Il regime patrimoniale delle unioni civili
21 Novembre 2022
Come noto la legge 20 maggio 2016 n. 76 - c.d. legge Cirinnà -, oltre ad aver regolamentato la disciplina delle convivenze di fatto, ha finalmente introdotto e riconosciuto nel nostro ordinamento le unioni civili tra persone dello stesso sesso, potendosi così ritenere superata la concezione tradizionale di famiglia fondata esclusivamente sulla disposizione di cui all'art. 29 della Costituzione. La normativa sulle unioni civili è oggi contenuta nei commi da 1 a 35 dell'unico articolo della l. n. 76/2016, il cui primo comma 1 definisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso come “specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione”, annoverandola quale forma di aggregazione sociale tutelata dalla Repubblica poiché in essa si svolge la personalità degli individui che la compongono. In forza di quanto stabilito al comma 20 di detta legge, alle unioni civili si applicano tutte le disposizioni normative previste per il matrimonio e, più in generale, quelle che contengono la parola “coniuge” o termini equivalenti, fatta eccezione per la legge 4 maggio 1983 n. 84 concernente la disciplina in tema di adozione e affidamento dei minori e le norme del codice civile che non vengono espressamente richiamate. La costituzione dell'unione civile avviene mediante una dichiarazione resa dalle parti avanti all'Ufficiale di Stato Civile, alla presenza di almeno due testimoni; tale atto, che dovrà poi essere regolarmente registrato nell'archivio dello stato civile, dovrà contenere oltre ai dati anagrafici e di residenza della coppia e dei testimoni, anche la scelta del regime patrimoniale prescelto dagli uniti civilmente. Da quel momento sorgono in capo a ciascun componente della coppia reciproci diritti e doveri che si sostanziano nell'obbligo alla coabitazione, all'assistenza morale e materiale, nonché alla contribuzione ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alla rispettiva capacità di lavoro, sia professionale che casalingo. Si evidenzia che, differentemente da quando previsto per le unioni matrimoniali, non esiste alcun richiamo né all'obbligo di fedeltà né a quello di collaborazione nella disciplina relativa alle unioni civili. Regime patrimoniale
La regolamentazione dei rapporti e del regime patrimoniale delle unioni civili si basa, in gran parte, sulla tecnica del rinvio puro e semplice operato dalla legge in esame alle disposizioni in tema di rapporti patrimoniali del matrimonio. Il comma 13 della l. n. 76/2016 prevede, ad eccezione del primo e terzo periodo, un mero rinvio a tutte le disposizioni contenute nelle sezioni II - fondo patrimoniale -, III - comunione legale -, IV - comunione convenzionale -, V - regime di separazione dei beni - e VI - impresa familiare - del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Ciò implica l'integrale applicabilità alle unioni civili delle norme relative a fondo patrimoniale, comunione legale, comunione convenzionale, separazione dei beni e impresa familiare. Detto comma riproduce fedelmente il contenuto dell'art. 159 c.c. relativo al regime patrimoniale legale tra i coniugi, limitandosi semplicemente alla sostituzione dei termini “famiglia” e “legale” e, in perfetta coerenza con quanto stabilito per i coniugati all'art. 160 c.c., è sancita l'inderogabilità dei diritti e dei doveri nascenti dall'unione civile. Come previsto per l'istituto del matrimonio, il regime patrimoniale legale delle unioni civili è rappresentato dalla comunione dei beni salvo che la coppia, al momento della costituzione del loro legame, opti per il regime della separazione dei beni mediante una dichiarazione resa all'Ufficiale di Stato Civile o ne deroghi attraverso una convenzione patrimoniale - si badi e non matrimoniale - ai sensi degli artt. 162, 163, 164 e 166 del codice civile, anch'essi espressamente richiamati dal suddetto comma 13. Anche la convenzione patrimoniale deve essere stipulata per atto pubblico a pena di nullità e dovrà essere ugualmente comunicata all'Ufficiale dello Stato Civile, affinché provveda all'annotazione a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile al fine di renderla opponibile ai terzi ai sensi dell'art. 162 comma 4 c.c. Differentemente, però, da quanto è previsto nell'art. 161 c.c., è concesso loro di “pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi” e agli stessi non è imposto di “enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti”. Nell'ambito della propria autonomia privata, quindi, le parti dell'unione civile possono redigere convenzioni patrimoniali atipiche, oltre che ricorrere all'atto di destinazione, anche