Il ricorso collettivo e la categoria degli atti plurimi

28 Novembre 2022

L'articolo si concentra sul tema dell'ammissibilità di un ricorso collettivo proposto avverso un atto plurimo ad effetti scindibili, adottato nei confronti di più destinatari all'esito di singoli procedimenti amministrativi attivati su istanza di parte e coinvolgenti interessi legittimi di natura pretensiva.
Il ricorso collettivo e le differenze con il ricorso cumulativo

Nel processo amministrativo è possibile che più soggetti agiscano mediante un unico atto introduttivo del giudizio, proponendo un ricorso collettivo (o cumulativo sul piano soggettivo), pur dovendosi rimarcare come, ad oggi, nessuna disposizione del codice del processo amministrativo disciplini espressamente detta fattispecie.

A fronte di un primo indirizzo ermeneutico, favorevole a che tale lacuna sia colmata dall'utilizzo del rinvio esterno al codice di procedura civile di cui all'art. 39, co. 1 c.p.a., con discendente applicazione delle disposizioni in materia di litisconsorzio facoltativo dettate dall'art. 103 c.p.c., la giurisprudenza amministrativa si è invece mostrata granitica nel confermare il suo tradizionale orientamento restrittivo, formatosi ben prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010, secondo il quale la proposizione di un ricorso collettivo rappresenta un'eccezione alla regola generale per cui ciascuna singola azione debba invece essere individualmente esercitata in giudizio dal soggetto legittimato.

Le critiche a un'impostazione così stringente, oltre che sul richiamato rinvio esterno al c.p.c., fanno altresì leva sulla disposizione di cui all'art. 32, co. 1, c.p.a. che, per la prima volta, ha introdotto un'importante novità nel processo amministrativo, ammettendo, in via generale, la possibilità di cumulare più domande tra loro connesse, anche ricadenti nell'ambito di riti diversi. Tale disposizione, tuttavia, è stata interpretata dalla giurisprudenza come rivolta essenzialmente alla ipotesi di cumulo oggettivo e non soggettivo.

A questo punto, pare dunque opportuno introdurre la distinzione intercorrente tra ricorso collettivo e ricorso cumulativo (sul piano oggettivo), atteso che mentre nel primo caso più soggetti agiscono in giudizio mediante un unico ricorso, nella seconda fattispecie, invece, la parte attorea finisce per investire il giudice di più domande, mediante l'esperimento di più azioni o, comunque, con l'impugnazione di più atti autonomamente lesivi.

Nulla vieta, peraltro, che le due ipotesi di cui sopra finiscano per coesistere nell'ambito del medesimo giudizio e ciò si realizza quando con un ricorso collettivo siano veicolate plurime azioni, ovvero un'unica azione di annullamento avverso non uno, ma più provvedimenti amministrativi ex se lesivi per l'intera parte ricorrente.

Ad ogni modo, per la giurisprudenza ammnistrativa la possibilità di presentare sia dei ricorsi collettivi che cumulativi, deve essere intesa alla stregua di una deroga al principio generale che impone come ogni domanda rivolta al giudice amministrativo, avente ad oggetto un interesse all'adozione o alla non emanazione di un provvedimento, debba essere proposta dal titolare della relativa situazione giuridica soggettiva con un'azione individuale.

Tale orientamento, perlomeno, è stato costantemente tenuto fermo con riferimento alla giurisdizione di legittimità, in considerazione della particolarità del giudizio ad essa sotteso.

Del resto, la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 27 aprile 2015, n. 5, ha avuto modo di precisare come, da un lato, nel giudizio impugnatorio di legittimità l'unicità o la pluralità di domande proposte dalle parti debba essere determinata, in via esclusiva, in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e, dall'altro lato, come in tale sede processuale la regola generale sia rappresentata dalla circostanza che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi–motivi prospettati si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo sul piano oggettivo.

Lo stesso Supremo consesso ha poi precisato come detta condizione debba essere accertata in modo rigoroso, al fine di evitare la possibile confusione di controversie tra loro non omogenee, con conseguente aggravio dei tempi di conclusione dei processi, oltre che l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali dettate in materia di corresponsione del contributo unificato.

