32 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

Muovendo da tali premesse, la decisione, dovendo dare risposta alla questione se le prestazioni del sub-partecipante rientrino nella nozione di concessione di credito, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, procede all'analisi della nozione di concessione di credito nei termini che di seguito si riportano.

2. Osservando che la concessione di credito, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, consiste nella messa a disposizione di un capitale dietro corrispettivo, la Corte sottolinea che, in base all'elaborazione giurisprudenziale, anche la remunerazione realizzata mediante forme di corrispettivo diverse dal pagamento di interessi non impedisce che un'operazione possa essere qualificata come concessione di credito, ai sensi della disposizione in esame, come già affermato con riferimento al finanziamento anticipato dell'acquisto di merci a fronte di una maggiorazione dell'importo rimborsato dal beneficiario di tale finanziamento (cfr. punti 33 e 34 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

Rileva, pure, la Corte che le operazioni esenti ai sensi della disposizione richiamata sono definite in funzione della natura delle prestazioni di servizi fornite e non in funzione del prestatore o del destinatario del servizio, cosicché, non dipendendo l'applicazione di tali esenzioni dallo status dell'entità che fornisce tali servizi, l'espressione ‹‹concessione (…) di crediti››, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112, non può essere limitata ai soli prestiti e crediti concessi da organismi bancari e finanziari (cfr. punto 35 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

Passando, quindi, al concreto esame della fattispecie ad essa sottoposta, la Corte, constatato, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, che il servizio fornito dal sub-partecipante al cedente in base al contratto concluso tra loro era costituito da una sola prestazione che consisteva, essenzialmente, nel versamento di un capitale in cambio di un corrispettivo, si è preoccupata di verificare se siffatta prestazione, valutata globalmente, avesse la natura di una concessione di credito, ai sensi del citato art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA.

A tale riguardo, la Corte ha rimarcato che il contratto di sub-partecipazione dà luogo, fin dalla sua stipula, alla messa a disposizione, da parte del sub-partecipante, di un capitale al cedente in cambio di una remunerazione costituita dalla differenza tra il capitale versato al cedente e gli importi ricevuti dal sub-partecipante durante la vigenza del contratto di sub-partecipazione in relazione ai proventi dei crediti specificati in tale contratto; e che rimanendo i titoli di credito nel patrimonio del cedente, il sub-partecipante non ha diritto di rivalersi verso quest'ultimo in caso di inadempimento dei debitori dei crediti di cui trattasi.

Ha, poi, evidenziato che la circostanza che il sub-partecipante sia esposto a perdite potenziali e sopporti così il rischio di credito è inerente a qualsiasi operazione di concessione di credito, a prescindere dal fatto che tale rischio derivi dal mancato pagamento dei debitori dei crediti i cui proventi gli sono trasferiti o dall'insolvenza della sua controparte contrattuale diretta, e che, allo stesso modo, l'assenza di garanzie costituite a favore del sub-partecipante non è determinante ai fini della qualificazione del contratto di sub-partecipazione come operazione di concessione di credito. E ciò sulla base della considerazione che le misure adottate per attenuare il rischio di credito, consistenti generalmente nella costituzione di garanzie, immobiliari o di altro tipo, possono variare in funzione del tipo di finanziamento e non rivestono un carattere essenziale per tale qualificazione, essendo questa unicamente subordinata al soddisfacimento dei due elementi costituiti dalla messa a disposizione di un capitale e dal versamento di una remunerazione.

Conseguentemente, prosegue la Corte, il fatto che il sub-partecipante non abbia il diritto di rivalersi verso il cedente in caso di inadempimento dei debitori dei crediti i cui proventi gli vengono trasferiti ed il fatto che i titoli di credito rimangano nel patrimonio del cedente, o ancora che l'origine del capitale che sarà utilizzato per soddisfare il sub-partecipante sia menzionata nel contratto di sub-partecipazione, non pregiudicano la natura essenziale di un'operazione di sub-partecipazione consistente nel finanziare i prestiti iniziali (cfr. punti da 36 a 40 della decisione).

Così argomentando, la Corte addiviene, quindi, a ritenere che una siffatta interpretazione della nozione di concessione di credito, non rimettendo in discussione il principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, sia conforme all'obiettivo perseguito da tale disposizione che consiste, in particolare, nell'evitare un aumento del costo del credito al consumo (cfr. punto 41 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

3. La conclusione è, quindi, che rientrano nella nozione di concessione di credito, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva n. 2006/112/CE, i servizi forniti da un sub-partecipante in base ad un contratto di sub-partecipazione, consistenti nella messa a disposizione del cedente di un contributo finanziario in cambio del versamento dei proventi dei crediti che rimangono nel patrimonio del cedente.

Considerazioni

1. La decisione in rassegna, ponendosi nel solco dell'orientamento giurisprudenziale ormai intrapreso da precedenti pronunce, fornisce ulteriori indicazioni in merito alla delimitazione della categoria di operazioni esenti dall'IVA nell'ambito delle attività finanziarie.

