La disciplina dell'accesso: evoluzione normativa, tipologie, profili procedimentali e processuali

Ida Tascone
17 Novembre 2022

Il diritto di accesso è uno strumento indefettibile per garantire la trasparenza e l'imparzialità delle attività della pubblica Amministrazione e favorire, attraverso la circolazione delle informazioni tra Amministrazione e cittadino, la partecipazione del privato al procedimento.A tal fine, alla ricognizione dell'evoluzione nella disciplina normativa dell'accesso, segue l'analisi giuridica dei tipi di accesso, nonché l'esame dei profili procedimentali e processuali.
Il quadro normativo

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi si pone come strumento indefettibile per garantire la trasparenza e l'imparzialità delle attività amministrative e favorisce, attraverso la circolazione delle informazioni tra Amministrazione e cittadino, la partecipazione del privato al procedimento, essendo espressione dei valori di buon andamento e imparzialità fissati nell'art. 97 della carta costituzionale.

La sua riconduzione ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, in base all'art. 117, comma 2, lett. m) della carta costituzionale, sono riservati alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ne garantisce l'esercizio uniforme su tutto il territorio nazionale.

Alla figura dell'accesso risulta ancorato, altresì, il principio di informazione, individuabile non solo nell'art. 21 della carta, ma anche in tutti i principi cui essa è ispirata (di democrazia, di sovranità nazionale, di sviluppo della persona umana, di uguaglianza), i quali assolvono una funzione strumentale a quella della libertà di informazione.

Dall'analisi del formante legislativo rinvenuto nella legge 7 agosto 1990, n. 241, così come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, si ricavano due declinazioni dell'accesso. La prima corrisponde all'accesso partecipativo, la seconda a quello conoscitivo.

La medesima configurazione è rintracciabile oltralpe dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, i cui articoli 41 e 42, ripercorrono la duplice accezione di accesso partecipativo e conoscitivo delineata dalla legge n. 241/1990. In particolare, si rinvengono:

– l'art. 41 che include all'interno del più ampio “diritto ad una buona amministrazione” il diritto di ogni persona «di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio», nonché «di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale»;

– l'art. 42, rubricato “diritto d'accesso ai documenti”, che prevede il diritto «di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto».

Nello stesso senso l'art. 10, dedicato alla partecipazione, dispone per i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, per quelli che per legge debbono intervenire nel procedimento, nonché per i controinteressati, il diritto “di prendere visione degli atti del procedimento”, al quale si collega la possibilità di presentare memorie scritte e documenti che l'Amministrazione ha il dovere di valutare laddove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. Trattasi del cd. accesso partecipativo. Esso è funzionale ad istaurare un dialogo tra privato e P.A. e ad assicurare l'intervento nel procedimento.

L'art. 22, invece, fonda il cd. accesso conoscitivo, dettandone i principi, il contenuto, i limiti e le modalità, il quale può essere esercitato dal privato anche al di fuori di un determinato procedimento amministrativo o dalla necessità di esperire qualsiasi rimedio giustiziale o giurisdizionale.

La natura del diritto comprende sia la visione che l'estrazione di copia degli atti, superando quella tesi interpretativa di matrice giurisprudenziale secondo la quale, in presenza di determinate garanzie da rispettare per la tutela di eventuali controinteressati o della stessa Amministrazione, il diritto di accesso poteva limitarsi alla possibilità per l'interessato di prendere visione del documento escludendo la facoltà di acquisirne copia.

Ed è proprio l'art. 22 della L. 241/1990, al secondo comma, a valorizzare le finalità di pubblico interesse del diritto di accesso che «costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza».

Partecipazione e trasparenza si presentano ancora una volta come un binomio indefettibile per garantire la imparzialità della pubblica Amministrazione e delle sue attività.

La partecipazione del privato al procedimento è stata oggetto di importanti considerazioni, già prima dell'avvento della legge sul procedimento amministrativo, potendo svolgere sia una funzione collaborativa che difensiva (di tutela del proprio interesse coinvolto).

Nella prima accezione il privato apporterebbe, nell'oggettivo interesse pubblico, gli elementi per un'esaustiva valutazione della fattispecie concreta, mentre nella seconda versione si esprimerebbe con un atto chiamato “opposizione” (o partecipazione in senso stretto).

La stessa dicotomia è stata sottolineata attraverso i connotati oggettivo o soggettivo: l'intervento in senso oggettivo sarebbe offerta di collaborazione in sede istruttoria, in senso soggettivo si sostanzierebbe nella pretesa di tutela del privato.

Quel che risulta evidente è che la partecipazione del privato è importantissima per colmare quello stato di asimmetria informativa in cui versano le parti. Grazie alla partecipazione al procedimento, il privato condivide con l'Amministrazione una serie di dati che sono utilissimi per le decisioni dell'Amministrazione. Allo stesso modo, quest'ultima ha la possibilità di anticipare i risultati a cui è pervenuta ai fini di eventuali revisioni o migliori adattamenti alla realtà puntuale. In questo senso può dirsi che il privato partecipa all'istruttoria.