prevedendo l'applicazione di una legge diversa da quella italiana, per cui potrà essere necessario ricorrere alle norme di diritto internazionale privato con particolare riferimento all'art. 30 della legge 31 maggio 1995 n. 218. Restano infine escluse le disposizioni di cui agli artt. 165 c.c., relativo alla capacità del minore di contrarre matrimonio che, quindi, potrà sposarsi ma non potrà unirsi civilmente e 166-bis c.c. concernente il divieto di costituzione di dote forse perché, l'identità di sesso fra le parti, escluderebbe in radice la possibilità di istituire una dote essendo un istituto tradizionalmente femminile. In conclusione, si può affermare che la disciplina dei rapporti patrimoniali all'interno dell'unione civile è pressoché interamente modellata su quella della famiglia legittima. Ciò è comprovato anche dall'applicabilità della normativa fiscale agli uniti civilmente, ai quali è riconosciuta la possibilità di detrazione per il coniuge a carico oltre che, in caso di cessazione dell'unione, di deduzione dal reddito complessivo dell'assegno di mantenimento corrisposto periodicamente e conseguente tassazione per il beneficiario dell'assegno medesimo. Le cause di scioglimento dell'unione civile riproducono essenzialmente quelle previste in materia di divorzio tra coniugi, tra le quali è compresa ovviamente la volontà congiunta o separata di porre fine al legame, con l'assoluta novità di uno scioglimento diretto senza alcun obbligo di doversi preventivamente separare e, quindi, di dover attendere il decorso dei termini previsti dalla legge. Per quanto riguarda le procedure da seguire per lo scioglimento, i commi 23 e 24 della l. n. 76/2016 richiamano le disposizioni in materia di divorzio, nello specifico i casi previsti dall'art. 3, numero 1) e numero 2) lettere a), c), d) ed e) della legge 1° dicembre 1970 n. 898, oltre che le procedure stragiudiziali di scioglimento mediante negoziazione assistita e di manifestazione di mera volontà avanti all'Ufficiale di Stato Civile. Per quanto concerne, invece, gli effetti dello scioglimento dell'unione civile il comma seguente, ovvero il n. 25, effettua ancora una volta un mero rinvio ad altre numerosissime norme che determinano, nuovamente, una sostanziale parificazione tra il legame matrimoniale e quello derivante dall'unione civile relativamente alle forme processuali, ai diritti delle parti e alla necessità di un passaggio giudiziario o comunque pubblico nella ratificazione della rottura dell'unione. In questo contesto, il primo aspetto da analizzare è legato allo scioglimento della comunione legale fra le parti a fronte della cessazione dell'unione civile che, in virtù del rinvio integrale operato dal comma 13 all'art. 191 c.c., si scioglie anticipatamente, ponendosi così il problema rispetto alla decorrenza degli effetti di tale scioglimento che rende necessario distinguere diverse ipotesi. Nel caso di richiesta di cessazione congiunta, avanti all'Ufficiale di Stato Civile o al Presidente del Tribunale, gli effetti dello scioglimento si verificheranno certamente alla data della sottoscrizione del relativo verbale, poiché è da quel momento che le parti manifestano la loro volontà di vivere separati. Nel caso di richiesta disgiunta, invece, le opinioni sono divergenti: parte della dottrina ritiene che il nuovo regime di separazione dei beni possa instaurarsi solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, altra parte sostiene che tali effetti decorrano dalla data di presentazione o notifica della domanda di divorzio all'altra parte. Ciò che è certo è che alle unioni civili dovrebbe essere assicurata l'anticipazione dello scioglimento della comunione legale al momento introduttivo del procedimento, proprio in virtù della maggior celerità che è stata riservata a questo tipo di procedimento. In ogni caso, è indubbio che l'efficacia rispetto ai terzi dello scioglimento della comunione legale è sempre legata alla sua trascrizione a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile, anche nell'ipotesi in cui la dichiarazione di volontà di scioglimento dell'unione civilesiaresa avanti all'Ufficiale di Stato Civile ai sensi del comma 24 della l. n. 76/2016. Successivamente allo scioglimento dell'unione civile è previsto l'obbligo di mantenimento di una parte nei confronti dell'altra, analogamente a quanto accade nel matrimonio, con espressa applicazione anche della disciplina delle garanzie previste in caso d'inadempimento nel pagamento dell'assegno divorzile ex art. 8 commi 1, 2 e 7 della l. n. 898/1970. Ulteriore conseguenza patrimoniale dello scioglimento dell'unione civile, applicabile anche nell'ipotesi di