Riforma processo penale: le novità su udienze da remoto e processo telematico nel codice

24 Novembre 2022

Una delle più rilevanti conseguenze della pandemia da COVID-19 in ambito giuridico è stata la sempre maggiore diffusione di strumenti telematici nel processo penale, quali l'udienza da remoto e gli atti redatti in originale come documenti informatici. Tale cambiamento radicale ha trovato la propria "consacrazione" nella Riforma c.d. Cartabia.

C'era da reagire allo stallo in cui si trovava la macchina della giustizia, visto che i suoi operatori erano in gran parte relegati ai domiciliari in ossequio al “restate a casa” che il Governo aveva deliberato. E ci si è mossi una volta tanto con pragmatismo: si può compiere attività processuale anche da remoto, rimanendo fermi dietro una webcam; si possono inviare gli atti processuali con modalità telematica, con buona pace di quella corrente di pensiero che lo impediva sol perchè nel codice di rito, nato in un'epoca in cui il telematico era roba da Star Trek, non conteneva una previsione esplicita che ne consentisse l'impiego.

La grandinata dei decreti d'urgenza, la cui summa ritroviamo nel n. 137/2020 meglio noto come “decreto Ristori”, ha riproposto, via via affinandola, questa coppia di novità processuali. Tutti si chiedevano che fine avrebbero fatto una volta che l'emergenza pandemica fosse terminata, e la risposta ce la da ora il testo della riforma Cartabia: queste novità vengono ospitate nel codice e sono destinate a prendere posto tra le pieghe rattoppate dei suoi libri. Andiamo a vedere immediatamente come si presenta la nuova disciplina processual-tecnologica.

La forma degli atti. Cambia l'art. 110 c.p.p., che non si intitolerà più “sottoscrizione degli atti”, ma “forma degli atti”. E la rivoluzione copernicana ci appare in tutta la sua elettronica luminosità sin dal primo rigo: quando è richiesta la forma scritta, gli atti sono redatti e conservati in forma di documento informatico. Deve esserne garantita l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità, l'interoperabilità e, quando la legge lo prevede, anche la segretezza. Insomma: il documento informatico deve possedere tutte le caratteristiche di quello formato con carta e inchiostro, con l'aggiunta dell'interoperabilità, connotato tipico del documento elettronico. A questa regola sfuggono soltanto quegli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non si possono redigere su supporto informatico. E le montagne di carta che rappresentano nell'immaginario collettivo gli uffici giudiziari che fine faranno?

Il quarto comma del nuovo art. 110 c.p.p. prevede che essi debbano essere convertiti senza ritardo in copia informatica. Andiamo adesso alla sottoscrizione: messa nel cassetto la biro, il documento informatico dovrà essere siglato con firma digitale, nel rispetto di quella disciplina di settore che risparmiamo ai lettori e che, comunque, si trova minuziosamente descritta nella selva di regolamenti e circolari ministeriali. Laddove si debba ricevere un atto orale (pensiamo alla denuncia querela sporta presso una Stazione dei Carabinieri), questo dovrà essere trascritto in forma di documento informatico e bisognerà attestare – a cura dell'autorità procedente – l'identità della persona che lo ha reso. Un'aggiunta specifica viene fatta all'art. 122 c.p.p., in tema di procura speciale per il compimento di determinati atti. In questi casi essa può essere depositata telematicamente e va autenticata con firma digitale. Bisognerà però conservare l'originale analogico per esibirlo a richiesta dell'autorità giudiziaria.

Il deposito telematico. Dopo avere compiuto la svolta epocale dell'inversione del rapporto tra regola ed eccezione (a discapito della carta, si capisce), la riforma sarebbe stata monca se non si fosse previsto alcunchè di nuovo in tema di deposito degli atti. Il neointrodotto art. 111-bis c.p.p. prevede che in ogni stato e grado del procedimento gli atti, i documenti, le richieste o le memorie siano depositate esclusivamente con modalità telematiche. Il secondo comma della norma, più che una regola, contiene un'affermazione di principio: il deposito telematico assicura la certezza anche temporale dell'avvenuta trasmissione e ricezione, nonché l'identità del mittente e del destinatario. In altre parole, una volta che un documento è formato e inviato telematicamente mai nessuno potrà dire di averlo smarrito, di non averlo ricevuto, oppure che esso non proviene dal soggetto legittimato a formarlo. Questa regola, sotto forma di previsione aggiuntiva ma non esclusiva (lo comprendiamo dalla parola “anche”) si estende agli atti che le parti compiono personalmente.