Nell'intento di stabilire se l'esenzione prevista dall'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA in relazione alle operazioni di concessione di crediti, di negoziazione di crediti o di gestione di crediti si applichi anche al contratto di sub-partecipazione descritto nel procedimento principale, la Corte chiarisce, preliminarmente, che i servizi forniti da un sub-partecipante rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva IVA perché integranti prestazioni a titolo oneroso.

A tale proposito, dopo avere ribadito, in conformità alla previsione di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA, che le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso presuppongono un rapporto giuridico tra il prestatore ed il destinatario nell'ambito del quale il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario (C.G.U.E. Loyalty Management UK e Baxi Group in causa C-53/09 e C- 55/09, punto 51; C.G.U.E. Le Rayon D'Or, in causa C-151/13, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata; C.G.U.E , sentenza del 22 ottobre 2015, Hedqvist, in causa C-264/14, punti da 27 a 31, nella quale si afferma che “costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità di valuta virtuale “bit-coin” e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l'operatore interessato acquista le valute e, dall'altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti”), anche laddove il corrispettivo non assuma la forma di una provvigione o del pagamento di spese specifiche (C.G.U.E. sentenza del 22 ottobre 2015, Hedqvist, in causa C-264/14, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata), evidenzia che dette condizioni risultano soddisfatte nel contratto di sub-partecipazione. Difatti, questo si caratterizza per la sussistenza di un sinallagma tra la messa a disposizione, da parte del sub-partecipante, di un contributo finanziario ed il trasferimento, da parte del cedente, dei soli proventi dei crediti, specificati nello stesso contratto, che rimangono tuttavia nella titolarità del cedente. In tal modo, il cedente usufruisce di un servizio in cambio di un corrispettivo che equivale alla differenza tra il valore previsionale dei proventi dei crediti e l'importo del contributo finanziario versato dal sub-partecipante.

Proseguendo nell'analisi del contratto di sub-partecipazione, la decisione in esame pone in luce, non rinnegando la posizione assunta dalla giurisprudenza unionale in merito alle cessioni aventi ad oggetto crediti deteriorati (o, anche, “NPLs”) (C.G.U.E. sentenza del 27 ottobre 2011, GFKL Financial Services, in causa C- 93/10, punto 26 che, pronunciandosi in una fattispecie in cui una società (GFKL) aveva acquistato da una banca crediti deteriorati, ad un prezzo inferiore al valore nominale del credito ceduto, assumendosi la responsabilità del recupero ed il rischio del mancato pagamento da parte del debitore ceduto, ha osservato che la differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti ed il prezzo di acquisto “…non costituisce un compenso diretto a retribuire direttamente un servizio fornito dall'acquirente dei crediti ceduti”, ma riflette il valore economico effettivo di tali crediti al momento della loro cessione su cui incide lo stato di sofferenza dei crediti stessi e l'accresciuto rischio di insolvenza dei debitori) — ma anzi sottolineando nuovamente che queste ultime non possono essere qualificate come prestazioni di servizi ‹‹a titolo oneroso›› — che il sub-partecipante non acquista, a proprio rischio, crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al valore nominale e che l'importo del contributo finanziario messo a disposizione del cedente viene determinato in modo diverso dal prezzo pagato da un cessionario per la cessione di crediti. Ciò perché l'attività economica del cessionario, nel primo caso, consiste nel sostituirsi al cedente nell'attività di recupero del credito e nel sollevarlo dal rischio di maturare ulteriori perdite e non ha, quindi, nulla a che vedere con l'attività economica con finalità di finanziamento propria del sub-partecipante che non acquista i crediti in sofferenza, perché essi rimangono nel patrimonio del cedente.

Affrontando, poi, il tema centrale ad essa devoluto, ossia se le prestazioni del sub-partecipante possano farsi rientrare nella nozione di ‹‹concessione di credito››, ai sensi dell'art. 135, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA, essendo questa la sola ipotesi di esenzione prevista ed applicabile, la Corte, facendo leva sulla giurisprudenza già da essa in precedenza elaborata, manifesta chiaramente di favorire una interpretazione in senso ampio dell'espressione ‹‹concessione e negoziazione di crediti››, figurante nella disposizione summenzionata, di modo che, per un verso, le operazioni esentate debbano essere definite in funzione della natura delle prestazioni di servizi fornite e non in funzione del prestatore o del destinatario del servizio (C.G.U.E. sentenza del 15 maggio 2019, Vega International Car Transport and Logistics, in causa C- 235/18, punto 43 e giurisprudenza ivi richiamata) e, per altro verso, la sua portata non possa essere limitata ai soli prestiti e crediti concessi da organismi bancari e finanziari; interpretazione questa corroborata dalla finalità del sistema comune, istituito dalla Direttiva IVA, che tende, segnatamente, a garantire ai soggetti passivi una parità di trattamento (C.G.U.E. sentenza del 15 maggio 2019, Vega International Car Transport and Logistics, in causa C- 235/18, punto 44 e 45; C.G.U.E. sentenza del 2 luglio 2020, Blackrock Investment Management (UK), in causa C-231/19, punto 21 e giurisprudenza ivi richiamata) [5]. Neppure trascura di sottolineare che, benché il corrispettivo venga, solitamente, versato mediante il pagamento di interessi, non possano essere escluse altre forme di remunerazione (C.G.U.E. sentenza del 15 maggio 2019, Vega International Car Transport and Logistics, in causa C-235/18, punti 47 e 48) [6].