Se, dunque, il limite alla proposizione di un ricorso cumulativo, col quale vengano impugnati più provvedimenti autonomamente lesivi o, comunque, siano proposte più azioni, è rappresentato dalla necessaria sussistenza di una connessione di stampo oggettivo tra le domande proposte al giudice – non rilevando, a tal fine, l'eventuale connessione soggettiva, come invece accade nel processo civile – con riferimento al ricorso collettivo la giurisprudenza amministrativa ha individuato due particolari requisiti per la sua ammissibilità.

Il primo, di tipo positivo, consiste nella necessità che vi sia omogeneità tra le posizioni dei soggetti promotori, con conseguente loro identità sia dal punto di vista sostanziale che processuale, mentre il secondo requisito, di segno negativo, richiede che tra i ricorrenti non sussista alcun conflitto di interessi, neppure di tipo potenziale.

Con riferimento al primo dei prefati requisiti, dunque, è necessario, in primo luogo, che le domande giudiziali proposte con il ricorso collettivo siano identiche nell'oggetto e, in secondo luogo, che gli atti impugnati rechino lo stesso contenuto e vengano altresì censurati per gli stessi motivi.

In merito, gli orientamenti più rigorosi, tra cui quello seguito dalla Sezione II-bis del T.A.R. capitolino (si veda sentenza 24 giugno 2022, n. 8618), come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, ritengono che l'identità delle posizioni sostanziali e processuali non possa se non comportare anche che l'impugnazione sia effettuata nei confronti degli stessi atti amministrativi che, nel loro complesso, devono dunque essere in grado di riverberare i loro effetti lesivi, allo stesso modo, su tutti i ricorrenti, unitamente considerati alla stregua di un'unica parte processuale, ancorché composta da più soggetti.

Per quanto riguarda il secondo requisito, ossia quello dell'assenza di una situazione di conflittualità di interessi tra i ricorrenti, esso si risolve nella necessità che l'eventuale accoglimento della domanda nei confronti di una parte di essi non risulti essere logicamente incompatibile con l'interesse vantato dall'altra parte della categoria, non potendo l'esito del giudizio andare a favore di alcuni di loro e, contemporaneamente, a detrimento di altri.

In sostanza, sia in tema di ricorsi collettivi che cumulativi i giudici amministrativi hanno tendenzialmente escluso che nel processo amministrativo possa essere applicato de plano quanto previsto in merito dal codice di procedura civile, quantomeno per quanto attiene ai giudizi riferibili alla giurisdizione di legittimità.

La classificazione degli atti amministrativi in relazione ai suoi destinatari

Tra le varie classificazioni degli atti amministrativi proposte dalla dottrina, ai fini dell'odierno articolo risulta essere di interesse quella che prende a riferimento le diverse tipologie di soggetti destinatari delle determinazioni dell'amministrazione, in ossequio alla quale è possibile distinguere tra: atti a destinatario singolo, atti generali, atti collettivi e atti plurimi.

La prima delle summenzionate ipotesi è rappresentata dal classico e più semplice caso in cui un provvedimento amministrativo abbia, come destinatario, un unico soggetto, producendo degli effetti giuridici esclusivamente nella sua sfera giuridica. Si pensi all'ipotesi del permesso di costruire rilasciato al proprietario di un immobile all'esito della sua istanza di parte.

L'atto amministrativo generale, invece, è quello che si caratterizza per il fatto di essere rivolto a una pluralità di destinatari che, tuttavia, non sono immediatamente identificabili al momento della sua adozione ma solo in via successiva. Quest'ultima tipologia di atti, dunque, finisce per rivolgersi, in un primo momento, ad una platea generalizzata e indiscriminata di destinatari, al pari di quanto avviene con gli atti normativi, salvo poi assistersi, a differenza di questi ultimi, alla successiva concentrazione delle sue disposizioni nei confronti di soggetti nominativamente individuabili.

Esempio paradigmatico della categoria degli atti generali è senz'altro rappresentato dai bandi di gara adottati in materia di appalti, oppure dai bandi con cui l'amministrazione indice pubblici percorsi per l'arruolamento dei pubblici dipendenti.

In un primo momento, invero, detti bandi si rivolgono alla generalità di consociati, per poi far valere le loro disposizioni nei confronti dei soli partecipanti alle procedure selettive di tipo comparativo dagli stessi disciplinate, riferendosi così ai soggetti che abbiano ritualmente presentato le loro candidature nel termine prescritto dalla lex specialis. Alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, dunque, si assiste alla concentrazione delle statuizioni veicolate dai prefati atti generali nei confronti dei candidati che, a partire da quel momento, costituiscono un insieme di soggetti individuati e individuabili.

