Corte EDU e tutela dei minori: prevenzione dei maltrattamenti in famiglia e protezione dei figli in condizioni di elevata vulnerabilità

Alessandro Centonze
Alessandro Centonze
01 Dicembre 2022

Con la pronuncia in esame la Corte EDU censurava l'operato delle autorità giudiziarie minorili italiani sotto molteplici profili.Si censurava, innanzitutto, l'inadeguatezza delle valutazioni compiute per verificare il rispetto dei diritti educativi della prole minorenne e i correlati diritti familiari dei genitori non conviventi, precisandosi che occorre sempre effettuare un adeguato contemperamento degli interessi familiari e genitoriali, di volta in volta, coinvolti, ferma restando la preminenza delle esigenze di protezione, fisica e morale, dei figli minori, soprattutto se in condizioni di elevata vulnerabilità. Si censuravano, inoltre, i ritardi delle autorità giudiziarie minorili, ritenuti ingiustificabili, che non davano seguito alle numerose segnalazioni effettuate dai servizi sociali territoriali, con cui si evidenziavano i pericoli, fisici e morali, ai quali erano esposti i minori durante gli incontri con il padre non convivente.Nel caso in esame, si evidenziava che i minori erano stati costretti a incontrare il padre non convivente in condizioni inidonee a garantire loro un'adeguata protezione, che apparivano ancora più ingiustificabili alla luce del fatto che, a partire dal 2016, il genitore risultava sottoposto a un procedimento penale per maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., commessi in danno della madre e dei figli, che avevano provocato gravi scompensi, psichici ed educativi, a tutti i componenti del suo pregresso nucleo familiare.
Il caso in esame

Occorre premettere che le tre parti ricorrenti del presente procedimento nascevano, rispettivamente, nel 1988, nel 2010 e nel 2013 ed erano, la prima, la madre, gli altri due, i figli minori, nell'interesse dei quali la genitrice – che adiva la Corte EDU anche per se stessa – agiva in giudizio.

A loro volta, i due figli minori erano nati dalla relazione sentimentale tra la madre ricorrente e un soggetto, alcolista e tossicodipendente, il cui atteggiamento violento aveva indotto la genitrice, il 19 luglio 2014, dopo una lunga serie di maltrattamenti, ad abbandonare la casa familiare.

In conseguenza dei maltrattamenti subiti, quindi, la madre ricorrente sporgeva una denuncia penale contro il padre dei figli e si rivolgeva a un centro antiviolenza, i cui responsabili informavano immediatamente il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma della situazione di grave disagio patita del nucleo familiare in questione e della necessità di adottare adeguate e improcrastinabili misure di protezione.

A seguito di tale segnalazione, l'11 agosto 2014, veniva sospesa la potestà genitoriale del padre dei due figli, i quali, unitamente alla madre, venivano allocati in un luogo protetto, che il genitore denunciato non avrebbe dovuto conoscere. Dopo tale allocazione, per un lungo periodo, i figli non vedevano più il genitore, atteso che gli incontri protetti previsti dall'autorità giudiziaria minorile non venivano eseguiti per ragioni sostanzialmente logistiche.

Trascorso questo periodo, con l'accordo dei servizi sociali territoriali e del citato centro antiviolenza, la madre ricorrente si trasferiva con i due figli nell'abitazione dei genitori, consentendo al padre non convivente di vederli, una volta a settimana, in condizioni protette, in un comune distante sessanta chilometri dalla località in cui i ricorrenti si erano trasferiti. Sulla base di questi accordi, tra il 6 agosto e il 29 novembre 2015, venivano organizzati otto incontri tra il padre e i due figli minori, che si svolgevano, alla presenza di un funzionario dei servizi sociali, in luoghi sempre diversi.

Sul finire del 2015, gli incontri in questione venivano interrotti temporaneamente a causa dell'assenza di adeguate forme di protezione dei figli minori, debitamente segnalate dai servizi sociali territoriali e dalla madre ricorrente, che chiedevano all'autorità giudiziaria minorile di intervenire con la massima tempestività; interventi che, però, non venivano né predisposti né attuati.

Nel frattempo, la madre ricorrente, ritenendo che non vi fossero le condizioni di sicurezza indispensabili a garantire lo svolgimento degli incontri tra il padre e i figli minori, interrompeva unilateralmente le visite genitoriali, fino a quando, il 18 maggio 2016, il Tribunale per i minorenni di Roma sospendeva la potestà genitoriale di entrambi i genitori, nominando contestualmente un tutore.