Si tratta di uno scambio virtuoso, improntato al principio di leale collaborazione che, oggi, peraltro, caratterizza l'art. 1 della legge n. 241/1990.

Questo risultato è stato possibile grazie all'intervento di quest'ultimo formante legislativo che ha avvicinato l'Amministrazione al cittadino, svecchiando in qualche misura la posizione di supremazia che il monopolio decisionale le conferisce e che condannava inesorabilmente il privato ad una condizione di soggezione, in virtù della sistematica opposizione del segreto d'ufficio.

Sono stati costruiti, dunque, nuovi modelli partecipativi e collaborativi per l'esercizio della funzione amministrativa, in grado di evidenziare il ruolo della persona all'interno del procedimento e finendo per traslare l'interesse dal provvedimento finale all'esercizio della funzione, alla sua correttezza e alla maggior tutela dei soggetti coinvolti.

Ecco, allora, che accanto alle due visioni di partecipazione, le quali corrisponderebbero alle funzioni istruttoria e garantistica, se ne aggiungerebbe una terza: strumento di partecipazione democratica, ossia legittimazione democratica del potere.

Il principio di segretezza viene sostituito dal principio di trasparenza, il quale informa, secondo l'art. 1 citato, l'operato dell'Amministrazione. Nell'ambito del procedimento amministrativo viene attuato mediante l'obbligo di motivazione, la comunicazione di inizio del procedimento, l'accesso agli atti e ai documenti ed altre disposizioni legate alla trasparenza quali quella di rendere pubblici i principali procedimenti amministrativi, il responsabile della relativa istruttoria, i suoi dati di contatto e l'eventuale modulistica reperibile on line.

Esso è strettamente collegato ad altri principi di diretta estrinsecazione della carta costituzionale. Si pensi al principio di ragionevolezza, di proporzionalità, di economicità, di semplicità, di celerità, di efficacia, di pubblicità, al divieto di non aggravare il procedimento, nonché al principio di buona fede e della tutela dell'affidamento.

Tutti principi che devono permeare il rapporto Stato-cittadino e che trovano espressione, seppur con diverse connotazioni, anche in altri rami del diritto.

Primo fra tutti il principio di ragionevolezza, strettamente legato al principio di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento, che è una vera e propria clausola generale dell'azione amministrativa, comunemente applicato nell'ordinamento europeo per operare il giusto bilanciamento tra il tra il diritto di accesso e l'interesse alla riservatezza.

Anche il principio di proporzionalità connota l'agire dell'Amministrazione richiedendo l'utilizzo, a parità di utilità, di strumenti o comportamenti che rechino meno pregiudizio all'altra parte.

La trasparenza, e quindi il diritto di accesso, agevola anche lo svolgimento dell'istruttoria al fine di giungere ad una esatta e completa ricostruzione dei fatti e degli interessi, ferme le conseguenze negative dell'accertamento della falsità delle dichiarazioni e degli elementi non veritieri addotti dal privato che diventano di ostacolo a qualunque forma di tutela dell'affidamento.

In questa chiave ricostruttiva deve essere pensato il nuovo istituto dell'accesso civico e generalizzato, riconducibile al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, così come modificato dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, attraverso cui si è voluto disegnare un nuovo concetto di trasparenza intesa come «accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche».

La definizione di accesso procedimentale

Il diritto di accesso agli atti amministrativi quale diritto esercitabile da chiunque, purché sia configurabile un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l'accesso, costituisce una previsione generale, i cui limiti vengono formulati a salvaguardia di interessi pubblici fondamentali.

Vi sono due ordini di limiti: il primo di natura oggettiva e il secondo di natura soggettiva che discende proprio dalla qualificazione di “interessato”.

In merito ai parametri oggettivi, l'articolo 22 rimanda all'art. 24 e detta due importanti previsioni sulla forma dei dati e la temporalità dell'esercizio del diritto.

Oggetto dell'accesso sono i documenti amministrativi, intesi come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni e non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti dalla P.A. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, ivi compresi, dunque, gli atti adottati da altre autorità o soggetti, siano essi pubblici o privati, nonché gli atti preparatori al provvedimento finale. Vi rientrano, infatti, anche gli atti di diritto privato formati dalla P.A. nonché quelli redatti dai privati, se utilizzati nei processi decisionali pubblici. Nessuna limitazione si registra qualora l'atto si presenti in forma “elettronica” o abbia perso la consistenza del documento cartaceo per trasformarsi in una registrazione puramente informatica.

L'accesso deve essere preordinato alla conoscenza di documenti già preesistenti ed individuabili e non può essere utilizzato allo scopo di promuovere la costituzione di documenti nuovi o l'elaborazione di dati.