Gli atti plurimi, così come quelli collettivi, invece, pur rivolgendosi a molteplici soggetti, così come fanno anche gli atti generali, differiscono da questi ultimi poiché nel loro caso i destinatari sono sempre individuabili a priori, mentre negli atti generali lo sono solo ex post, come visto pocanzi.

L'atto plurimo, poi, si distingue ulteriormente da quello collettivo in quanto mentre quest'ultimo si rivolge a più soggetti unitariamente considerati, il primo, pur estrinsecandosi formalmente in un provvedimento unico, produce in realtà effetti scindibili nei confronti dei singoli interessati, dovendo essere immaginato, idealmente, come un unico contenitore dal quale prendono vita singoli atti indirizzati, in via esclusiva, ai rispettivi destinatari. Così, mentre gli effetti giuridici degli atti collettivi si riverberano, contestualmente, nella sfera giuridica di più soggetti, presi in considerazione in maniera unitaria, gli atti plurimi, per converso, recano dei contenuti scindibili e riferibili a ciascuno di essi.

In altri termini, mentre gli atti collettivi sono immediatamente e autonomamente lesivi per una pluralità di soggetti predeterminati e considerati in via unitaria, come un'unica categoria di destinatari, gli atti plurimi risultano essere autonomamente lesivi delle sfere giuridiche soggettive dei singoli soggetti cui sono indirizzati, individualmente e non collettivamente intesi.

Volendo fare degli esempi pratici, rientra nella categoria degli atti collettivi il provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale, che colpisce, considerandoli alla stregua di un'unica categoria omogenea, i singoli componenti dell'organo collegiale, mentre va ricondotto nell'alveo degli atti plurimi il provvedimento di esproprio indirizzato a più proprietari, producendo esso un effetto ablativo strettamente riconducibile ai rispetti diritti di proprietà da questi ultimi vantati.

La differenza tra gli atti plurimi e quelli collettivi risulta essere particolarmente rilevante in punto di tutela giurisdizionale, atteso che la scindibilità degli effetti dei primi postula che la loro impugnazione da parte di uno dei destinatari non possa né beneficiare, né tantomeno andare a detrimento degli altri destinatari.

La sentenza oggetto dell'odierno articolo, in particolare, si è interrogata sulla possibilità di ammettere un ricorso collettivo presentato dai destinatari di un atto plurimo, in considerazione della scindibilità degli effetti da questo promananti.

L'orientamento del TAR del Lazio

Come già in precedenza anticipato, il TAR del Lazio con la sentenza 24 giugno 2022, n. 8618, ha avuto modo di occuparsi della questione dell'ammissibilità, o meno, di un ricorso collettivo proposto avverso un atto plurimo, adottato dall'amministrazione all'esito di singoli procedimenti attivati su istanza di parte dai rispettivi interessati.

La vicenda prende le mosse dalla richiesta di riconoscimento della qualifica professionale conseguita all'estero presentata individualmente, e in tempi diversi, al Ministero dell'Istruzione da parte di diversi docenti e con riferimento a diverse classi di concorso, in ossequio alle disposizioni contenute nelle Direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, così come recepite dal d.lgs. n. 206/2007.

All'esito degli anzidetti procedimenti l'autorità ministeriale ha respinto le istanze di parte, mediante un unico provvedimento di tipo plurimo, evidenziando, per ciascun ricorrente, le ragioni dell'anzidetto diniego.

La pronuncia si colloca nel solco di un orientamento restrittivo già tracciato, nella stessa materia, dalla medesima Sezione del T.A.R. Lazio (cfr. sentenza 8 novembre 2021, n. 11432), che ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato da più docenti avverso i provvedimenti individuali di diniego adottati dal Ministero dell'Istruzione a fronte delle loro istanze di riconoscimento, ritenendo insussistenti, in quel caso, i presupposti per la proposizione sia di un ricorso collettivo che di tipo cumulativo.

A parere del Collegio, invero, l'azione proposta non avrebbe potuto essere configurata né a guisa di un'unica domanda di annullamento di un provvedimento comune, né tantomeno di più domande di annullamento di provvedimenti autonomamente lesivi e oggettivamente connessi tra loro, attesa, da un lato, la mancata riferibilità all'intera parte processuale, intesa in senso unitario, delle statuizioni dagli stessi recate, venendo in rilievo una mera sommatoria di singole domande di annullamento intese ad ottenere la caducazione di più provvedimenti destinati, in via individuale, a ciascuno dei ricorrenti e, dall'altro lato, difettando comunque il requisito della connessione tra gli atti autonomamente lesivi gravati, essendo essi il frutto di determinazioni adottate dalla p.a. all'esito di separati e autonomi procedimenti amministrativi di carattere squisitamente individuale.

