Le irregolarità formali possono rendere nulla la notifica telematica di atti e provvedimenti?

Andrea Ricuperati
29 Novembre 2022

La Suprema Corte ribadisce che le mere irregolarità formali del procedimento notificatorio (e delle incombenze ad esso funzionali) non determinano la nullità della notificazione telematica di atti e provvedimenti.
Massima

La mancata indicazione dell'estensione del file all'interno della relazione di notifica telematica non inficia la validità dell'attestazione di conformità ivi contenuta, né rende nulla la notificazione compiuta a mezzo posta elettronica certificata.

Il caso

Con sentenza pubblicata il 10 luglio 2018 la Corte d'Appello di Venezia dichiarava inammissibili – perché tardivamente proposti – gli appelli delle società Alfa e Beta avverso la decisione del Tribunale del distretto territoriale di riferimento, reputando regolare la notifica tramite posta elettronica certificata (“PEC”) di detta pronunzia di I grado.

Entrambe le soccombenti interponevano ricorso per cassazione, deducendo una serie di motivi; una di esse, in particolare (e per quanto qui rileva), lamentava la violazione degli articoli 3-bis e 11 della legge n. 53/1994, nonché degli artt. 16 e 16-undecies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (conv. dalla L. 17 dicembre 2012) e ss.mm.ii. e dell'art. 19-ter del Decreto 28 dicembre 2015 del Direttore generale dei Sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia (rectius, dell'art. 19-ter del Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, introdotto dall'art. 1 del citato Decreto 28 dicembre 2015; d'ora in poi, per brevità, “Provvedimento DGSIA”), oltre che degli artt. 156, terzo comma 3, 160 e 285 del codice di procedura civile; nel dettaglio, veniva argomentato:

-Sotto il primo profilo:

a) che l'attestazione di conformità della copia della sentenza di I grado, contenuta nella relazione di notifica della medesima, sarebbe stata affetta da vizi come la presenza dell'impronta hash non più compatibile con le previsioni dell'art. 19-ter del Provvedimento DGSIA e la mancanza – non sanabile stante l'omessa apposizione in esso della firma digitale del difensore notificante – dell'estensione “.pdf” nell'indicazione del nome del file recante la sentenza de qua;

b) che detti vizi si sarebbero riverberati sulla validità della notifica telematica della sentenza, rendendola inidonea a far decorrere il cd. termine breve per l'impugnazione, con la conseguente tempestività dell'appello;

-sotto il secondo aspetto, che la sanatoria per raggiungimento dello scopo non sarebbe applicabile ai vizi ed irregolarità discendenti dall'inosservanza delle norme in materia di notificazione telematica.

La questione

Il Supremo Collegio si è (implicitamente) chiesto, con riguardo alla vicenda devoluta alla propria cognizione:

  • se nell'attestazione di conformità in parola sia ravvisabile una qualche anomalia;
  • se, ove riscontrata, una simile anomalia possa produrre la nullità della notifica telematica ai sensi dell'art. 11 della l. n. 53/1994.
La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione ha statuito quanto segue:

(I) nella fattispecie, solo l'inosservanza delle prescrizioni di cui alle lettere da a) a f) dell'art. 3-bis, quinto comma, della legge n. 53/1994 avrebbe potuto generare la nullità della relazione di notificazione, giacché il dettato della lettera g) concerne l'attestazione di conformità della copia informatica di un documento originariamente analogico (stante il richiamo al comma 2 della disposizione) e non informatico;

(II) non è mai stata contestata la circostanza dell'avvenuto ricevimento della notificazione da parte dei procuratori delle appellanti, per cui non sussiste incertezza sulla persona destinataria della notifica o sulla data della stessa;

(III) l'attestazione di conformità, in concreto, non è comunque affetta da invalidità, posto che:

  • essa figura all'interno della relata di notifica, ha le caratteristiche di documento informatico in formato pdf ed è firmata digitalmente dal certificatore;
  • l'inserimento dell'impronta informatica nella relata costituisce un quid pluris, in quanto tale privo di incidenza negativa sulla regolarità dell'attestazione;
  • della sentenza certificata conforme compaiono sia la sintetica descrizione sia il nome del file imposti dalle specifiche di cui all'art. 19-ter del Provvedimento DGSIA, mentre la mancata indicazione dell'estensione “.pdf” non rileva perché non rappresentante porzione del nome del file.