Passando ai limiti per materia, l'art. 24 espone quattro categorie, due delle quali, attengono ai documenti coperti da segreto di Stato ed i documenti amministrativi dei procedimenti selettivi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

Per le altre due categorie, il limite si rinviene attraverso il richiamo alle norme specifiche che regolano la materia. Si tratta dei procedimenti tributari e dell'attività della pubblica Amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione. Esse sono accumunate dal fatto di scontare – con le stesse condizioni – anche la non applicazione di tutte le norma sulla partecipazione, sulla base della previsione dell'articolo 13 della legge n. 241/1990.

Altre ipotesi di esclusione sono previste dall'art. 24, comma 6, che prevede la possibilità per il Governo di individuare casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi per esigenze di tutela alla sicurezza, alla difesa nazionale, alla politica monetaria e valutaria, all'ordine pubblico, nonché in ordine ai documenti che riguardano la contrattazione collettiva nazionale di lavoro, oppure la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni.

Salva la possibilità di individuare, ai sensi dell'art. 24, comma 2, con proprio regolamento le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso, «una volta acclarata in concreto la riconducibilità di un documento» a tali categorie «il divieto di ostensione è cogente nei confronti della stessa Amministrazione, alla quale non è consentito con propria valutazione discrezionale “desecretare” il documento medesimo».

Il comma 5 dello stesso articolo, precisa, poi, che i documenti sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. È cura sempre della Amministrazione fissare per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso.

In conclusione, il diritto di accesso documentale costituisce un interesse ad accedere ai documenti diretto, concreto ed attale e precisamente:

a) diretto, perché personale, appartenente alla sfera dell'interessato e non riferibile a un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni, che rimane precluso ai sensi del comma 3 dell'art. 24 citato;

b) concreto, perché collegato a ragioni esposte nell'istanza e legato al bene della vita coinvolto dall'atto o documento;

c) attuale, perché il documento coinvolto abbia spiegato o sia idoneo a spiegare effetti diretti o indiretti nei confronti del richiedente.

Quindi l'interesse all'accesso deve corrispondere a una situazione giuridica tutelata e collegata, la cui valutazione, secondo le recenti decisioni dei giudici amministrativi, va effettuata analizzando la situazione sostanziale, valutando gli interessi contrapposti, le esigenze che si intendono salvaguardare nella fattispecie concreta e ricercando le possibili modalità pratiche che possano conciliare le opposte pretese.

In particolare, il diritto di accesso «non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento».

Nella legge generale sul procedimento amministrativo viene codificata la prevalenza del diritto di accesso sull'interesse alla riservatezza dei terzi, tutte le volte in cui l'accesso sia esercitato prospettando l'esigenza di difesa di un interesse giuridicamente rilevante, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 24 che si pone come irrinunciabile baluardo.

Come ribadito dal Consiglio di Stato: «L'equilibrio tra accesso e privacy è dato, dunque, dal combinato disposto degli artt. 59 e 60 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice della privacy) e delle norme di cui alla legge n. 241 del 1990: la disciplina che ne deriva delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso: nel più elevato si richiede la necessità di una situazione di “pari rango” rispetto a quello dei dati richiesti; a livello inferiore si richiede la “stretta indispensabilità” e, infine, la “necessità».

Dottrina e giurisprudenza pongono l'accento anche sulla motivazione in questi casi dell'istanza, che dovrà essere redatta in modo più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha reso poi quattro importanti pronunce in materia di accesso con le sentenze nn. 19, 20 e 21 del 25 settembre 2020 e la sentenza 18 marzo 2021 n. 4, in cui il massimo organo della giustizia amministrativa ha svolto interessanti precisazioni sul rapporto tra diritto al c.d. accesso difensivo del richiedente e diritto alla riservatezza del controinteressato.

In particolare, l'ultima pronuncia, richiamando i citati arresti del 2020, ha preliminarmente ricordato che “l'art. 24 della l. n. 241 del 1990 prevede, al riguardo: a) al comma 1, una tendenziale esclusione diretta legale dall'accesso documentale per le ipotesi ivi contemplate; b) al comma 2, un'esclusione demandata ad un regolamento governativo, con cui possono essere individuati casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi, tra l'altro e per quanto qui interessa, nella lettera d) «quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono»; c) al comma 7 un'esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell'indispensabilità e della parità di rango”.

Il Collegio ha conseguentemente osservato che nel caso controverso non venivano in rilievo né i “dati sensibili” quali definiti dall'art. 9 del Regolamento n.2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio e, cioè, dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, né i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 e, cioè, i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza, né i dati cc.dd. supersensibili di cui all'art. 60 del d. lgs. n. 196del 2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica della parte controinteressata, per poi ribadire che “ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo, preordinato all'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell'art. 24, comma 7,della l. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell'indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali, di cui si è detto, dell'accesso documentale di tipo difensivo.

La definizione di accesso civico

La disciplina dell'accesso civico cd. semplice prevede, all'art. 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, così come modificato dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, che chiunque può chiedere di prendere visione ed estrarne la copia dei documenti amministrativi che la pubblica amministrazione aveva l'obbligo di pubblicare, ma che la stessa ha omesso di rendere conoscibile ai terzi. Tale accesso può essere richiesto a prescindere dall'interesse del soggetto rispetto alle informazioni richieste.

