La richiesta di conferma delle misure protettive ai sensi dell'art. 6, comma 1, D.L. 118/2021

Giuseppe Donnici
22 Novembre 2022

L'Autore si sofferma sulle questioni giuridiche affrontate nell'ordinanza del Tribunale di Modena, che nell'ambito di un procedimento ex art. 7 D.L. 118/2021, ha ritenuto che la conferma delle misure protettive non può prescindere dalla concreta disamina dell'esistenza di una ragionevole prospettiva di risanamento a cui esse devono essere considerate funzionali
Massima

La conferma delle misure protettive non può prescindere dalla concreta disamina dell'esistenza di una ragionevole prospettiva di risanamento a cui esse devono essere considerate funzionali.

Il caso

Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 7, comma 1, D.L. 118/2021, la ricorrente ha chiesto la conferma delle misure protettive da applicare a tutti i creditori (esclusi i lavoratori) e segnatamente indicate: nell'impossibilità di chiedere l'emissione di ingiunzioni di pagamento; nell'inibizione di qualsiasi richiesta di pagamento di somme ; di inibire l'inizio o la prosecuzione di azioni in danno della società; di inibire la possibilità di rifiutare unilateralmente gli adempimenti dei contratti pendenti, di provocarne il recesso o la risoluzione o di anticipare la loro scadenza o di modificarli in danno della ricorrente a causa del mancato pagamento dei crediti anteriori rispetto all'istanza di nomina dell'esperto; l'inibizione rispetto all'acquisizione di diritti di prelazione; l'impossibilità di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari.

La ricorrente ha precisato di attraversare un momento di crisi che ha provocato una riduzione del fatturato nell'ultimo triennio nonostante i tentativi di riassestamento attuati mediante la riduzione dei costi fissi.

I punti topici del piano consistevano nell'affitto di un ramo dell'azienda, peraltro già formalizzato, che prevedeva il pagamento di un canone iniziale pari ad euro 1.500,00 aumentato ad euro 3.000,00 dal 2023; un finanziamento da parte del socio unico dell'affittuaria quantificato in euro 240.000,00; l'incasso dei crediti scaduti e non anticipati dagli istituti di credito; la vendita dell'azienda all'affittuaria alle condizioni previste dal contratto stesso (euro 150.000,00) nell'arco dei dodici mesi successivi.

L'esperto e l'ausiliario incaricato dal Giudice hanno entrambi espresso parere negativo rispetto alla conferma delle misure protettive in ragione della scarsità della documentazione prodotta e dell'impossibilità di poter accertare che i flussi di cassa indicati potessero realmente provocare il risanamento dell'impresa, posto che l'attivo ipotizzato non era sufficiente nemmeno a pagare i creditori privilegiati. Tra l'altro, le trattative con i creditori avevano attinto i soli lavoratori, ossia il venti per cento circa dell'intera esposizione debitoria; la vendita dell'azienda attraverso il vincolo precostituito del contratto preliminare avrebbe certamente impedito la competitività della procedura ed il conseguente potenziale superiore incasso rispetto a quello pattuito anche in ragione della possibile incongruenza del prezzo di stima in relazione al quale non era stata depositata alcuna perizia. Inoltre, a causa della mancanza di informazioni sul punto, la continuità indiretta, rappresentata come dirimente, non poteva essere considerata posta al servizio del risanamento in ragione della consumazione di risorse economiche importanti, certamente non quantificabili ma indubbiamente esistenti, tali da far considerare “in perdita” l'intero impianto.

I rilievi mossi dai professionisti incaricati, dunque, sono essenzialmente basati sulla genericità delle informazioni prodotte, anche in relazione al piano finanziario, e sulla conseguente impossibilità di stabilire un collegamento funzionale tra la concessione delle misure protettive richieste ed il risanamento dell'azienda.

Le questioni giuridiche affrontate e le soluzioni offerte dalla pronuncia in commento

La prima questione affrontata dal Tribunale è stata di natura procedurale posto che il ricorso è stato depositato durante la vigenza del D.L. 118/2021, successivamente abrogato dal D. Lgs. 83/2022.

Il Tribunale ha ritenuto che, in assenza di norme di carattere transitorio (come invece avvenuto per il codice della crisi), in ragione di una ravvisata contiguità e continuità tra il D.L. 118/2021ed il codice stesso in relazione alla composizione negoziata, al caso di specie sia applicabile quest'ultimo con conseguente superamento della necessità di utilizzare l'applicazione analogica posto che la stessa sarebbe invocabile in caso di una lacuna nel sistema, non ravvisabile in ragione del fatto che, se avesse voluto, il legislatore avrebbe potuto estendere la portata della disciplina transitoria anche al D.L. 118/2021.

Chiarita la questione preliminare, sono stati analizzati i requisiti soggettivi per l'accesso al procedimento in relazione ai quali il riscontro è stato positivo .

L'analisi, dunque, si è spostata sull'esatta identificazione del perimetro all'interno del quale il Tribunale deve operare per verificare l'esistenza dei presupposti logici e giuridici per la conferma delle invocate misure.

