Il regime di opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare non trascritto
25 Novembre 2022
Massima
Il difetto di trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare legittima l'assegnatario/a ad agire in giudizio ex art. 1415 c.c., comma 2, per far valere la simulazione di atti di alienazione relativi alla casa familiare, indipendentemente dalla circostanza che all'assegnatario/a non debba essere rimproverato un atteggiamento di inerzia nella trascrizione del provvedimento di assegnazione Il caso
Nel 2000 viene pronunciata la separazione personale tra i coniugi, con affidamento del figlio minore alla madre e contestuale assegnazione in suo favore della casa familiare, già in comproprietà con il coniuge. In modifica di tali condizioni, nel 2002 viene affidato il figlio minore al padre, con assegnazione allo stesso della casa coniugale. Nel 2004 l'ex moglie vende la propria quota indivisa della casa familiare ad una società dalla stessa rappresentata ed amministrata. Nel 2005, la società acquirente conviene in giudizio l'ex marito della venditrice, nonché comproprietario del bene, al fine di far dichiarare lo scioglimento della comunione sulla casa familiare. Il convenuto chiama in causa l'ex moglie, in qualità di venditrice del bene, proponendo domanda riconvenzionale di simulazione assoluta della compravendita stipulata. In primo grado, nel 2012, il Tribunale territoriale accoglie la domanda riconvenzionale, dichiarando la simulazione dell'atto di compravendita. In secondo grado, nel 2017, la pronuncia è integralmente riformata con rigetto della domanda di simulazione, per difetto in capo all'assegnatario della legittimazione ad agire ex art. 1415 comma 2 c.c., e scioglimento della comunione. L'ex marito propone, quindi, ricorso in Cassazione, chiedendo la sussistenza del proprio interesse/legittimazione a proporre domanda riconvenzionale di simulazione, nonostante la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare in suo favore. La questione
L'oggetto della controversia riguarda sostanzialmente la verifica della sussistenza in capo all'assegnatario della casa familiare, alienata pro quota dall'ex coniuge, della legittimazione ad agire ex art. 1415 comma 2 c.c. per la declaratoria di simulazione della compravendita, a prescindere dall'intervenuta trascrizione del provvedimento di assegnazione.La Corte di Appello territorialmente competente rigettava la domanda di simulazione della compravendita, ritenendo il diritto dell'assegnatario non pregiudicato dall'alienazione pro quota del bene in contitolarità degli ex coniugi. In particolare, per la Corte di merito, il regime d'inopponibilità dell'assegnazione della casa familiare, derivante dalla mancata trascrizione del relativo provvedimento, non integrerebbe un pregiudizio tale da giustificare il riconoscimento della legittimazione straordinaria ad impugnare l'atto con l'azione di simulazione ex art. 1415 comma 2 c.c.La Corte di Cassazione, investita della controversia, pur considerando corretto il principio richiamato in secondo grado, non lo ritiene adeguatamente applicato al caso di specie, riconoscendo in capo all'assegnatario della casa familiare la legittimazione ad agire in giudizio ex art. 1415 comma 2 c.c., a prescindere dalla circostanza che egli sia esente da ogni colpa o negligenza per la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione. Vale a dire che, anche in caso di mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, l'assegnatario è da ritenersi pregiudicato dall'alienazione dell'immobile a causa del regime d'inopponibilità dell'assegnazione oltre il novennio, con conseguente legittimazione a far dichiarare la simulazione dell'atto di alienazione in favore del terzo.