Il fascicolo informatico e l'accesso agli atti. Regolata la formazione e il deposito degli atti – cioè il contenuto – bisognava disciplinare anche il contenitore: finiranno nel dimenticatoio i diabolici carpettoni con i lacci, sempre pronti a rigurgitare il loro contenuto sulle scarpe di chi li maneggia incautamente quando sono sovraccarichi o male annodati. A soppiantarli sarà il fascicolo informatico, nel quale dovranno confluire tutti i documenti processuali. E' una realtà niente affatto nuova alla prassi giudiziaria: il processo civile funziona così da anni. Questa specie di faldone fatto di bit e file dovrà essere creato in modo tale da assicurarne autenticità, integrità, accessibilità, leggibilità, interoperabilità e agevole consultazione telematica.

Insomma, dovrà essere fatto bene. Tutti gli atti formati alla vecchia maniera, cioè su supporto cartaceo, dovranno essere rapidamente (la legge dice “senza ritardo”) convertiti in documento informatico e fatti confluire nel fascicolo elettronico. Se il singolo atto per sua natura deve essere formato su supporto analogico, dovrà essere inserito nel fascicolo informatico un elenco dettagliato degli atti cartacei. Tutte le copie informatiche di questi ultimi, per espressa previsione normativa, tengono luogo degli originali senza necessità che sugli stessi debba essere apposta la conformità ai primi.

Il termine di deposito degli atti telematici. Altro argomento spinoso è quello dei termini di deposito degli atti. E' comodo poter formare e depositare un atto processuale senza doversi spostare dal proprio studio, o da qualsiasi altro posto convenientemente attrezzato. C'è da tenere presente anche un altro aspetto però: quello dei termini di deposito, che il codice talvolta indica come perentori, altre volte come ordinatori o dilatori. Per fare chiarezza, il nuovo art. 172 c.p.p. riceve un comma 6-bis che stabilisce una regola operativa ci auguriamo scevra da dubbi interpretativi. Il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio giudiziario con modalità telematiche si considera rispettato se l'accettazione da parte del sistema informatico giunge entro le 24 ore dall'ultimo giorno utile.

Quindi, in altri termini, converrà comunque operare lasciando un certo margine dalla scadenza e sarà sconsigliabile ridursi all'ultimo giorno perchè non si potrà essere certi che l'accettazione da parte del sistema informatico giunga in tempo utile. Per dare una regola di condotta ai ritardatari (o ai nottambuli) si stabilisce che se non è diversamente previsto, i termini decorrenti dal deposito telematico effettuato in orari diversi da quelli dell'ufficio destinatario si computano dalla data di prima apertura immediatamente successiva dell'ufficio. Quindi, in altri termini, chi dovesse depositare un atto di appello o una lista testimoniale (atti entrambi soggetti al rispetto di un termine perentorio) alle 23:30, dovrà tenere conto che essi verranno considerati depositati la mattina del giorno successivo.

Quando la tecnologia si mette di traverso. Non è affatto vero che i computer, i server e le linee telematiche sono oggetti del tutto inanimati. Al contrario: essi posseggono una misteriosa e innata capacità di intuire quando l'utente ha fretta, o si trova comunque in fibrillazione e deve confidare sul loro buon funzionamento. Così in questi casi si prendono una perfida rivincita sull'uomo che li ha creati e messi supinamente al proprio servizio: dovete depositare un ricorso in cassazione che scade oggi? Bene: sarà quello il momento esatto in cui il computer deciderà capricciosamente di installare gli aggiornamenti che aveva nello stomaco da tre mesi, e vi terrà sulle spine per due ore prima di riprendere pigramente a rispondere ai vostri ordini. Stessa cosa per i sistemi informatici raggiungibili da remoto: non funzionano proprio quando servono, e in questi casi il panico attanaglia le viscere dell'utente che rimpiange carta, penna e calamaio.

Amenità a parte, il legislatore della riforma ha precauzionalmente considerato questa niente affatto scontata eventualità, e lo ha fatto dedicandovi un articolo apposito. Il 175-bis c.p.p., rubricato “malfunzionamento dei sistemi informatici”, disciplina minuziosamente l'ipotesi in cui i domini del Ministero della Giustizia vadano in tilt. In questa ipotesi occorre una certificazione dell'ormai noto DGSIA, che andrà attestata sui vari portali ministeriali. Il dirigente dell'ufficio giudiziario dovrà a sua volta comunicare questo malfunzionamento in modo tale da renderlo tempestivamente conoscibile a tutti gli interessati. Allo stesso modo si procede quando tutto riprende a funzionare come prima. Nell'interludio del coma informatico, a norma di legge, bisognerà mettere indietro la macchina del tempo, e riprendere in mano carta e penna.

Dall'inizio alla fine del malfunzionamento, quindi, atti e documenti saranno formati e depositati con modalità analogiche alla vecchia maniera; poi, quando tutto riprenderà a funzionare, si provvederà a convertirli in documenti informatici. A questa regola operativa si ricorre anche nel caso di malfunzionamento accertato dal solo dirigente dell'ufficio giudiziario.