L'Accesso civico semplice consente, nello specifico, di richiedere documenti, dati o informazioni che le amministrazioni hanno l'obbligo di pubblicare nella sezione "Amministrazione trasparente" dei propri siti istituzionali, nei casi in cui gli stessi non siano stati pubblicati (art. 5, c. 1).

In caso di accoglimento, l'amministrazione entro 30 giorni procede all'inserimento sul sito dei dati, delle informazioni o dei documenti richiesti e comunica al richiedente l'avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale a quanto richiesto nell'istanza presentata.

La definizione di accesso civico generalizzato

L'accesso civico generalizzato disciplinato dal citato d.lgs. n. 33/2013 è esercitabile da chiunque, senza necessità di dimostrare un particolare interesse qualificato o una motivazione, rispondendo ai principi di controllo diffuso e partecipazione dei cittadini all'attività della pubblica amministrazione.

In base all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. Il comma 3 del medesimo articolo prevede, inoltre, che l'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione.

La giurisprudenza si è interrogata sulle finalità dell'accesso civico generalizzato.

Secondo un primo orientamento – superato con il pronunciamento del 2 aprile 2020, n. 10 della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato – il presupposto di ammissibilità dell'istanza di accesso civico generalizzato sarebbe costituito dalla strumentalità alla tutela di un interesse generale.

Un secondo orientamento della giurisprudenza sostiene che la domanda di accesso civico generalizzato non possa essere respinta sul presupposto della non coincidenza tra l'interesse che sorregge l'istanza e l'interesse che si assume sia normativamente richiesto dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013. Ciò in quanto le finalità dell'accesso civico generalizzato - favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e promuovere la partecipazione al dibattito pubblico - non sono quelle che devono sorreggere l'interesse del cittadino, ma rappresentano la ratio complessiva dell'istituto (Tar Parma, Sez. I, 28 novembre 2018, n. 325). Tale giurisprudenza sottolinea la necessità di non confondere e sovrapporre tra loro le finalità generali indicate dalla norma con l'interesse specifico del richiedente, poiché, in caso contrario, si introdurrebbe surrettiziamente un limite ulteriore all'accesso rispetto a quelli codificati espressamente dalle norme, laddove i limiti dell'accesso civico generalizzato devono essere considerati di stretta interpretazione e corrispondono a quelli tassativamente previsti dal legislatore (Tar Campania, Sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418).

Sono, di conseguenza, ritenute ammissibili anche le richieste presentate per finalità egoistiche, in quanto possono concorrere anche indirettamente all'esercizio di un controllo diffuso sull'amministrazione, dovendo tale obiettivo non essere riferito alla singola domanda di accesso ma realizzando il risultato complessivo cui aspira la riforma sulla trasparenza (Tar Lombardia, Sez. II, 13 gennaio 2020, n. 10).

La circostanza che la richiesta sia reputata dall'amministrazione come egoistica non può, inoltre, rappresentare di per sé un “limite implicito” idoneo a limitare la conoscenza di documenti, dati e informazioni, in quanto, come si è già affermato, non è stato previsto dal legislatore come tale (Tar Campania, Sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 604).

La sentenza 2 aprile 2020, n. 10 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha aderito al secondo orientamento. Secondo l'Adunanza Plenaria, l'istanza di accesso civico generalizzato non può essere dichiarata inammissibile in assenza di un interesse diretto, attuale e concreto del richiedente, rappresentando, quest'ultimo, un presupposto dell'accesso documentale, non previsto invece dalla disciplina dell'accesso civico generalizzato. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha chiarito che la ratio dell'istituto non va confusa con l'interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, pur non dovendo essere pretestuoso o contrario a buona fede. L'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 garantisce l'interesse alla conoscenza in quanto tale, tutelato dall'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in quanto corollario essenziale della libertà di espressione nei sistemi democratici.

L'Adunanza plenaria ha, dunque, chiarito che è ammissibile una richiesta di accesso civico generalizzata qualunque sia il fine dell'istanza, anche egoistico. L'Amministrazione, infatti, non è tenuta ad accertare quale sia l'interesse del richiedente perché l'interprete o l'operatore del diritto non possono “creare” limiti aggiuntivi rispetto a quelli tassativamente indicati dall'art. 5-bis, co. 1-3 del d.lgs. n. 33/2013 (Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10).

La giurisprudenza che si è occupata dei limiti al diritto di accesso civico generalizzato ha fatto propria la distinzione tra eccezioni c.d. assolute ed eccezioni c.d. relative.

Le prime, disciplinate dall'art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013, comportano l'esclusione dell'accesso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, l. n. 241/1990.