Le soluzioni giuridiche
L'ancoraggio del provvedimento di assegnazione all'affidamento della prole sembra confermato dalla Suprema Corte, la quale, nel 2000, pronuncia la separazione personale tra i coniugi affidando alla madre il figlio minore e conseguentemente assegnandole la casa familiare. In modifica di tali condizioni, nel 2002, il figlio minore viene affidato al padre, con conseguente assegnazione in suo favore della casa familiare. I due provvedimenti di assegnazione, in quanto conseguenti all'affidamento del figlio minore di età, confermano l'orientamento giurisprudenziale teso a privilegiare l'interesse dei figli a proseguire la vita familiare nel medesimo ambiente domestico, avvantaggiando, in via meramente riflessa e conseguenziale, il genitore affidatario. Nella sentenza in commento, la Suprema Corte sembra, inoltre, avallare quanto inteso dal Legislatore nell'art. 98, d. lgs. n. 154/2013, in tema di permanente vigenza dell'art. 6 comma 6 l. n. 898/1970, e, dunque, del rinvio ivi contenuto all' art. 1599 c.c. in tema di locazione, affermando che il difetto di tempestiva trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare non lo rende opponibile ai terzi una volta trascorsi nove anni dalla data del provvedimento, restando, invece, opponibile, anche in assenza di trascrizione, nel novennio antecedente. Sul punto si osserva che le regole sull'opponibilità contenute nel summenzionato comma 6 dell'art. 6 l. n. 898/1970 non paiono incompatibili con quanto introdotto dalla l. n. 54/2006 e dal d. lgs. n. 154/2013. Difatti, nonostante l'art. 337-sexies c.c. – come introdotto dal d.lgs. n. 154/2013 - preveda espressamente la trascrivibilità e l'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare ai sensi dell' art. 2643 c.c., ove esso non venga trascritto, in assenza di puntuale previsione da parte della nuova disciplina, per regolare il tema dell'opponibilità continuerà a farsi riferimento, come ritiene la Cassazione, unicamente al comma 6 dell'art. 6 l. n. 898/1970, con l'annesso rinvio all' art. 1599 c.c. in tema di locazione, ai sensi del quale, in caso di mancata trascrizione, il provvedimento di assegnazione non sarà più opponibile decorsi nove a anni a far data dal provvedimento giudiziale stesso. Tale mancanza di opponibilità decorsi nove anni dal provvedimento costituisce, per la Corte, la condizione pregiudizievole che legittima, ex art. 1415 c.c. comma 2, il terzo assegnatario ad agire in giudizio per la dichiarazione di simulazione dell'intervenuta vendita della casa familiare. Osservazioni
La comprensione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento implica la preventiva disamina delle seguenti interconnesse fattispecie: la natura giuridica del diritto di assegnazione della casa familiare e il relativo regime pubblicitario; le condizioni ed i presupposti della legittimazione ad esperire l'azione di simulazione ex art. 1415 comma 2 c.c. Preliminarmente va rilevato che l'istituto dell'assegnazione della casa familiare ha subito, nel tempo, rilevanti modifiche. Il testo dell'art. 155 comma 4 c.c., dettato in tema di separazione (ritenuto applicabile anche in caso di divorzio), in vigore prima della sostituzione disposta dalla legge n. 54/2006, come espressamente richiamato nella sentenza in commento, era il seguente: «[…] L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”. La Corte Costituzionale, con sentenza 27 luglio 1989 n. 454 , aveva dichiarato l'illegittimità di tale comma, «nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi». La legge n. 74/1987, novellando l'art. 6 comma 6, l. n. 898/1970, ha introdotto norme esplicite per regolare l'assegnazione della casa familiare in caso di divorzio, stabilendo che “L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 c.c.”. La nuova norma in tema di divorzio era dalla giurisprudenza ritenuta applicabile anche alla separazione (Cass. n. 9071/2002; Cass. n. 3251/1995; Cass. m. 6774/1990). Il d.lgs. 154/2013, inaugurando una complessiva riforma del diritto di famiglia, ha modificato e trasfuso le norme che prima componevano l'art. 155 nel capo II del titolo IX rubricato “esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio (Artt. 337-bis — 337-octies)”. L'affermazione del c.d. diritto alla bigenitorialità e l'introduzione dell'istituto dell'affidamento condiviso hanno determinato lo spostamento del presupposto applicativo dell'assegnazione della casa familiare dall'affidamento della prole all'interesse prioritario dei figli. La disciplina dell'assegnazione della casa familiare, ora contenuta nell'art. 337-septies c.c., prevede, infatti, che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà […] Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643”. Il d.lgs. n. 154/2013 ha, quindi, per un verso, introdotto nel codice civile tale articolo, riproducente le stesse regole che la l. n. 54/2006 aveva inserito nel 1° co. dell'abrogato art. 155-quater c.c.; per altro verso, ha confermato la vigenza di parti del 6° co., art. 6, l. n. 898/1970, anch'esso destinato a regolare l'assegnazione della casa familiare in caso di crisi coniugale, ai sensi del quale “L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 c.c.”