Alla luce dei suestesi rilievi (oltre che di altri, qui non di interesse), il ricorso di Alfa è stato respinto, col corollario dell'addebito ad essa – in aggiunta a compensi e spese di lite (liquidati in favore delle resistenti) – di un importo pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo (ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002).

Osservazioni

L'ordinanza in commento rappresenta, a quanto consta, il primo arresto della giurisprudenza civile di legittimità sulla peculiare tematica della completezza del nome di un file non accompagnato dalla relativa estensione e dei suoi riflessi sull'ortodossia dell'attestazione di conformità (nonché della notificazione telematica del documento attestato).

Nell'affrontarlo (e pronunciarsi sul punto), la Suprema Corte si è avvalsa di due argomenti, entrambi non immuni da possibili obiezioni:

1) il primo – quello attinente alla non appartenenza dell'estensione (o suffisso) al concetto di “nome del file” – involge la padronanza di nozioni squisitamente tecnico-informatiche non possedute dall'estensore della presente nota, il quale si limita ad evidenziare come la sentenza n. 10266/2018 delle Sezioni Unite non abbia negato in modo esplicito che l'estensione è parte del nome, ma si sia soffermata sull'equipollenza delle firme digitaliPAdES-BESeCAdES” e sull'irrilevanza della diversità di suffisso del file firmato in un modo o nell'altro;

2) il secondo – quello afferente alla non obbligatorietà dell'inserimento in relata dell'attestazione di conformità della copia informatica di un atto/provvedimento originariamente analogico – dimentica che:

  • ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1 (primo periodo), della l. n. 53/1994, “La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”;
  • le copie (informatiche) di documenti informatici, se prodotte in ossequio alle Linee-guida AgID, “hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale, in tutte le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta.” (art. 23-bis, comma 2, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 [cd. codice dell'amministrazione digitale]);
  • l'avvocato notificante, nell'esercizio di dette funzioni avente la veste di pubblico ufficiale ex artt. 6 l. n. 53/1994 e 16-undecies, comma 3-bis, d.l. n. 179/2012, attesta la conformità dell'atto/provvedimento notificato all'interno della relata (art. 16-undecies, comma 3, d.l. cit.).

È rimasta invece abbozzata allo stadio “embrionale” la ragione decisiva per escludere nella vicenda in esame la nullità dell'attestazione e della conseguente notificazione telematica: quella insita nel fatto che le censure mosse hanno riguardato una “violazione formale relativa all'indicazione del nome del file”; in altre parole, nell'àmbito delle deviazioni degli atti dallo schema legale di riferimento (composto, nel processo telematico, da regole spesso meramente tecniche e non sempre contenute in fonti normative primarie), solo le difformità lesive del contraddittorio e del diritto di difesa dell'altra parte o pregiudicanti la decisione finale della lite meritano di essere sanzionate con la (insanabile) invalidità.

Questo è l'ormai granitico orientamento invalso in seno alla Corte di Cassazione in materia dopo la fondamentale decisione delle Sezioni Unite n. 7665 del 18 aprile 2016 (si vedano, tra le numerose pronunce, Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2022, n. 14707, Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2021, n. 16746).

Di conseguenza, se anche l'attestazione di conformità fosse stata caratterizzata da uno dei vizi lamentati nella vicenda demandata all'attenzione dell'autorità giudiziaria di ultima istanza, si sarebbe trattato di irregolarità innocue e – come tali – del tutto ininfluenti sull'idoneità della notifica a produrre il decorso del termine breve di appello; del resto, significativo s'appalesa quanto deciso dal Supremo Collegio in un caso simile: “Il ricorrente infatti deduce unicamente la mancata indicazione del "nome del file" nella attestazione di conformità della copia informatica, onde è evidente che il documento informatico contenente il controricorso per cassazione è stato da lui ricevuto, nella data indicata nella ricevuta di avvenuta consegna.

Tale adempimento incide unicamente sulla regolarità "formale" dell'atto, e, in assenza di specifica previsione di legge, non determina dunque, ai sensi dell'art. 156, comma 1, c.p.c., la grave sanzione della nullità dell'atto processuale (notificazione).

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 156 comma 3 c.p.c., inoltre, l'atto ha comunque raggiunto lo scopo cui era destinato, posto che non risulta dedotto alcun concreto pregiudizio derivante dalla mancata indicazione del "nome del file" nell'attestazione di conformità.

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