Dopo il provvedimento sospensivo, il 7 giugno 2016, nel procedimento penale attivato su impulso della madre ricorrente, il padre non convivente veniva rinviato a giudizio per il reato di maltrattamenti in famiglia, commessi in danno della stessa madre e dei figli minori; mentre, il 14 giugno 2016, il Tribunale di Tivoli disponeva l'affidamento esclusivo dei figli minori alla madre.

Gli incontri tra il genitore e i figli, quindi, riprendevano all'inizio del 2017, svolgendosi con modalità protette, sotto la vigilanza di personale dei servizi sociali territoriali, anche se l'andamento di tali visite genitoriali si rivelava estremamente problematico per l'atteggiamento intemperante del padre, che veniva segnalato con apposite relazioni dagli assistenti sociali che seguivano la vicenda. Tali relazioni, in particolare, coprivano l'arco temporale compreso tra il giugno del 2017 e il marzo del 2018, attestando l'incapacità del genitore di adeguarsi alle disposizioni che, nell'interesse preminente dei figli, gli erano state impartite; inadeguatezze comportamentali, che, peraltro, venivano evidenziate all'autorità giudiziaria minorile anche dal tutore dei minori.

Gli incontri, quindi, venivano sospesi nell'aprile del 2018, in attesa della decisione di ripristinare la potestà genitoriale della madre ricorrente, richiesta dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma.

Nel frattempo, la sospensione degli incontri si protraeva ininterrottamente fino all'inizio del 2019, quando il genitore dei minori ricorrenti veniva sottoposto a carcerazione per scontare una pena a sei anni di reclusione, per violazioni del testo unico sugli stupefacenti, commesse tra il 1994 e il 2018.

La potestà genitoriale della madre ricorrente, quindi, veniva definitivamente ripristinata, con provvedimento della Corte di appello di Roma, pronunciato il 19 dicembre 2019, nel quale, tra l'altro, si evidenziava che il padre dei minori aveva assunto nei confronti dei figli un atteggiamento aggressivo e diseducativo, alla luce del quale si segnalava l'opportunità di attivare un percorso terapeutico di recupero psicologico.

Deve, infine, precisarsi che, secondo quanto riferito dalla Corte EDU nella decisione in esame, il procedimento penale per maltrattamenti in famiglia attivato nei confronti del padre dei minori, nel corso del 2016, era ancora pendente.

La decisione della Corte EDU

Per decidere la questione sottoposta al suo vaglio, la Corte EDU era chiamata a verificare preliminarmente se lo Stato italiano avesse effettuato un adeguato contemperamento degli interessi familiari e genitoriali dei soggetti coinvolti, ferma restando la preminenza incontroversa degli interessi dei minori, che veniva ribadita. Tale vaglio, infatti, postulava margini di apprezzamento differenti a seconda della natura degli interessi familiari pregiudicati e delle esigenze di tutela dell'integrità, fisica e morale, dei soggetti interessati, soprattutto se minorenni (Corte EDU, Wunderlich c. Germania, n. 18925/15, 10 gennaio 2019), rispetto ai quali dovevano ritenersi recessive le istanze di riunione familiare e i diritti di visita genitoriale (Corte EDU, Mohamed Hasan c. Norvegia, n. 27496/15, 26 aprile 2018).

La decisione in esame, dunque, dedica un'attenzione particolare alle esigenze di tutela dell'integrità, fisica e morale, dei figli minori di genitori non conviventi, attesa la loro condizione di elevata vulnerabilità, evidenziando che le disposizioni previste dallo Stato italiano, finalizzate alla loro protezione da atti di violenza genitoriale, rientrano nell'ambito applicativo degli artt. 3 e 8 CEDU, di cui deve essere garantito il rigoroso rispetto (Corte EDU, Radomilja e altri c. Croazia, n. 37685/10 e 22768/12, 20 marzo 2018).

Le norme del diritto interno, infatti, devono prevedere misure idonee a prevenire i maltrattamenti familiari di cui le autorità giudiziarie minorili devono avere adeguata conoscenza, al fine di soddisfare le ineludibili esigenze di protezione dei minori da eventuali pregiudizi fisici (Corte EDU, Hajduová c. Slovacchia, n. 2660/03, 30 novembre 2010). Tali disposizioni, al contempo, devono garantire il rispetto della dignità umana e la tutela degli interessi prioritari dei minori (Corte EDU, C.A.S. e C.S. c. Romania, n. 26692/05, 20 marzo 2012).

