Per l'Avv. Gen. la Corte può non controllare la compatibilità del regolamento antidumping di base alla luce del protocollo di adesione della Cina all'OMC

La Redazione
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18 Novembre 2022

Secondo l'avvocato generale Ćapeta, la Corte può astenersi dal controllare la compatibilità del regolamento antidumping di base alla luce del protocollo di adesione della Cina all'OMC. Tuttavia, tale autolimitazione giudiziaria è possibile solo in casi eccezionali a causa della natura e della struttura flessibili degli accordi OMC.

L'11 dicembre 2016 è scaduto il termine di 15 anni previsto dal protocollo di adesione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: il «protocollo di adesione cinese»). Facendo valere tale scadenza, la Changmao Biochemical Enginering Co. Ltd, ricorrente (in prosieguo: la «Changmao»), ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale per contestare la decisione della Commissione di mantenere dazi antidumping sulle importazioni di acido tartarico della Changmao provenienti dalla Cina (1). Essa affermava che, dopo l'11 dicembre 2016, la Commissione avrebbe dovuto trattare la Cina come qualsiasi altro paese retto da un'economia di mercato nelle inchieste antidumping. Ai fini dell'inchiesta antidumping in questione, ciò avrebbe significato che la Commissione sarebbe stata obbligata a utilizzare i prezzi e i costi di produzione effettivi della Changmao in Cina al fine di stabilire se la Changmao avesse praticato il dumping sui suoi prodotti nel mercato dell'Unione. Tuttavia, anziché trattare la Cina come un paese non retto da un'economia di mercato, la Commissione ha utilizzato i costi e i prezzi di una società di un paese surrogato (vale a dire, facendo ricorso al cosiddetto «metodo del paese di riferimento»).

La Commissione ha basato tale scelta sull'articolo 2, paragrafo 7, del regolamento antidumping di base (2), che consente il ricorso al metodo del paese di riferimento relativamente alla Cina. Dal canto suo, la ricorrente ritiene che tale disposizione non sia più applicabile alla Cina dopo la scadenza del termine di 15 anni, in quanto non è compatibile con la parte rimanente del protocollo di adesione cinese dopo l'11 dicembre 2016.

Nella sentenza impugnata il Tribunale ha considerato di non poter controllare la conformità del diritto dell'Unione (nel caso di specie, il regolamento antidumping di base) con il diritto dell'OMC, di cui fa parte il protocollo di adesione cinese (3).

La Changmao ha contestato tale constatazione nella presente impugnazione.

Nelle sue conclusioni, presentate in data odierna, l'avvocato generale Tamara Ćapeta propone alla Corte di confermare la sentenza del Tribunale su tale punto e spiega il motivo per cui la Corte dovrebbe astenersi dall'esercitare il controllo giurisdizionale del regolamento antidumping di base alla luce del protocollo di adesione cinese.

In via preliminare, l'avvocato generale riconosce la tensione derivante da una costante giurisprudenza in base alla quale gli accordi OMC non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell'Unione. L'avvocato generale spiega che, da un lato, sia la forza vincolante degli accordi internazionali di cui l'Unione è parte sia il potere di controllo giurisdizionale conferito alla Corte dai Trattati costituiscono le caratteristiche dell'ordinamento costituzionale dell'Unione. Esse si traducono nel potere della Corte di valutare se le istituzioni dell'Unione rispettino gli obblighi dell'Unione derivanti dagli accordi OMC. Dall'altro lato, a causa della realtà politica del sistema commerciale internazionale, la Corte, sin dall'inizio, ha esitato a esercitare il suo potere di controllo giurisdizionale quando si è trattato di controllare la conformità della normativa dell'Unione agli accordi OMC.

Nelle sue conclusioni l'avvocato generale osserva che tale autolimitazione giudiziaria deriva dal riconoscimento, da parte della Corte, della flessibilità del sistema dell'OMC e della realtà politica in cui i partner commerciali dell'Unione non sottopongono le azioni delle loro istituzioni, rientranti nell'ambito di applicazione del diritto dell'OMC, al controllo giurisdizionale. Alla luce di tali considerazioni, le istituzioni dell'Unione possono, senza il controllo della Corte, scegliere una determinata interpretazione delle disposizioni degli accordi OMC e decidere, se necessario dopo aver valutato le relative conseguenze, di discostarsi dagli obblighi incombenti all'Unione in forza degli accordi OMC.

Tuttavia, l'avvocato generale sottolinea che la decisione di non esercitare il potere di controllo giurisdizionale non dovrebbe essere intesa erroneamente come una decisione della Corte di sottrarsi completamente alla sua prerogativa di garantire il rispetto degli obblighi internazionali dell'Unione. Tale autolimitazione giudiziaria è eccezionale e possibile solo in quanto gli accordi OMC la consentono.

Nella sua giurisprudenza la Corte ha riconosciuto situazioni in cui le ragioni dell'autolimitazione non sussistevano e in cui essa ha quindi sottoposto a controllo giurisdizionale il diritto dell'Unione alla luce del diritto dell'OMC. Una causa di tal genere ha dato luogo alla sentenza Nakajima (4), invocata dalla ricorrente dinanzi al Tribunale.

L'avvocato generale ritiene che il Tribunale non sia incorso in errore nel considerare la sentenza Nakajima non applicabile al caso di specie. L'avvocato generale ritiene che esistano due possibili interpretazioni di tale giurisprudenza. L'interpretazione restrittiva comporta una lettura secondo la quale la Corte controlla il diritto dell'Unione alla luce del diritto dell'OMC quando esistono elementi che dimostrano la volontà del legislatore dell'Unione di dare esecuzione al diritto dell'OMC. Secondo l'interpretazione più ampia, la Corte esercita il controllo giurisdizionale ogniqualvolta sia accertato che le istituzioni dell'Unione non hanno inteso discostarsi dal diritto dell'OMC.

Secondo l'avvocato generale, nessuna di queste due possibili interpretazioni è applicabile al caso di specie. Il regime di cui al regolamento antidumping di base, istituito in relazione alla Cina, può essere inteso come un regime specifico dell'ordinamento giuridico dell'Unione. Per tale motivo, la Corte non può concludere né che tale regime rappresenti l'attuazione del protocollo di adesione cinese né che le istituzioni dell'Unione non intendessero discostarsi da tale protocollo.

La specifica natura di diritto dell'Unione di tale regime costituisce pertanto un motivo di astensione, per la Corte, dall'esercizio del suo potere di controllo giurisdizionale di atti delle istituzioni dell'Unione alla luce del protocollo di adesione.

IMPORTANTE: Le conclusioni dell'avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell'avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.

IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione o alla validità di un atto dell'Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.


(1) Regolamento di esecuzione (UE) 2018/921 della Commissione, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di acido tartarico originario della Repubblica popolare cinese a seguito di un riesame in previsione della scadenza a norma dell'articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base (GU 2018, L 164, pag. 14).

(2) Regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell'Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21).

(3) Sentenza del 16 dicembre 2020, Changmao Biochemical Engineering/Commissione, T-541/18.

(4) Sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C-69/89.