morte di una delle parti, risiede nel diritto per la parte ad ottenere sia la pensione di reversibilità, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 898/1970, alle stesse condizioni e secondo la medesima disciplina che è prevista per i coniugi divorziati, che a richiedere il pagamento di un assegno periodico a carico dell'eredità, secondo quanto disposto dall'art. 9-bis l. n. 898/1970. Infine, come per il divorzio, la parte titolare di un assegno di mantenimento, che non abbia costituito una nuova unione, ha diritto a ricevere il 40% dell'indennità di fine rapporto dell'ex unito civilmente, relativamente agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con l'unione civile. Fondo patrimoniale e impresa familiare
L'art. 1 comma 13, l. n. 76/2016 richiama le norme in materia di fondo patrimoniale per cui, anche le parti dell'unione civile, possono costituire un fondo su determinati beni immobili, mobili registrati e titoli di credito per destinarli ai bisogni della famiglia, sottoponendoli alla disciplina prevista negli artt. 167 e seguenti del codice civile. Al fine di rendere opponibile ai terzi l'esistenza del fondo patrimoniale, la sua costituzione deve essere annotata ex artt. 162 e 163 c.c. a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile e, se avente ad oggetto beni immobili, dovrà essere altresì trascritta nei registri immobiliari ex art. 2647 c.c. e, qualora vi sia il trasferimento di diritti reali, ex art. 2643 c.c. Il fondo patrimoniale si scioglie in seguito a eventi che provocano il venir meno del vincolo di destinazione impresso sui beni facenti parte del fondo stesso, in forza di quanto disposto dall'art. 171 c.c. che prevede quali cause di cessazione l'annullamento, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio e che, a questo punto, trova diretta applicazione anche nei riguardi delle unioni civili. Gli effetti dello scioglimento del fondo decorrono, tanto per il matrimonio quanto per le unioni civili, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza, anche non definitiva, secondo quanto previsto dall'art. 4 comma 12, l. n. 898/1970, espressamente richiamato dall'art. 1 comma 25, l. n. 76/2016. Grande assente nella disciplina concernente la cessazione del fondo è la previsione di una specifica disposizione che regolamenti la decorrenza dei suddetti effetti con riguardo alle altre procedure attraverso le quali si può ottenere lo scioglimento dell'unione civile. La maggior parte della dottrina ritiene che, in caso di negoziazione assistita, lo scioglimento del fondo si verifichi nel momento in cui il Pubblico Ministero appone il proprio nulla osta sull'atto di scioglimento mentre, in caso di negoziazione avanti all'Ufficiale di Stato Civile, decorra dalla conferma delle parti della loro volontà di divorziare. L'art. 1 comma 13, l. n. 76/2016 rinvia altresì alle norme in materia d'impresa familiare, rendendo applicabile anche agli uniti civilmente l'art. 230-bis c.c. che disciplina i diritti e gli obblighi dei partecipanti ogni qualvolta un familiare dell'imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa. Il soggetto unito civilmente, quindi, è assolutamente equiparato al coniuge per cui beneficia di tutti i diritti e obblighi che ne derivano sul piano fiscale e previdenziale, con conseguente estensione delle tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonome anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile, che deve essere registrato ai sensi di legge e comprovato da una dichiarazione sostitutiva del documento attestante la costituzione dell'unione di cui all'art. 1 comma 9 della l. n. 76/2016 e all'art. 7 del DPCM n. 144/2016. Dal punto di visita patrimoniale il soggetto dell'unione civile che partecipa all'impresa familiare ha diritto al mantenimento, commisurato alla condizione patrimoniale della famiglia, così da garantire allo stesso la possibilità di percepire dall'attività svolta il proprio sostentamento a prescindere dall'andamento dell'impresa. Al medesimo, è riconosciuto altresì il diritto di partecipare agli utili dell'impresa e ai beni acquistati con essi, oltre che agli incrementi dell'azienda, anche in termini di avviamento, sempre in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Nell'impresa familiare, l'unica differenza esistente tra coniuge e unito civilmente consiste nella mancata estensione ai parenti entro il secondo grado del partner dell'unione civile della possibilità di partecipare alla stessa, a causa dell'assenza di un espresso rinvio da parte della l. n. 76/2016 all'art. 78 c.c., impedendo così la nascita di vincoli di affinità tra le famiglie di origine delle parti. |