. Prima della l. n. 898/1970, come riformulata dalla l. n. 74/1987, la ratio dell'istituto era dalla giurisprudenza rinvenuta nell'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico, di guisa che, tale beneficio, pur presentando indubbi riflessi di ordine economico, non avrebbe potuto essere riconosciuto dal giudice al solo fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge debole, restando subordinato all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza di quelli maggiorenni, non autosufficienti (Cass. n. 4620/1990), con il coniuge assegnatario. Anche dopo l'introduzione, ad opera dell'art. 6 comma 6 l. n. 898/1970, del dovere del giudice di valutare le “condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole”, la Cassazione a Sezioni Unite ha continuato ad affermare che presupposto necessario per la legittima assegnazione della casa familiare ad uno degli ex coniugi fosse l'affidamento della prole ( Cass. S.U. 11297/1995; Cass. n. 9163/1995; Cass. n. 3050/1994; Cass. n. 8705/1990; Cass. n. 9071/2002; Cass. n. 9073/2000; Cass. n. 10797/1998), essendo gli altri criteri indicati dal co. 6 art. 6 l. n. 898/1970 utilizzabili dal giudice al solo fine di decidere se assegnare o meno la casa, non anche per dirimere la scelta del coniuge a cui assegnarla, restando il coniuge affidatario, o convivente con i figli maggiorenni non autosufficienti, l'unica soluzione possibile in tale senso. Secondo un diverso orientamento, invece, l'assegnazione della casa familiare avrebbe potuto costituire una differente modalità di adempimento “in natura” dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole, ancorchè non affidatario della prole (Cass. civ. 2070/2000; Cass. civ. 822/1998; Cass. civ. 6106/1997; Cass. civ. 4558/2000). In tale ottica di apertura, la previsione dell'articolo 337-sexies c.c., tesa a valorizzare in sede di assegnazione “prioritariamente” l'interesse dei figli, avrebbe potuto consentire l'emersione di differenti interessi meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico. Nella prassi giudiziaria, tuttavia, si è continuato a ritenere esclusa la possibilità di assegnare la casa familiare al genitore che non abbia l'affidamento o la collocazione presso di sé della prole (tra le tante, Cass. n. 24254/2018 e Cass. n. 2106/2018) o con il quale conviva la prole maggiorenne, ma economicamente non autosufficiente. La presenza della prole all'interno del nucleo familiare resta, quindi, anche alla luce della recente disciplina dell'art. 337-sexies c.c., il presupposto necessario per l'ottenimento dell'assegnazione in oggetto, la quale non può essere esclusivamente diretta a sopperire alle esigenze del coniuge economicamente più debole (Cass. n. 12309/2004). Riepilogato brevemente l'excursus normativo dell'istituto, occorre esaminare, per la corretta comprensione della decisione in oggetto, il profilo relativo al regime di opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare. Sul punto, la Suprema Corte in commento afferma che: “il difetto di tempestiva trascrizione - consentita da Corte cost. 454/1989, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 155 c.c., comma 4, nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi - del provvedimento di assegnazione della casa familiare non lo rende opponibile ai terzi, una volta trascorsi nove anni dalla data del provvedimento (cfr. l. n. 898/1970, art. 6, in quanto richiama l'art. 1599 c.c., così come interpretato da Cass. SU 11096/2002). In altri termini, una volta trascorsi nove anni dal provvedimento di assegnazione, il difetto di tempestiva trascrizione non rende ulteriormente opponibile (cioè pregiudica ovvero rende dipendente) l'assegnazione della casa familiare rispetto al diritto acquistato dal terzo su quest'ultima”. La problematica all'esame della Corte concerne, nello specifico, la sorte del diritto dell'assegnatario nel caso in cui l'assegnazione non venga trascritta prima dell'acquisto del terzo. L'art. 6 comma 6 l. n. 898/1970, c.d. legge sul divorzio, prevedendo che «l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell' articolo 