I giudici amministrativi (Tar Toscana, sez. II, 25 settembre 2019, n. 1295; Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10) hanno chiarito che questa prima tipologia di eccezione serve a garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l'ordinamento giuridico, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa. In tale ipotesi, la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere preceduto da un'attenta e motivata valutazione in ordine alla sussunzione del caso nell'ambito dell'eccezione, che è di stretta interpretazione.

Alcune leggi di settore, anche anteriori al d.lgs. n. 97/2016, dettano specifiche regole sull'accesso ai documenti amministrativi.

Il dubbio che si è posto è se queste previsioni configurino eccezioni assolute ai sensi dell'art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013. Il caso più controverso ha riguardato i contratti pubblici.

Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10), che ha adottato un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, escludendo che il comma 3 dell'art. 5-bis possa essere inteso nel senso di esentare dall'accesso generalizzato interi ambiti di materie; l'art. 53, d.lgs. n. 50/2016, si limita a prevedere – fatti salvi alcuni divieti assoluti, nonché la disciplina per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza – che l'accesso debba essere semplicemente differito al momento dell'aggiudicazione.

Una volta venute meno le ragioni di riservatezza legate al sereno svolgimento della procedura competitiva, l'accesso civico generalizzato opera di diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l'operatività anche in specifiche materie (Tar Sicilia, Sez. I, 1º dicembre 2020, n. 3217).

Per quanto concerne le eccezioni relative, disciplinate nei commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, occorre che l'amministrazione effettui un bilanciamento degli interessi coinvolti (Tar Lazio, Sez. III-bis, 28 marzo 2018, n. 3453; Tar Puglia, Sez. II, 21 maggio 2018, n. 839; Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10). Riprendendo le indicazioni contenute nelle Linee guida ANAC n. 1309/2016, i giudici hanno chiarito che è possibile rigettare una richiesta di accesso civico generalizzato quando ciò sia necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati individuati dalla legge. Il rischio di un detrimento, pertanto, deve essere più che una mera possibilità generica e astratta, dovendo le amministrazioni motivare, in modo puntuale, l'effettiva sussistenza di un pregiudizio reale, prevedibile e non meramente ipotetico (Tar Campania, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418; Tar Toscana, sez. I, 24 dicembre 2020, n. 1718). Occorre dimostrare, inoltre, che esiste una relazione causale diretta tra la divulgazione e il danno che deriverebbe per l'interesse protetto (Tar Piemonte, Sez. II, 24 luglio 2017, n. 886; Tar Liguria, Sez. I, 13 novembre 2017, n. 826).

In base a tale orientamento, condiviso anche dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10), l'amministrazione dovrà operare una valutazione comparativa fra il beneficio che potrebbe arrecare la disclosure richiesta e il sacrificio causato agli interessi - pubblici e privati - contrapposti che vengono in gioco, alla luce dei i canoni di proporzionalità e ragionevolezza (Tar Lazio, sez. III-quater, 18 febbraio 2020, n. 2174). Così l'interesse alla conoscenza dell'informazione, del dato o del documento - di cui all'istanza di accesso generalizzato del richiedente - potrebbe non soccombere rispetto al pregiudizio concreto di un interesse-limite, se ritenuto di minore impatto (Tar Lazio, Sez. I, 28 ottobre 2020, n. 10994).

Analisi giuridica

Le principali forme di accesso – procedimentale e civico generalizzato – si distinguono in relazione a presupposti oggettivi, soggettivi e a limiti funzionali.

L'accesso documentale previsto dalla l. n. 241/1990 presuppone che l'interessato sia titolare di una posizione giuridica soggettiva legittimata, risultando necessario un interesse differenziato - diretto, concreto e attuale - e meritevole di tutela ed una motivazione.

L'accesso civico generalizzato disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013, invece, è esercitabile da chiunque, senza necessità di dimostrare un particolare interesse qualificato o una motivazione, rispondendo ai principi di controllo diffuso e partecipazione dei cittadini all'attività della pubblica amministrazione.

La giurisprudenza ha sottolineato che i due istituti operano su piani distinti e hanno diversi presupposti, finalità e disciplina.

In linea di principio, nell'accesso documentale, la tutela della posizione giuridica soggettiva differenziata dell'istante consente un accesso più in profondità dei soli documenti amministrativi.

Nell'accesso civico generalizzato, invece, le esigenze di controllo diffuso e partecipazione del cittadino consentono un accesso meno in profondità ma più esteso (Cons. Stato, Sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546, Tar Toscana, 17 aprile 2019, n. 577; Tar Lazio, Sez. III, 1° agosto 2019, n. 10202; Tar Lombardia, Sez. I, 4 marzo 2020, n. 414), dovendo promuovere la partecipazione all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo (ex multis, Cons. Stato, ad. plen. 2 aprile 2020 n. 10, nonché ad.plen. 2 luglio 2020 n. 12; Cons. St., Sez. III, 13 novembre 2018, n. 6410). Inoltre, attraverso l'istituto dell'accesso civico generalizzato, il legislatore ha riconosciuto la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni quale diritto fondamentale, promuovendo un dibattito pubblico informato e un controllo diffuso sull'azione amministrativa (Cons. St., ad. plen., 10 aprile 2020, n. 10; Tar Bolzano, Sez. Autonomia 9 gennaio 2019, n. 6).