Secondo tale impostazione, dunque, con particolare riferimento ai requisiti per la valida proposizione di un ricorso collettivo, non pare essere sufficiente, ai fini della verifica circa la sussistenza dell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, che gli stessi abbiano impugnato dei provvedimenti di identico contenuto e per le medesime ragioni, atteso che ciascuna delle determinazioni gravate costituisce l'esito finale di procedimenti amministrativi separati, condotti dalla p.a. in relazione alla specifica situazione individuale di ciascuno degli interessati, con le discendenti peculiarità del caso, rinvenibili sia in punto di percorso di studi seguito e sia per quanto attiene alle diverse classi di concorso per cui si è chiesto il riconoscimento dell'abilitazione all'insegnamento in Italia.

A venire in rilievo, più propriamente, sarebbe un fascio di procedimenti paralleli destinati a concludersi con l'adozione di provvedimenti distinti, i cui effetti giuridici sarebbero pertanto in grado di incidere, in via esclusiva, nella sola sfera giuridica del rispettivo destinatario e non in quella dell'intera parte ricorrente, unitariamente intesa.

Dalla genesi e dallo sviluppo in parallelo del percorso effettuato dai singoli procedimenti amministrativi in questione deriverebbe altresì, quale logica conseguenza, l'insussistenza di una connessione oggettiva tra gli atti gravati, posto che ognuno di essi va ricondotto a una specifica procedura di carattere individuale, con discendente insussistenza anche dei requisiti per un'impugnazione cumulativa sul piano oggettivo, oltre che soggettivo.

Tanto chiarito, il T.A.R. del Lazio aggiunge un ulteriore tassello al succitato orientamento, scrutinando la possibilità di ammettere, o meno, un ricorso presentato da più ricorrenti a fronte, stavolta, non di più provvedimenti di diniego ma di un'unica determinazione di segno negativo, dal carattere plurimo, adottata dall'amministrazione.

A venire in rilievo, dunque, è un atto rivolto a più destinatari ma con effetti scindibili, posto che a fronte della sua veste monolitica di tipo formale esso finisce per veicolare diversi provvedimenti indirizzati, in via univoca, ai singoli destinatari.

Orbene, in una circostanza di tal fatta il sopra citato orientamento restrittivo della Sezione sulla sussistenza dei presupposti per la valida proposizione di un ricorso collettivo e cumulativo parrebbe essere rispettato, almeno ad un primo esame, visto che il gravame consiste in un'azione di annullamento singola proposta da una parte complessa sul piano soggettivo avverso un unico provvedimento amministrativo.

Tuttavia, proprio la peculiare natura dell'atto plurimo e dei suoi effetti ha spinto i giudici, ad una più attenta analisi da condursi sul piano sostanziale, a confermare le loro precedenti pronunce di inammissibilità.

In tal senso, è stato rilevato come la scelta rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione di compendiare, in un unico provvedimento, le decisioni relative a diverse istanze individuali che, di norma, si concludono con atti indirizzati ai singoli interessati, non possa consentire a questi ultimi di agire in forma collettiva, tenuto conto che ad onta della veste unitaria della determinazione impugnata la stessa risulta comunque essere scindibile in distinte e autonome statuizioni riferibili, in via esclusiva, alla posizione di ciascuno dei destinatari, essendo il frutto di singoli procedimenti amministrativi, autonomi e indipendenti tra loro.

In altri termini, ciascun destinatario, a fronte di un atto plurimo, subisce un effetto lesivo che per quanto possa essere ritenuto omogeneo a quello arrecato dalla P.A. agli altri ricorrenti, risolvendosi nella negazione del bene della vita da questi anelato, ha comunque natura autonoma e distinta sul piano sostanziale, derivando da un procedimento amministrativo dal carattere individuale, nell'ambito del quale sono irrilevanti le posizioni degli altri ricorrenti.