1599 del codice civile» non contempla l'opponibilità dell'assegnazione non trascritta, richiamando espressamente, in caso di trascrizione, la disciplina dell'art. 1599 c.c., in base alla quale “Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione”. Il quadro normativo tratteggiato pone, quindi, il problema di verificare se, per l'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale entro il novennio, sia o meno necessaria la sua trascrizione nei Registri Immobiliari. Sul punto si contrapponevano due distinte teorie. Una prima tesi sosteneva l'opponibilità del provvedimento di assegnazione solo in caso di sua trascrizione (Cass. civ. Sez. III, 20 aprile 2016, sent. n. 7776); una seconda tesi, invece, lo riteneva sempre opponibile al terzo nei limiti del novennio in forza del richiamo effettuato dal legislatore alla norma dell'art. 1599 c.c. (Corte cost. ord. n. 20/1990; Cass. n. 10977/1996; Cass. n. 25835/2017), necessitando della trascrizione solo per l'opponibilità del provvedimento oltre il novennio e relegando l'inciso “in quanto trascritta” alla sola ipotesi di locazione ultranovennale. A tale ultima prevalente interpretazione (Cass. S.U. 11096/2002; Cass. n. 10977/1996), confacente alla natura di diritto personale di godimento dell'assegnazione, sembra aderire la sentenza in commento, allorquando afferma che per l'opponibilità delle locazioni al terzo acquirente, la trascrizione è necessaria soltanto qualora la locazione abbia una durata superiore ai nove anni; mentre le locazioni di durata inferiore ai nove anni, o, comunque, non superiori, sono opponibili anche se non trascritte. Con la riforma del 2006, l'art. 155-quater c.c., come trasfuso nell'art. 337-septies c.c., ha prescritto la trascrizione del provvedimento di assegnazione, di guisa che ove il provvedimento venga tempestivamente trascritto, non potrà che farsi ricorso alle norme in tema di pubblicità immobiliare, contenute negli artt. 2643 e ss. c.c., non avendo più senso regolare il conflitto in base alle regole dettate dall'art. 1599 c.c. in tema di locazione. Il provvedimento di assegnazione è, quindi, da includersi nell'elenco degli atti soggetti a trascrizione ai sensi dell'art. 2643 c.c., la cui trascrizione produrrà gli effetti giuridici di cui all'art. 2644 c.c. L'art. 2643 c.c. individua solo gli atti soggetti a trascrizione, tra i quali, in ragione dell'espresso rinvio normativo, può ricomprendersi il provvedimento di assegnazione della casa familiare. Per la disciplina degli effetti della trascrizione occorrerà, invece, fare riferimento al successivo art. 2644 c.c. che, nel dirimere il conflitto tra più aventi causa dallo stesso dante causa, richiama il principio generale del nostro ordinamento della priorità della trascrizione. L'applicazione dei principi generali in tema di trascrizione consente di affermare la soccombenza dell'ampia tutela assicurata al coniuge assegnatario nei confronti degli acquisti e delle ipoteche iscritte sull'immobile anteriormente alla trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione (Cass. n. 12466/2012; Cass. n. 15885/2015), anche in caso di successiva trascrizione del pignoramento immobiliare sul bene familiare (Cass. n. 7776/2016). La permanenza in vigore, come detto, dell'art. 6 comma 6 l. n. 898/1970, comporta tuttavia che, in caso di mancata trascrizione, l'assegnazione – come ribadito nella sentenza in oggetto - seguirà il regime della locazione e, quindi, sarà opponibile ai terzi entro il novennio, come previsto dall'art. 1599 c.c., espressamente richiamato. Appare, inoltre, evidente che l'opponibilità in parola si riterrà, comunque, esercitabile entro i limiti del diritto originariamente riconosciuto sulla casa familiare. Ne consegue che, quando il genitore non assegnatario o entrambi risultino essere conduttori della casa, come previsto dall'art. 6 l. n. 392/1978, l'assegnatario subentrerà per intero nel contratto di locazione, concentrando nella sua persona il corrispondente diritto personale di godimento ed escludendo dallo stesso il coniuge non assegnatario. Ugualmente nel caso in cui il bene, sempre di proprietà di un terzo, sia stato concesso in comodato ai coniugi per le esigenze familiari, poiché in tal caso il provvedimento di assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario non modificherà né la natura né il contenuto dell'originario titolo di godimento sul bene, restando condizionato dalla disciplina originaria, con gli stessi limiti che segnavano il godimento della comunità familiare nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Pertanto, se il comodato è stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato, il comodante sarà tenuto a consentirne la continuazione al coniuge assegnatario come previsto in contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ex art. 1809 co. 2 c.c. (Cass. n. 13260/2006). Più difficoltosa appare l'ipotesi in cui il coniuge non assegnatario sia proprietario della casa familiare o titolare di un diritto reale di godimento su di essa, dovendosi in questo caso stabilire se il coniuge assegnatario sia titolare di un diritto personale di godimento, assimilabile alla locazione, ovvero di un diritto reale di godimento sull'immobile, da incasellarsi nell'ambito del diritto di abitazione della casa e di uso degli arredi. La problematica sollevata presuppone la corretta individuazione della natura giuridica del diritto dell'assegnatario. Prevale in giurisprudenza la teoria del diritto personale di godimento (Cass. S.U. n. 11096/2002; Cass. n. 17971/2015; Cass. n. 8361/2011; Cass. n. 6192/2007), contrapposta alla tesi del diritto reale, assimilabile a quello di cui all'art. 1022 c.c. (Cass n. 11096/2002). A prescindere dalla natura giuridica attribuitagli, il diritto dell'assegnatario sarà comunque destinato ad estinguersi in caso di cessazione dell'abitazione stabile nella casa coniugale o convivenza more uxorio o nuovo matrimonio dell'assegnatario. L'assegnazione della casa familiare può essere disposta, a maggior ragione, in caso di comproprietà dell'immobile da parte di entrambi coniugi, purché resti finalizzata a soddisfare l'esclusivo interesse dei figli a continuare a viverci (Cass. n. 1491/2011). La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte ha proprio ad oggetto un'ipotesi di comproprietà dell'immobile da parte dei coniugi, nel qual caso deve ritenersi che, in conseguenza del provvedimento di assegnazione, il coniuge assegnatario diventi titolare di due distinte posizioni giuridiche: il diritto di comproprietà pro quota sul bene familiare e un diritto personale di godimento sulla quota in comproprietà dell'altro coniuge non assegnatario. Quanto alla domanda di scioglimento della comunione, la Corte di Appello, rigettando la domanda di simulazione proposta dall'ex marito, dichiarava lo scioglimento della comunione sulla casa familiare. Anche tale questione appare controversa. In giurisprudenza si era, infatti, statuito che la qualità di assegnatario della casa, in caso di divisione, non fosse priva di rilievo (Trib. Bologna 21.1.1993), in quanto l'assegnazione ad uno dei coniugi (o ex coniugi) comproprietari rendeva inammissibile la domanda di divisione proposta dal non assegnatario (Trib. Monza 24.10.1991; Trib. Monza 21.4.1989). Più recentemente la giurisprudenza si è pronunciata per l'ammissibilità della domanda di divisione presentata dal non assegnatario (A. Firenze 6.11.1992; Trib. Torino 12.10.2001; Trib. Roma 4.7.2000), stabilendo che l'assegnazione del godimento della casa familiare non possa essere presa in considerazione, in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato dell'immobile ( Cass. n. 33069/2018), allorquando l'immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso (Cass. n. 17843/2016). Si è anche ritenuto che la qualità di assegnatario della casa, in caso di divisione, fosse titolo preferenziale per l'attribuzione dell'intero immobile. Venendo alla seconda fattispecie oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione nella sentenza in commento, occorre trattare della legittimazione del terzo nell'azione finalizzata a fare valere la simulazione. L'orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, è giunto alla conclusione che l'art. 1415, comma 2, c.c., legittimando i terzi a fare valere la simulazione del contratto quando esso pregiudichi i loro diritti, non consente “di ravvisare un interesse indistinto e generalizzato di qualsiasi terzo ad ottenere il ripristino della situazione reale, essendo, per converso, la relativa legittimazione indissolubilmente legata al pregiudizio di un diritto conseguente alla simulazione” (App. Catanzaro 3 giugno 2021). “Non tutti i terzi, pertanto, soltanto perché in rapporto con i simulanti, possono instare per l'accertamento della simulazione, dovendosi invece riconoscere il relativo potere di azione o di eccezione soltanto a coloro la cui posizione giuridica risulti negativamente incisa dall'apparenza dell'atto” (Trib. Ferrara 6 maggio 2021; Cass. civ. sez. II, n. 29923/2020). Tale principio è accolto e riprodotto integralmente nella sentenza in commento, in cui la Suprema Corte, facendone puntuale applicazione, ritiene il diritto dell'assegnatario giuridicamente pregiudicato dall'inopponibilità