E' infine contemplata l'ipotesi – da manuale della sfortuna – in cui nel periodo di malfunzionamento dovesse scadere un termine processuale perentorio. In questa ipotesi è previsto un niente affatto semplice meccanismo di restituzione nel termine per accedere al quale le parti processuali pubblica e private e i loro difensori devono provare di essersi trovati per caso fortuito o forza maggiore nell'impossibilità di redigere o depositare tempestivamente l'atto. Della serie: meglio non aspettare l'ultimo momento per depositare un atto in scadenza.

Il processo telematico: la versione post-COVID susciterà ancora polemiche? Quando il COVID imperversava, flagellandoci con la sua prima ondata, si pensò di provare a mandare avanti i processi con le tecniche di partecipazione a distanza alle udienze. Vi ricorderete senz'altro il vespaio di polemiche che si creò attorno a questa idea, ritenuta da pochi utile e da molti avversata per ragioni più di principio che d'altra natura. Si gridava al sacrilegio, si temeva che si volesse intraprendere un cammino per relegare l'avvocato nel riquadro di uno schermo, o che se ne volesse depotenziare l'efficacia difensiva.

Tra invettive, slogan propagandistici e timori che si finisse per celebrare le udienze in giacca, cravatta e pantofole, lo svolgimento delle udienze da remoto non ha mai spiccato il volo. Eppure, non ci stanchiamo di ripetere, quel sistema avrebbe consentito, specialmente in occasione delle tante udienze prive di contenuti complessi (si pensi alle prime udienze dibattimentali), di operare – a prescindere dalla pandemia – senza inutili attese in tribunale, ottimizzando così i tempi della giornata lavorativa. Ma il legislatore questa volta non ha ceduto alle stroncature, e ha anzi riproposto il tema dell'attività processuale da remoto perfezionandone la disciplina e innestando nel Libro II un titolo II-bis.

Lo apre l'art. 133-bis c.p.p., che contiene una disposizione generale: la norma stabilisce che, fatte salve le ipotesi specificamente e diversamente disciplinate, quando l'autorità giudiziaria dispone che un atto sia compiuto a distanza o che si possa comunque partecipare a distanza alla celebrazione di un'udienza, si osserveranno le disposizioni dell'articolo seguente che è, per l'appunto, il 133-ter. Qui si concentra il grosso della disciplina della partecipazione da remoto. Il primo passo è quello del decidere di procedere con la modalità “a distanza”: l'autorità giudiziaria in questi casi deve emettere un decreto motivato in udienza o, se reso fuori udienza, comunicato alle parti insieme al provvedimento che fissa la data del collegamento.

Questo avviso dovrà pervenire almeno tre giorni prima della data stabilita per il compimento dell'atto o la celebrazione dell'udienza. Si procede con un sistema ricalcato su quello in uso da anni quando si tratta di procedere, ad esempio, all'audizione dei collaboratori di giustizia: si attiva un videocollegamento tra l'ufficio giudiziario (o l'aula d'udienza) e il diverso luogo in cui si trovano i partecipanti a distanza. Quest'ultimo è per legge equiparato all'aula d'udienza. A pena di nullità il collegamento deve consentire lo svolgimento del contraddittorio e deve garantire quindi l'effettiva partecipazione delle parti all'udienza o al compimento dell'atto, assicurando la reciproca visibilità e udibilità.

Chi partecipa all'atto (il riferimento è ai privati) si collega da un altro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria attrezzato per il videocollegamento. I detenuti, invece, partecipano come di consueto dalle salette appositamente allestite presso le case circondariali. L'autorità giudiziaria può autorizzare i soggetti liberi a collegarsi da un diverso luogo, mentre i difensori possono partecipare dai propri comodi studi professionali o da altro luogo idoneo, foss'anche il tinello di casa propria.

A scelta dei difensori – così da spegnere sul nascere il ritorno di fiamma delle polemiche – è comunque permesso di collegarsi rimanendo fianco a fianco con il proprio assistito, e quindi di spostarsi nel luogo dove essi si trovano. Difensore e assistito devono potersi consultare riservatamente, esattamente come se fossero seduti davanti al giudice.

Nella postazione remota è presente un ausiliario del giudice o un ufficiale di polizia giudiziaria al quale è affidato il compito di attestare l'identità dei partecipanti e di verbalizzare quanto accade. Se questa funzione è svolta da un ufficiale di polizia giudiziaria, esso dovrà essere scelto tra coloro che non hanno partecipato alle indagini che riguardano l'imputato: così non si potrà mai dire che l'incombente presenza dell'investigatore possa in alcun modo turbare la serenità dell'interessato. Come se fosse questa la principale preoccupazione di chi si trova imputato in un processo.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)