In questa cornice, la Corte EDU evidenziava che gli incontri tra il padre e i figli ricorrenti non si svolgevano nel rispetto delle esigenze prioritarie di tutela dei minori, per l'inadeguatezza logistica dei luoghi in cui si svolgevano le visite genitoriali e l'impreparazione del personale preposto alla vigilanza delle occasioni di riavvicinamento familiare.

Tali inadeguatezze venivano ulteriormente correlate dalla Corte EDU ai ritardi delle autorità giudiziarie minorili, attestati dal fatto che non si era dato seguito alle numerose segnalazioni effettuate dai servizi sociali territoriali, che evidenziavano i pericoli, fisici e morali, ai quali erano esposti i minori ricorrenti, che venivano disattese, tanto è vero che gli incontri in questione – nonostante l'atteggiamento aggressivo e diseducativo del genitore, ritenuto incontroverso – proseguivano senza soluzione di continuità, per un triennio, fino all'aprile del 2018. Basti, in proposito, considerare che le segnalazioni alle autorità giudiziarie minorili, rimaste inascoltate, dei servizi sociali territoriali erano state effettuate nel mese di novembre del 2015; nei mesi di febbraio, giugno e luglio del 2017; nei mesi di gennaio e marzo del 2018.

Ne discendeva che, in questo lungo arco temporale, i minori erano stati costretti a incontrare il padre in condizioni inidonee ad assicurargli un'adeguata protezione fisica e morale; condizioni che apparivano ancor più ingiustificabili alla luce del fatto che, a partire dal 2016, il padre dei due figli ricorrenti risultava sottoposto a un procedimento penale per il reato maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cod. pen., posto in essere in danno della madre e degli stessi figli, con condotte che avevano provocato loro gravi scompensi psichici ed educativi (Corte EDU, Eremia c. Republic of Moldova, n..3564/11, 28 maggio 2013; Corte EDU, Maršálek c. Repubblica Ceca, n. 8153/04, 4 aprile 2006).

Non si comprendeva, pertanto, per quali ragioni le autorità giudiziarie minorili avevano trascurato le segnalazioni ricevute dei servizi sociali territoriali e non avevano valutato i rischi che i minori ricorrenti avevano corso a causa dei comportamenti inappropriati del genitore, che si erano protratti per un lungo arco temporale. Né tantomeno dalle decisioni relative alla vicenda giurisdizionale in esame si evinceva un adeguato bilanciamento degli interessi contrapposti, nel caso di specie rappresentati dalle esigenze di protezione dei minori – che, come detto, venivano ritenuti prioritarie – e dalle istanze di riavvicinamento familiare del genitore, che aveva dato ripetutamente prova di non volersi adattare alle prescrizioni che gli venivano imposte nell'interesse dei figli, manifestando un atteggiamento fortemente oppositivo.

Le conclusioni della Corte EDU, del resto, traevano conferma dalla decisione della Corte di appello di Roma, pronunciata il 19 dicembre 2019, che ripristinava la potestà genitoriale precedentemente revocata alla madre ricorrente, evidenziando che il padre dei due minori, nel corso degli anni, aveva assunto atteggiamenti aggressivi e diseducativi, che rivelavano la sua inadeguatezza genitoriale e la sua condizione di disagio psicologico, che necessitavano l'attivazione di un percorso di recupero terapeutico.

Sulla scorta di questa ricostruzione della vicenda processuale presupposta, la Corte EDU riteneva che nei confronti dei figli minori della ricorrente, che agivano in giudizio attraverso la genitrice, anch'essa ricorrente, a partire dal 2015, si era concretizzata una violazione dell'art. 8 CEDU.

Ad analoghe conclusioni processuali la Corte EDU giungeva con riferimento alla posizione della madre dei minori, che ricorreva anche personalmente, evidenziando che il provvedimento di sospensione della potestà genitoriale dei figli adottato dal Tribunale per i minorenni di Roma non aveva tenuto conto delle difficoltà emerse durante gli incontri tra i figli e il padre non convivente. Né si era tenuto conto delle gravi vessazioni alle quali era stata sottoposto il nucleo familiare della madre ricorrente, che avevano dato origine al procedimento penale per maltrattamenti in famiglia, ai sensi dell'art. 572 cod. pen., del quale si è già detto, che è tuttora pendente.