La coesistenza nell'ordinamento interno di regimi di accesso a portata generale comporta la possibilità che essi si sovrappongano, non sussistendo l'assorbimento dell'una fattispecie in un'altra (Tar Piemonte, sez. I, 11 marzo 2020, n. 186).

La diversa finalità dei due istituti, infatti, non vieta che, nel caso di rigetto di un'istanza di accesso generalizzato opposto da un'amministrazione, si possa presentare un'istanza di accesso documentale facendo valere un interesse diretto, concreto e attuale. Occorre, d'altra parte, tenere distinte le due fattispecie per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi (Tar Lazio, Roma, Sez. V, 24 ottobre 2022 n. 13624; Tar Campania, Sez. VI, 23 aprile 2018, n. 2659).

A ciò si aggiunga che l'istituto dell'accesso civico generalizzato non è utilizzabile come surrogato dell'accesso documentale, qualora si perdano o non vi siano i presupposti di quest'ultimo, perché serve ad un fine distinto, talvolta cumulabile, ma sempre inconfondibile (cfr. Cons. St., ad. plen. 2 aprile 2020, n. 10 ove si legge che «laddove l'amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l'esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall'ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell'interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti»).

Invero, l'accesso - finalizzato a garantire, con il diritto all'informazione, il buon andamento dell'amministrazione - non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico.

La valorizzazione, con l'introduzione di tale istituto, del principio della massima ostensione nell'ambito di un nuovo modo di concepire il rapporto tra cittadini e potere pubblico, improntato a trasparenza e accessibilità dei dati e delle informazioni, non comporta tuttavia che esso possa estendersi fino al punto da legittimare un controllo generalizzato, generico e indistinto del singolo sull'operato dell'Amministrazione (Tar Lazio, Roma, Sez. V, 24 ottobre 2022 n. 13624).

In quest'ottica, l'art. 5, comma 2, del già citato d.lgs. n. 33/2013 consente ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all'art. 5-bis.

Conseguentemente diverse sono le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti, che giustificano l'esclusione della possibilità di accesso: in particolare, per quanto riguarda l'accesso privato ai documenti amministrativi, il legislatore ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie di atti ad esso sottratte (sia mediante espressa previsione di legge, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio); per contro, la disciplina dell'accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua delle categorie di interessi, pubblici (art. 5-bis, comma primo, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-bis, comma 2), che ostano alla diffusione delle informazioni (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5-bis, comma 3) e rinvia ad un atto amministrativo non vincolante (le linee-guida Anac) per circoscrivere l'ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell'accesso civico generalizzato.

Nello specifico, l'art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 prevede che l'accesso generalizzato debba essere negato per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di determinati interessi privati, quali la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia.

Dalle norme appena richiamate si evince, in sintesi, la necessità che l'accesso generalizzato venga correttamente utilizzato, essendo effettivamente finalizzato a conoscere l'operato amministrativo ed a realizzare il “controllo diffuso” voluto dal legislatore quale rinnovato “pungolo” all'Amministrazione, evitandone, però, ogni forma di abuso; per questo il diritto di accesso civico generalizzato non è di tipo assoluto, ma è subordinato alla “verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza” (Cons. Stato, ad. plen., n. 10/2020, già menzionata).

Una volta acclarata la coesistenza nell'ordinamento di diversi regimi di accesso che operano sulla base di norme e presupposti differenti, il privato può, dunque, formulare un'istanza di accesso con riferimento tanto all'accesso documentale quanto all'accesso civico generalizzo.

L'art. 5, comma 11, del d.lgs. n. 33/2013 ammette il concorso tra le diverse forme di accesso nella parte in cui chiarisce che, oltre all'accesso civico semplice e a quello generalizzato, restano ferme anche le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241. E sul punto la giurisprudenza è consolidata e uniforme nell'ammettere il concorso degli accessi e la possibilità di proporre entrambe le istanze in un unico atto nonché il dovere dell'amministrazione di esaminare le istanze formulate in modo indistinto, duplice o “ancipite” (Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, già citata).

Profili procedimentali e processuali

I profili procedimentali di maggiore interesse riguardano l'applicazione dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, il quale, nel dettare la disciplina delle eccezioni assolute e relative all'accesso civico generalizzato, non definisce i c.d. limiti procedimentali, collegati al principio del buon andamento, che il Dipartimento della funzione pubblica (circolare n. 2/2017) e l'Autorità Nazionale Anticorruzione (delibera n. 1309/2016) richiamano e sui quali si registra un rilevante esame della giurisprudenza.