Le ragioni di un orientamento così stringente e accorto affondano evidentemente le loro radici nei contenuti di quanto disposto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 5/2015 e riposano sulla necessità di verificare attentamente la ricorrenza dei requisiti per la proposizione di ricorsi formulati in via cumulativa, al fine di evitare conseguenze negative per il funzionamento del sistema giustizia, derivanti dalla contemporanea cognizione di più questioni tra loro non connesse o comunque non perfettamente coincidenti, ovvero per contrastare possibili fenomeni di abuso del processo, che si registrano quando la scelta di una determinata strategia processuale sia effettuata al fine di eludere le disposizioni in materia di contributo unificato.

La sentenza in commento ha altresì avuto modo di evidenziare l'ontologica differenza sussistente tra l'istituto della riunione dei processi (art. 70 c.p.a.) e quello della verifica della sussistenza dei requisiti per la rituale proposizione di ricorsi collettivi e/o cumulativi.

I giudici, in particolare, hanno ritenuto che l'astratta possibilità di effettuare un simultaneus processus su controversie caratterizzate dalla serialità del contenzioso, dall'identità delle censure e dei contenuti dei provvedimenti gravati, oltre che delle questioni giuridiche ad essi sottese, così come potrebbe essere fatto nel caso in esame, non possa comunque essere strumentalizzata per superare il vaglio preliminare di segno negativo sull'ammissibilità dei ricorsi presentati in forma collettiva, posto che le due questioni non sono tra loro equiparabili e afferiscono a diversi momenti dell'apprezzamento riservato al giudice sulle controversie incardinate dinanzi alla sua giurisdizione.

Se i profili di ammissibilità del gravame vanno ricondotti tra le questioni preliminari di rito che quest'ultimo è tenuto a delibare prima della valutazione di merito sui fatti di causa, la riunione di più ricorsi, invece, attribuisce a quest'ultimo un potere squisitamente discrezionale, frutto di una valutazione di opportunità da effettuarsi ex post, dalla quale, pertanto, non può discendere alcuna forma di sanatoria con riferimento alla inammissibilità dei singoli gravami.

La decisione di effettuare, o meno, il processo simultaneo è rimessa in capo al giudice, e non alle parti che, diversamente opinando, sarebbero così legittimate a imporre tale scelta all'organo giudicante mediante la proposizione di un ricorso collettivo, svuotando di significato la disposizione di cui all'art. 70 del codice del processo amministrativo.

Senza contare che una soluzione esegetica di tal fatta finirebbe per avere delle inevitabili conseguenze in materia di contributo unificato, posto che soltanto la decisione postuma del giudice di riunire più ricorsi ex art. 70 c.p.a. non incide sul tributo chiesto per l'accesso al servizio giustizia, a differenza di quanto accade con la presentazione di un ricorso collettivo, dove i ricorrenti sono considerati come un'unica parte processuale.

In conclusione

Alla luce delle precedenti considerazioni, è evidente come nonostante l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo la questione relativa ai presupposti per la valida proposizione di un ricorso collettivo risulti ancora oggi impegnare la giurisprudenza amministrativa che, nel silenzio del legislatore, ha comunque dovuto preoccuparsi di individuare dei limiti per l'ammissibilità di tali tipologie di gravami nell'ambito della giurisdizione di legittimità.

La questione, a ben vedere, risulta essere particolarmente delicata e si scontra con le differenti sensibilità mostrate dai diversi orientamenti giurisprudenziali e i discendenti approcci adottati, più o meno rigorosi.

A questo punto, sarebbe forse auspicabile un intervento normativo che disciplini in maniera esaustiva la fattispecie, ridimensionando il ruolo pur determinante rivestito in passato dal giudice amministrativo nella creazione delle norme di diritto processuale, in un contesto dove, tuttavia, e pare opportuno ricordarlo, non esisteva un codice di rito riservato allo svolgimento del processo amministrativo, come invece accade oggi.

Del resto, la sede legislativa parrebbe essere la più appropriata a risolvere il problema, tenuto conto che il nocciolo dello stesso risiede nell'individuare un adeguato punto di equilibrio tra opposte esigenze, bilanciando la necessità, da un lato, di garantire al privato il diritto a difesa e l'effettività della sua tutela davanti al giudice amministrativo e, dall'altro, di assicurare un adeguato funzionamento del sistema giustizia, evitando possibili confusioni e ritardi nella definizione dei giudizi che deriverebbero dal portare contemporaneamente a conoscenza dell'organo giudicante più cause tra loro non omogenee.

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