La Corte EDU, pertanto, affermava che le autorità giudiziarie minorili italiane, tenuto conto della condizione di grave disagio patita dalla madre ricorrente a causa dei comportamenti dell'ex convivente, non avevano fornito ragioni adeguate per giustificare la sospensione della potestà genitoriale disposta dal Tribunale per i minorenni di Roma, che si era protratta per un triennio. In questo modo, si era deciso di sospendere la potestà genitoriale della madre ricorrente sulla base del suo presunto comportamento ostile nei confronti del padre dei figli minori, peraltro smentito dalle risultanze processuali, senza prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti nel caso concreto e le reiterate vessazioni familiari subite dalle parti ricorrenti.

Tali elementi di giudizio, inoltre, inducevano la Corte EDU a ritenere che le autorità giudiziarie minorili italiane non avevano valutato adeguatamente le emergenze del caso concreto, che imponevano di ritenere ingiustificata la decisione di sospendere la potestà genitoriale della madre ricorrente per il periodo compreso tra il maggio del 2016 e il maggio del 2019, quando la Corte di appello di Roma ripristinava correttamente la pregressa condizione genitoriale della stessa ricorrente.

Sulla scorta di questa ricostruzione della vicenda processuale presupposta, la Corte EDU riteneva che nei confronti della madre ricorrente, che agiva in giudizio, oltre che nell'interesse dei figli minori, anche personalmente, a partire dal 2016, si era concretizzata una violazione dell'art. 8 CEDU.

La Corte EDU, infine, in conseguenza dei pregiudizi patiti dai figli minori, come conseguenza dei comportamenti aggressivi e diseducativi del genitore, che erano anche sfociati in un procedimento penale per il reato di cui all'art. 572 c.p., riconosceva ai due ricorrenti a titolo equitativo, ai sensi dell'art. 41 CEDU, la somma congiunta di 7.000,00 euro per i danni non patrimoniali subiti.

Il richiamo del rapporto GREVIO sull'Italia del 14 giugno 2022

A ulteriore sostegno delle conclusioni censorie raggiunte la Corte EDU richiamava il rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza domestica (GREVIO) sull'Italia del 14 giugno 2022, al quale si richiamava espressamente nel paragrafo 74 della decisione in esame.

In tale contesto, la Corte EDU sottolineava che la sicurezza del genitore non violento e dei figli dovrebbe essere un fattore centrale per valutare l'interesse superiore dei minori in materia di affidamento e di accesso, condividendo anche la preoccupazione di GREVIO per la prassi diffusa nei tribunali civili di considerare le donne che invocano la violenza domestica come motivo per rifiutarsi di partecipare agli incontri dei figli con l'ex coniuge e per opporsi all'affidamento condiviso o all'accesso ai figli come genitori “non collaborativi” e quindi “madri inadatte”, meritevoli, come nel caso in esame, di punizione.

Si sottolineava, in questa direzione, come in numerosi Paesi – tra i quali si richiamavano espressamente l'Albania, il Belgio, l'Italia, il Principato di Monaco, la Polonia, la Repubblica di San Marino, la Slovenia e la Turchia – il GREVIO aveva riscontrato l'assenza di un riferimento esplicito alla violenza domestica tra i criteri legali da prendere in considerazione per determinare i diritti di custodia e di visita dei figli minori, evidenziando che i tribunali nazionali non sempre rispettavano la disposizione dell'art. 31 della Convenzione di Istanbul, recante “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”.

Dispone, in particolare, l'art. 31, comma 1, Convenzione di Istanbul, intitolato “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza”: «Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione». Tale disposizione, a sua volta, si integra con il secondo comma della stessa previsione, secondo cui: «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini».

Tale vaglio giurisdizionale, secondo il GREVIO, postula margini di apprezzamento differenti a seconda della natura degli interessi familiari pregiudicati e delle esigenze di tutela dell'integrità, fisica e morale, dei figli minorenni, rispetto ai quali devono ritenersi recessive le istanze di riunione familiare e i diritti di visita dei genitori non conviventi, in linea con i principi affermati dall'art. 31 della Convenzione di Istanbul del 2011.