In particolare, quest'ultima si è concentrata sulla nozione di istanza manifestamente onerosa e massiva, chiarendo che, quando una richiesta riguardi una notevole mole di documenti, il diniego opposto – motivato con riferimento alla compromissione del buon andamento della pubblica amministrazione, in rapporto al carico di lavoro ragionevolmente esigibile dagli uffici – non può ritenersi in linea di principio infondato. Tuttavia, la legittimità del diniego dipende da due aspetti. Il primo riguarda il pregiudizio al buon andamento, che non può essere genericamente affermato, ma richiede una adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione che nega l'accesso, dovendosi ritenere che siffatto diniego, fondato su un limite non previsto dalla legge, sia soggetto ad un onere motivazionale rafforzato. In secondo luogo, il diniego non può ritenersi legittimo quando sia mancato il dialogo cooperativo con il richiedente.

Nel caso di richieste reiterate, la giurisprudenza distingue la richiesta reiterata “pura” dalla richiesta reiterata “con elementi di novità”, ossia contenente fatti nuovi non rappresentati nell'istanza originaria o una diversa prospettazione dell'interesse fatto valere. La prima tipologia di richiesta non genera alcun dovere di provvedere in capo all'amministrazione, potendo essa al più giustificare l'adozione di un atto confermativo della precedente determinazione negativa, atto che, in quanto tale non è direttamente lesivo e dunque non autonomamente impugnabile.

Per contro, la seconda tipologia di richiesta determina in capo all'amministrazione il dovere di provvedere, seppure per la sola parte innovativa rispetto all'originaria istanza, con conseguente autonoma impugnabilità dell'eventuale nuovo diniego. Ne deriva che, qualora una stessa istanza venga presentata in tempi diversi in base a titoli giuridici diversi, ossia come richiesta ex art. 22 ss. della l. n. 241/1990 e come istanza di accesso generalizzato ai sensi del d.lgs. n. 33/2013, non può parlarsi di reiterazione, essendo mutato l'interesse fatto valere, e quindi l'amministrazione non potrebbe limitarsi ad archiviare l'istanza in quanto già trattata, ma dovrebbe valutarne nel merito i contenuti (Tar Lazio, Roma, Sez. V, 24 ottobre 2022 n. 13624; Tar Lombardia, Sez. II, 18 gennaio 2019, n. 99).

Le richieste esplorative – dirette a sapere se siano previsti una certa attività amministrativa o un determinato servizio o, ancora, l'adozione di un determinato atto – possono essere dichiarate inammissibili qualora siano preordinate unicamente alla verifica della posizione dell'amministrazione rispetto a un certo tema (ex multis, Tar Lazio, Sez. I-bis, 4 febbraio 2019, n. 1383).

Ancora sul tema dell'attività di rielaborazione, è emerso che l'amministrazione non è tenuta, nel caso di istanze di accesso manifestamente onerose, ad effettuare una attività di elaborazione dei dati o documenti richiesti, non essendo previsto un obbligo in tal senso nella normativa vigente. Il giudice amministrativo ha, infatti, chiarito che esula dall'accesso generalizzato la possibilità di richiedere all'amministrazione un facere ulteriore rispetto alla mera divulgazione delle informazioni detenute. Il giudice ha, a riguardo, tracciato una distinzione tra l'accesso generalizzato e l'accesso documentale, che incide sulla rielaborazione cui è tenuta l'amministrazione: mentre l'ostensione dei documenti ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990 può giustificare elaborazioni complesse, tali da soddisfare l'interesse individuale che sorregge e legittima l'istanza, nell'ambito dell'accesso generalizzato l'amministrazione può limitarsi a mettere a disposizione le informazioni in suo possesso, senza essere tenuta all'onere aggiuntivo di rielaborare la propria risposta sulla base delle ragioni sottese alla domanda del richiedente.

Riguardo alla tutela dei soggetti controinteressati nell'ambito del procedimento di accesso civico generalizzato, la giurisprudenza richiama, poi, la necessità che l'amministrazione attivi sempre il contraddittorio, al fine di non sacrificare l'interesse di costoro alla protezione delle informazioni e dei dati che li riguardino e allo scopo, indiretto, di non precluderne la partecipazione in sede di eventuale giudizio dinanzi all'autorità giudiziaria.

L'accesso agli atti riguardanti soggetti terzi deve essere notificato ai controinteressati, al pari dell'eventuale ricorso, per consentire al controinteressato da un lato di opporsi alla richiesta di accesso e, dall'altro, di partecipare al conseguente giudizio dinnanzi al tribunale competente. Tuttavia, si registrano orientamenti diversi quanto alle conseguenze della mancata notifica: secondo una parte della giurisprudenza il difetto di notifica comporta l'inammissibilità del ricorso (Tar Lazio, Sez. I-bis, 29 dicembre 2017, n. 12788), mentre, secondo altra ricostruzione, qualora l'amministrazione non abbia individuato controinteressati in sede procedimentale e l'istante non abbia notificato il ricorso ad alcun soggetto, il giudice può procedere d'ufficio alla integrazione del contraddittorio in giudizio, qualora ritenga che esistano controinteressati, cioè soggetti che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il proprio diritto alla riservatezza, anche se non menzionati nel documento richiesto (Tar Campania, Sez. VI, 22 maggio 2019, n. 2486; Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2019, n. 6719).

