L'omessa pronuncia da parte del giudice sull'istanza di rinvio alla CGUE: la questione all'Adunanza Plenaria

Giovanni Caputi
17 Novembre 2022

La decisione in commento affronta tre questioni particolarmente rilevanti: il rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza; i presupposti per la revocazione di una sentenza di ultima istanza; il principio di proporzionalità nella disciplina degli RTI.Le interazioni tra la prima e la seconda questione sono il cuore della rimessione all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sulla terza si rinvia alle trattazioni di settore.
Massima

Vanno rimesse all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni: se e a quali condizioni, ed in particolare in caso di fraintendimento del motivo e dell'istanza, la condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull'istanza di rinvio alla Corte di giustizia UE ex art. 267 TFUE, formulata da una delle parti in causa, sia qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente revocabilità della sentenza pronunciata ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4) c.p.c.

Il caso

La vicenda in esame attiene ad una controversia in cui veniva domandato l'annullamento di un provvedimento che escludeva la ricorrente da una procedura per l'affidamento in concessione delle attività gestione di alcune tratte autostradali.

L'esclusione era motivata dalla carenza del requisito di capacità tecnica previsto dalla lex specialis di gara. Infatti, la mandataria del RTI concorrente era priva del requisito di attestazione SOA per le attività di progettazione e costruzione, per le categorie e classifiche previste dal bando, del quale erano in possesso le sole mandanti.

Il ricorso al TAR veniva respinto per la chiara violazione del bando di gara.

In appello il gravame della ricorrente veniva parimenti respinto, giacché la previsione di bando veniva considerata coerente con il quadro normativo vigente.

A seguito di quanto sopra, la ricorrente domandava la revocazione della sentenza di appello.

Nella prospettazione della ricorrente, il giudice d'appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla denunziata incompatibilità delle prescrizioni nazionali con il diritto UE, ed in particolare sulla espressa richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ex art. 267 TFUE.

La predetta richiesta afferiva al rilevato contrasto tra il diritto nazionale ed i principi di obiettività e proporzionalità recati dagli artt. 38, 26 e 3 della Direttiva sui contratti pubblici e dagli artt. 49 e 56 TFUE. Avendo la concessione ad oggetto attività di costruzione e gestione, con prevalenza della seconda sulla prima, la richiesta dei requisiti propri dell'“esecutore” in capo a tutte le imprese raggruppate avrebbe avuto l'irragionevole effetto di limitare la partecipazione alla procedura di gara ai soli soggetti costruttori.

La questione

La decisione in commento affronta tre questioni particolarmente rilevanti: il rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza; i presupposti per la revocazione di una sentenza di ultima istanza; il principio di proporzionalità nella disciplina degli RTI.

Le interazioni tra la prima e la seconda questione sono il cuore della rimessione all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sulla terza si rinvia alle trattazioni di settore.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza accerta preliminarmente se nella sentenza di cui viene chiesta la revocazione sia riscontrabile l'omesso esame di un motivo di appello o comunque l'omesso esame della questione dell'incompatibilità del diritto interno con le disposizioni UE cui sopra si è accennato.

A tal proposito il Collegio rileva che è rimasta inevasa la questione posta nel quarto motivo di appello e relativa al menzionato obbligo, da parte di tutte le partecipanti al RTI, di possedere tutti i requisiti previsti dal bando ed in particolare la pertinente SOA.

La pronunzia oggetto di revocazione avrebbe invece risposto ad una differente questione, non proposta in causa, relativa alla ammissibilità di forme alternative al RTI ai fini della partecipazione alla gara.

In tale scenario, l'ordinanza affronta la questione della riconducibilità dell'errore del giudice al concetto di errore di fatto o, invece, all'errore di diritto, che esclude il rimedio revocatorio.

Nella decisione in parola si rammenta che l'errore di fatto cui consegua omessa pronuncia su domanda, motivo di ricorso o eccezione è ragione di revocazione alle condizioni fissate dalla sentenza dell'adunanza plenaria 22 gennaio 1997, n. 3, ossia se l'omessa pronuncia del giudice, oltre a costituire violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, si configuri come erronea percezione del contenuto materiale degli atti del processo (c.d. abbaglio dei sensi), nonché se l'errore attenga ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato e sia decisivo, nel senso che se l'errore non sia fosse verificato l'esito sarebbe stato diverso (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2018, n. 6223; Cons. Stato, sez. III, 24 ottobre 2018, n. 6061; IV, 14 giugno 2018, n. 3671; Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2018).

Poste tali premesse, venendo al caso di specie, l'ordinanza ritiene che effettivamente vi sia stato un fraintendimento della questione di compatibilità euro-unitaria posta con i motivi di appello e ricorda che tale errore è stato qualificato come “di fatto” dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, 26 aprile 2018, n. 2530, la quale ha precisato che all'omessa pronuncia su domande o eccezioni di parte va equiparata l'omessa pronuncia su questioni pregiudiziali di rilevanza europea, suscettibili di divenire oggetto di una istanza di rimessione alla Corte di giustizia UE.