ultranovennale del provvedimento di assegnazione non tempestivamente trascritto. Da tale pregiudizio deriva, per la Corte, la legittimazione straordinaria dell'assegnatario ad agire ex art. 1415 comma 2 c.c. per la dichiarazione di simulazione assoluta della compravendita del bene. In tal senso, l'azione di simulazione da parte del terzo nei confronti delle parti, ai sensi dell'art. 1415 comma 2 c.c., postula un interesse pregiudicato dall'atto che si assume simulato, in assenza del quale il terzo difetta di interesse a far dichiarare la simulazione del contratto o di uno dei suoi elementi (Cass. civ. sez. II n. 2885/2002; Cass. civ. sez. III n. 10848/1997). Per terzi devono intendersi coloro che non sono parti del negozio simulato, vale a dire i terzi aventi causa a titolo particolare dalle parti, sia mortis causa che inter vivos. In base agli effetti prodotti dal negozio simulato, si distinguono due categorie di soggetti: i terzi che hanno fatto affidamento sulla situazione apparente creata dal negozio (art. 1415 comma 1 c.c.) e color che, invece, da tale situazione apparente si ritengono pregiudicati (art. 1415 comma 2 c.c.). La fattispecie oggetto della sentenza in commento coinvolge la seconda categoria soggettiva, alla cui tutela soccorre il comma 2 dell'art. 1415 c.c. nel consentire ai terzi di far valere la simulazione in confronto delle parti, ove pregiudichi i loro diritti. La ratio della norma è chiaramente quella di evitare che l'apparenza giuridica creata dal negozio simulato possa determinare un concreto impedimento all'esercizio dei diritti che i terzi possano vantare nei confronti dei simulati contraenti, dirimendo il conflitto tra i terzi pregiudicati dal contratto simulato e coloro i quali, invece, vantino il contrario interesse a che il contratto simulato mantenga la sua apparenza. Trattasi, come evidenziato dalla Suprema Corte in commento, di un'eccezionale legittimazione processuale concessa a terzi estranei al regolamento contrattuale (art. 1415 comma 2 c.c.), presupponente il riscontro in capo ai medesimi della lesione di un interesse correlato all'esercizio di un loro diritto. L'indagine sull'esistenza della legittimazione straordinaria a dedurre in giudizio il diritto pregiudicato si interseca, pertanto, con quella sull'esistenza del diritto dipendente del terzo, negativamente inciso dall'apparenza dell'atto oggetto della domanda di simulazione, che deve essere provato. La giurisprudenza in materia ritiene siano soggetti legittimati solamente i titolari di un diritto effettivamente e negativamente inciso dalla situazione di apparenza realizzata dall'atto simulato (Cass. n. 28610/2013; Cass. n. 4023/2007; Cass. n. 6651/2005, Cass. n. 2085/2002), a prescindere che tale diritto del terzo sia sorto in un'epoca antecedente rispetto al negozio simulato lesivo dei suoi diritti (Cass. n. 2154/2015). Per la Cassazione in commento tale legittimazione straordinaria presuppone un diritto pregiudicato-dipendente dall'altro diritto pregiudiziale-condizionante. Al fine di verificare la sussistenza tra l'assegnazione della casa familiare e la compravendita simulata di tale rapporto di pregiudizialità-dipendenza occorre evidenziare come, mentre nel novennio, il terzo acquirente non potrà esperire alcuna azione di rilascio o, come nel caso in esame, di divisione del bene acquistato, trascorso tale periodo, non essendo l'assegnazione trascritta, egli potrà chiedere il rilascio o la divisione del bene, non essendo allo stesso più opponibile il godimento del bene in favore dell'assegnatario. Appare allora evidente l'interesse di quest'ultimo ad esperire azione di simulazione assoluta del negozio al fine di ottenere una sentenza di accertamento negativo di nullità del rapporto scaturente dal negozio simulato, con restaurazione del diritto originario di comproprietà degli ex coniugi sul bene. Tale rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica non sarebbe, invece, riscontrabile in caso di azione revocatoria proposta dall'ex coniuge assegnatario, il cui esito vittorioso non assicura il rientro del bene nel patrimonio del disponente, ma solo l'inefficacia relativa del negozio nei confronti dell'assegnatario (Cass. n. 17009/2005; Cass. n. 11830/2007). Riferimenti
A. Finocchiaro, in A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, Diritto di Famiglia, Il divorzio, Milano, 1984-1988. G.F. Basini-T. Bonamini, L'assegnazione della casa familiare, in G. Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, vol. II, Milano, 2022, 1165 e ss. M.C. Diner, Il contratto in generale, Milano, 2002, 709 e ss.
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