Con riferimento agli aspetti processuali, invece, si è posto in giurisprudenza il problema della legittimazione ad agire in giudizio a tutela del diritto di accesso civico generalizzato. L'istanza di accesso può essere presentata da chiunque, senza necessità di un interesse personale connesso ai documenti richiesti e senza necessità di motivare l'istanza. Ciò non vale, però, per la tutela giurisdizionale: legittimati processuali sono, infatti, soltanto coloro che abbiano avanzato l'istanza di accesso generalizzato (Tar Campania, Sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418).

Il giudice amministrativo ha, inoltre, ritenuto di non poter dichiarare inammissibile un ricorso ex art. 116 c.p.a. per omessa notifica ai controinteressati quando questi ultimi, pur risultando immediatamente conoscibili dal contenuto degli atti, non siano stati invitati a partecipare al procedimento: ad avviso del giudice non può, infatti, ricadere sul ricorrente un'omissione (mancato coinvolgimento nel procedimento) imputabile all'Amministrazione (Tar Abruzzo, Pescara, Sez. I, 22 novembre 2018, n. 347).

La normativa sull'accesso civico generalizzato prevede che, in caso di ricorso giurisdizionale avverso la decisione dell'amministrazione, trovi applicazione lo speciale rito già introdotto per l'accesso documentale e per quello civico semplice, disciplinato dall'art. 116 del codice del processo amministrativo. In base a questa disposizione, «contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza», il ricorso è proposto entro trenta giorni (art. 116, c. 1) e il giudice decide con sentenza in forma semplificata, potendo ordinare all'amministrazione, in presenza dei presupposti, l'esibizione dei documenti previsti e, ove prevista, la loro pubblicazione (art. 116, c. 4). A differenza, però, della legge n. 241/1990, che qualifica il silenzio sull'istanza di accesso documentale come silenzio-rigetto («decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta»: art. 25, c. 4), il d.lgs. n. 33/2013 non qualifica il silenzio serbato dall'amministrazione a seguito di una richiesta di accesso civico generalizzato. È, infatti, soltanto previsto che il procedimento di accesso civico debba concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza (art. 5, c. 6, d.lgs. n. 33/2013). Nella prassi, si è pertanto posto il problema del rimedio attivabile in sede giurisdizionale nel caso di silenzio dell'amministrazione a fronte di un'istanza di accesso civico generalizzato.

Secondo un primo orientamento, l'individuazione del rito speciale di cui deve avvalersi il cittadino al fine di assicurare tutela al proprio diritto di accesso civico rispetto alla condotta silente dell'Amministrazione è da ascrivere all'art. 116 del codice del processo amministrativo, attesa la natura di diritto soggettivo del diritto di accesso, sia esso documentale o civico, posto che la l'Amministrazione rimasta silente è chiamata al compimento di un'attività vincolata ed il giudice deve accertare la sussistenza del diritto all'ostensione dei documenti (Tar Sicilia, Catania, Sez. III, 10 marzo 2020, n. 645).

Secondo un altro orientamento, nel caso di accesso civico generalizzato, l'interessato ha la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale secondo il rito dell'accesso di cui all'art. 116 c.p.a. solo avverso la decisione negativa espressa dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Nell'ipotesi in cui l'amministrazione o, in sede di riesame, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, non si siano pronunciati sull'istanza di accesso, l'inerzia non può essere qualificata giuridicamente come silenzio significativo (più precisamente silenzio - diniego), ma piuttosto come silenzio – inadempimento (Tar Lazio, Roma,Sez. III quater, 11 novembre 2021, n. 11656).

In conclusione

Alla luce delle precedenti considerazioni, è possibile evidenziare che il giudizio sull'accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria; si tratta, infatti, di un “giudizio sul rapporto”.

Il giudice amministrativo è tenuto, di conseguenza, ad accertare la sussistenza o meno del diritto dell'istante all'accesso, «indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall'Amministrazione per giustificarne il diniego ovvero dal silenzio da questa mantenuto sull'istanza» (Tar Lazio, Roma, Sez. I-quater, 20 luglio 2020, n. 8369).

La natura di “giudizio sul rapporto” si ricava dal citato art. 116, c. 4, c.p.a., in base al quale, sussistendone i presupposti, il giudice ordina all'amministrazione l'esibizione dei documenti richiesti (Cons. St., ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10).

Nel solco di questo orientamento, la giurisprudenza è giunta ad affermare che – a prescindere dalla natura (provvedimentale o endoprocedimentale) dell'atto di diniego all'accesso oggetto di gravame – è possibile soprassedere sulla questione della ammissibilità del ricorso, dovendo comunque il giudice amministrativo valutare, nel complesso, la fondatezza della pretesa ostensiva avanzata dal ricorrente.