Tale nuovo orientamento è però contrastato.

In particolare, la V sezione, con la sentenza del 28 gennaio 2021, n. 838, ha ritenuto che il rimedio revocatorio non sia in alcun modo esperibile nei casi in cui il giudice abbia omesso di formulare, anche a negativo od omesso riscontro alla istanza di parte, questione interpretativa e di operare il rinvio pregiudiziale alla Corte UE (in questo senso anche VI sezione, 15 febbraio 2022, n. 1088).

Preso atto del contrasto l'ordinanza rimette la questione all'adunanza plenaria.

La Sezione rimettente aggiunge che rilevano nella fattispecie anche due recenti arresti della Corte UE.

Il primo è la sentenza del 21 dicembre 2021, causa C-497/20, Randstad Italia, in cui la Corte ha ritenuto compatibile con il diritto UE l'art. 111, comma 8, Cost., per come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza 6 del 2018, nella parte in cui impedisce ad un organo giurisdizionale supremo dello Stato membro di annullare una sentenza che sia stata pronunciata in violazione del diritto dell'Unione dal supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro, se quest'ultimo si configura, per materia, come giudice di ultima istanza.

Il secondo è la decisione del 7 luglio 2022, causa C-261/21, F. Hoffmann – La Roche Ltd, in cui analogo giudizio di compatibilità è stato espresso sugli artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. i quali non consentono di usare il rimedio revocatorio per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenza della Corte UE.

Le due pronunzie appena richiamate sono basate sul principio dell'autonomia procedurale e processuale dell'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro (salvo norme di armonizzazione ed il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza), ma riaffermano la nota regola che, in tali circostanze, i singoli che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado che si ponga in contrasto con il diritto UE possono far valere la responsabilità dello Stato membro se la violazione è sufficientemente qualificata e sussista nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dal soggetto leso.

In tale scenario, osserva l'ordinanza in commento, da un lato, è preclusa la possibilità di emendare il vizio consistente nella violazione del diritto UE attraverso un rimedio di sicura efficacia e rapidità quale quello revocatorio (da esperirsi in unico grado dinanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza) e, dall'altro lato, è ammessa l'introduzione di un giudizio risarcitorio articolato nei gradi ordinari con le conseguenti criticità.

Tale sistema sarebbe in contrasto con la necessità di coerenza dell'ordinamento e in tale ottica la sezione rimette alla Plenaria la soluzione dei quesiti sopra ricordati.

Osservazioni

Al fine di correttamente inquadrare la questione posta deve ricordarsi che, in base all'orientamento della Corte UE (cfr. per tutte sentenze CILFIT, 6 ottobre 1982, causa C-283/81 e Consorzio Italian Management, 6 ottobre 2021, causa C-561/19) la questione pregiudiziale non deve essere sollevata in ogni caso in cui il giudice nazionale, sia pure di ultima istanza, ritenga che l'interpretazione corretta del diritto dell'Unione s'imponga senza ragionevoli dubbi.

Ma tale orientamento appare di difficile applicazione, lasciando nell'incertezza molte fattispecie.

Il sistema pare quindi fondarsi sull'alternativa tra due rischi, quello di rallentare la funzionalità della giustizia inducendo il giudice di ultima istanza a rinviare alla Corte UE tutte le questioni di diritto UE necessarie per risolvere il caso, e quello di essere convenuti in sede risarcitoria per mancato rinvio, con conseguente aumento e complicazione del contenzioso.

La strada del giudizio revocatorio era percepita da alcuni orientamenti giurisprudenziali e dottrinari come una delle più efficaci per armonizzare i diversi interessi in gioco ed alleviare in una certa misura i rischi cui si è accennato.

Tuttavia, con la sentenza Hoffmann – La Roche Ltd menzionata sopra ed in ordinanza, la Corte UE non ha ritenuto di seguire suddetti orientamenti e non ha dichiarato contraria al diritto UE la mancata previsione, nel diritto domestico, di una ipotesi di revocazione per violazione dei principi europei.

Allo stesso modo, nella sentenza Randstad è stata respinta l'ipotesi proposta dalla Cassazione che si potesse configurare, in caso di violazione del diritto UE ed in presenza di talune ulteriori circostanze, un motivo di giurisdizione idoneo a sorreggere una impugnazione alla Suprema Corte della pronunzia antieuropea.

L'ordinanza in commento sembra proporre una lettura del quadro normativo vigente volta ad armonizzare in parte le diverse esigenze cui si è accennato, chiedendo, in sostanza, se una omissione di pronunzia sull'istanza di rinvio alla Corte UE, formulata da una delle parti in causa, sia qualificabile (sempre o a talune condizioni) come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza.

In quanto possibile temperamento dei profili aleatori cui si è sopra accennato, il sollecito della ordinanza in commento pare meritare un attento vaglio da parte della Plenaria.