Il vaglio ha preso le mosse dall'art. 12 CCI, il quale consente la nomina dell'esperto laddove l'imprenditore si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico/finanziario e risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa, eventualmente anche mediante la cessione dell'intera azienda o di rami di essa.

L'esperto, convocate le parti, deve poi verificare se queste ragionevoli prospettive di risanamento esistono veramente e in che modo possono essere perseguite.

Le misure protettive invocate, dunque, trovano la loro giustificazione logica nel paradigma appena tracciato, all'interno del quale devono esprimere la loro efficacia: non può essere confermata una misura protettiva se essa non produce un effetto positivo in relazione alla nascita, al successivo sviluppo ed al possibile buon esito della trattativa con i creditori.

La consecutio logico/giuridica nascente dalle norme in esame, quindi, è sintetizzabile come segue: verificata l'esistenza dei requisiti soggettivi e dimostrato lo stato di squilibrio economico patrimoniale che rendono probabile la crisi o l'insolvenza, la procedura tutta sarà finalizzata alla ricostituzione in “salute” dell'azienda mediante il compimento di una serie di atti conseguenziali al cui servizio devono necessariamente essere improntate le misure protettive richieste. Viene, dunque, definita e circoscritta la ragione propria delle ridette misure, che non possono essere considerate autoreferenziali e fini a se stesse ma esistenti solo se funzionali ad un più ampio progetto di risanamento aziendale. E' solo in ossequio a tale fine che l'ordinamento consente ai creditori di sopportarne il peso.

L'analisi si è quindi concentrata sugli elementi emersi dall'istanza in relazione alla “concreta e ragionevole prospettiva di risanamento” e, al fine di verificarne la corrispondenza a criteri di praticità, concretezza e congruità logica si è fatto riferimento al Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, previsto dal DL 118/2021 ed ai valori in esso espressi in relazione alla “quantificazione” del rischio e delle connesse procedure da adottare per invertirne la tendenza negativa (nel caso specifico, il risultato del test paratico imponeva che il risanamento avvenisse attraverso la continuità indiretta con conseguente necessità di stimare le risorse realizzabili attraverso la cessione comparandole con il debito al servizio del quale sarebbero state poste) .

Anche in questo caso, la valutazione ha tenuto conto del potenziale danno ai creditori derivante dall'apertura delle trattative nel caso in cui non fosse ravvisabile un barlume di resilienza aziendale.

La ricorrente, dunque, a giudizio del tribunale, ha in buona sostanza sovvertito lo schema su delineato poiché ha considerato la conferma delle misure protettive come atto da porre al servizio e come stimolo di una ipotesi di trattativa con i creditori non ancora avviata (o non completamente avviata) e, quindi, non cristallizzata in un concreto piano di risanamento (intendendo per tale quello che computi anche gli aspetti finanziari).

Anche il decreto dirigenziale si è espresso nel senso della necessità di allegazione del piano di risanamento al momento dell'accesso alla composizione negoziata affinchè, sin da subito, possano essere sondate le varie ipotesi di risanamento percorribili e possano essere identificati gli strumenti da adoperare per concludere le trattative .

L'intero atteggiamento processuale della ricorrente ha consentito al tribunale di porre in dubbio il rispetto del dovere di correttezza e buona fede imposto dal CCI ed ha comportato la reiezione del ricorso teso ad ottenere la conferma delle misure.

Osservazioni e conclusioni

Emerge con chiarezza l'esistenza di un filo conduttore che unisce quanto riportato dal primo all'ultimo articolo del codice della crisi anche se, come nel nostro caso, lo stesso non era ancora entrato in vigore al momento del deposito del ricorso: la composizione negoziata non è l'anticamera del concordato semplificato, nel senso che la prima non può e non deve essere considerata come un mero passaggio formale da espletare per raggiungere l'obiettivo successivo.

La chiave di volta è rinvenibile nel dovere di correttezza e buona fede imposto a tutte le parti e più volte richiamato dal codice. In questo senso deve essere letto l'art. 25-sexies CCI laddove, al primo comma, viene specificato che l'esperto nella sua relazione finale deve valutare ed esprimersi in relazione al rispetto dei canoni appena menzionati. La mancanza di questi requisiti assume carattere dirimente rispetto all'accesso al concordato semplificato, posto che viene punita la volontà surrettizia di superare la fase delle trattative alle quali, invece, il codice conferisce una portata essenziale considerandole il viatico obbligatorio per il risanamento.

Lo stesso approccio, che valorizza e tiene in considerazione l'animus delle parti, viene adottato per le misure protettive: la limitazione della libertà del creditore può essere giustificata solo se il sacrificio è funzionale al buon esito delle trattative . Ogni discostamento da quanto appena detto si tradurrebbe nell'apposizione di un peso ingiustificato in capo al ceto creditorio.

Il tentativo di risanamento dell'impresa, quindi, deve essere considerato come il bene ultimo a cui l'insieme degli strumenti previsti dal codice della crisi sono protesi.