Così individuata la nozione di concessione di credito e acclarato che, nel caso di specie, il servizio fornito dal sub-partecipante al cedente in base al contratto tra le stesse parti intercorso è costituito da una sola prestazione, consistente nel versamento di un capitale in cambio di un corrispettivo, la decisione fornisce risposta affermativa alla questione ad essa sottoposta in merito alla riconducibilità dei servizi del sub-partecipante nella nozione di concessione di credito ricadente nell'ambito di applicazione dell'art. 135, paragrafo 1, lett. b), della direttiva n. 2006/112/CE, non mancando di specificare che, ai fini di tale qualificazione, non è determinante che il rischio di perdita del credito, a cui è esposto il sub-partecipante, derivi dal mancato pagamento da parte dei debitori dei crediti i cui proventi gli sono trasferiti o piuttosto dall'insolvenza della sua controparte contrattuale diretta. La natura dell'operazione di sub-partecipazione come operazione di concessione di credito neppure può essere messa in discussione per l'assenza di garanzie, immobiliari o di altro tipo, a favore del sub-partecipante o per l'assenza di diritto di rivalsa diretta verso il cedente in caso di inadempimento dei debitori dei crediti i cui proventi vengono trasferiti al sub-partecipante, essendo tale qualificazione subordinata al soddisfacimento di due soli elementi, individuati nella messa a disposizione di un capitale e nel versamento di una remunerazione, e ciò a prescindere dalla forma contrattuale, tipica o atipica, prescelta.

La interpretazione della nozione di concessione di credito adottata, con la decisione in esame, dalla Corte - tenendo ben presente che le esenzioni, la cui definizione è svincolata dalla discrezionalità degli Stati membri, costituiscono nozioni autonome del diritto dell'Unione e vanno interpretate restrittivamente, in quanto costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (C.G.U.E. sentenza del 25 luglio 2018, causa C-5/17, Dpas Limited, punto 29; C.G.U.E. sentenza del 26 maggio 2016, causa C-607/14, Bookít Ltd, punto 34) [7] — risponde, dunque, all'esigenza di favorire, mediante la riduzione dei costi, l'accesso al credito.

2. L'art. 10, primo comma, n. 1, del d.P.R. n. 633/1972, prevedendo che sono esenti da IVA le operazioni creditizie e finanziarie, ha recepito nell'ordinamento interno l'art. 13 della sesta direttiva n. 77/388/CEE, trasfuso negli articoli da 131 a 137 della Direttiva IVA 2006/112/CE.

Le operazioni esentate ricomprese nella disposizione normativa sono definite in funzione della natura delle prestazioni di servizi fornite (e non in funzione del prestatore o del destinatario del servizio) e ricadono chiaramente nel campo delle operazioni finanziarie.

A fronte della varietà di operazioni di credito e di finanziamento individuabili nella prassi commerciale, la giurisprudenza di legittimità mostra di essere consapevole della centralità dello scrutinio, preliminare rispetto all'analisi sulle operazioni oggetto della singola controversia, circa la natura dell'attività svolta e circa l'aspetto prevalente nello scopo pratico perseguito dal contratto di volta in volta utilizzato (Cass. 27648/2020, pronunciandosi in tema di operazioni di factoring, consistenti, nel loro nucleo essenziale, nel recupero e nell'incasso dei crediti di terzi e, come tali, configuranti prestazioni di servivi imponibili non esenti, ha ritenuto necessario demandare al giudice di rinvio di accertare lo scopo pratico dell'operazione, da considerarsi esente da IVA qualora riveli natura finanziaria). In tal modo ponendosi in linea con l'orientamento della Corte di Giustizia che, al fine di qualificare un'operazione come rientrante nell'ambito delle attività finanziarie, richiede di valorizzare un'analisi di tipo funzionale, volta a verificare la sussistenza di una causa di finanziamento nell'operazione, ravvisabile, in estrema sintesi, laddove sussista la concessione di una somma dietro corrispettivo.

La decisione in rassegna fornisce un rilevante contributo interpretativo ai fini dell'applicazione della disposizione normativa interna, perché indica i criteri guida a cui il giudice nazionale dovrà attenersi al fine di valutare, al di là della qualificazione formale delle parti contraenti, la realtà economica e commerciale sottesa all'operazione ed al fine di tenere distinta l'attività con la quale l'operatore assume a proprio carico il rischio d'insolvenza dei debitori, a fronte di un corrispettivo, che costituisce certamente un recupero di crediti ed è esclusa dall'esenzione IVA, da quella di concessione di crediti, consistente, per il soggetto passivo, nel mettere a disposizione di altro soggetto passivo, dietro corrispettivo, un capitale, che gode, invece, di detta esenzione.