Il GREVIO, pertanto, affermava la necessità di dedicare particolare attenzione alle esigenze prioritarie di tutela, fisica e morale, dei minori, valutate in concreto, attesa la loro condizione di elevata vulnerabilità, evidenziando che le disposizioni dell'ordinamento giuridico italiano finalizzate alla loro protezione da atti di violenza rientrano nell'ambito applicativo degli artt. 3 e 8 CEDU, di cui le autorità giudiziarie minorili, al contrario di quanto riscontrato nel caso in esame, devono garantire l'osservanza.

Le norme del diritto interno, quindi, devono prevedere misure idonee a prevenire i maltrattamenti familiari, rispetto ai quali le autorità giudiziarie minorili devono assicurare un'adeguata protezione dei figli minori dal verificarsi di gravi forme di lesioni personali e la tutela dei loro interessi, prioritari e non derogabili.

Si tratta, allora, di individuare gli strumenti idonei a consentire l'esplicazione di rapporti familiari connotati da problematicità tra genitori e figli non conviventi in condizioni di sicurezza, fisica e morale.

Conclusioni

La questione decisa dalla Corte EDU assume un rilievo particolarmente significativo per il nostro ordinamento giuridico, affrontando il tema, estremamente controverso, dell'individuazione di un adeguato contemperamento tra i diritti educativi dei minori e i diritti familiari dei genitori separati, tra i quali occorre comprendere il diritto di visita del genitore non convivente.

Nell'affermare la necessità di un adeguato contemperamento tra tali pretese familiari, non sempre convergenti, la Corte EDU ribadiva la priorità delle esigenze di tutela dell'integrità, fisica e morale, dei minori, che impongono di ritenere recessivi, nelle ipotesi in cui si riscontrino pericoli per le parti deboli del rapporto, individuate nei figli minorenni, i correlati diritti genitoriali (Corte EDU, Landi c. Italia, n. 10929/19, 7 aprile 2022).

La Corte EDU, al contempo, non si limitava all'astratto richiamo di questi principi, ma, in linea con le norme della Convenzione di Istanbul, riteneva di individuare specifici e ineludibili obblighi delle autorità giudiziarie minorili, che hanno il dovere di predisporre misure giurisdizionali idonee a prevenire i maltrattamenti familiari e di coinvolgere le strutture sociali territoriali in quest'opera di protezione. Nella stessa direzione, si muovono le indicazioni fornite dalla Corte EDU in ordine alle modalità con cui devono svolgersi gli incontri tra genitori separati e figli non conviventi connotati da problematicità, specificando che, in questi casi, le autorità giudiziarie minorili, d'intesa con le strutture sociali territoriali, hanno il dovere di individuare strumenti idonei a consentire l'esplicazione dei rapporti tra genitori e figli minori in condizioni di sicurezza, fisica e morale (Corte EDU, R.V. e altri c. Italia, n. 37748/13, 18 luglio 2019).

Le indicazioni fornite dalla Corte EDU nel caso in esame, pertanto, impongono alle autorità giudiziarie minorili, operando d'intesa con i servizi sociali territoriali, di svolgere un ruolo propulsivo, non meramente recettivo delle indicazioni ricevute dagli organismi istituzionali di riferimento, ma funzionale a garantire che il contemperamento tra diritti familiari dei genitori e diritti educativi dei minori abbia luogo nel rispetto delle esigenze inderogabili di protezione delle parti deboli di questo rapporto.

Queste conclusioni assumono un rilievo pregnante nel nostro ordinamento giuridico, anche alla luce delle recenti riforme introdotte dalla legge 25 novembre 2021, n. 206, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata».

Tale normativa, infatti, rappresenta un passo in avanti significativo nel riconoscimento delle esigenze di tutela dei diritti familiari e nell'attivazione di adeguate misure di protezione dei minori, rilevanti sia sul piano penale sia sul piano civile, come riconosciuto dalla stessa Corte nel paragrafo 70 della decisione in esame.

Esemplare, sotto questo profilo, è la previsione dell'art. 1, comma 23, legge n. 206 del 2021, che impone al governo di introdurre specifiche disposizioni finalizzate ad affrontare i casi di rapporti problematici tra genitori e figli, laddove non conviventi, tenendo sempre conto dell'interesse, prioritario e non derogabile, di proteggere i minori.

Tale disposizione, tra l'altro, al punto ff), attribuisce un ruolo centrale all'intervento dei servizi socio-assistenziali o sanitari, che devono svolgere un'insostituibile funzione di monitoraggio, funzionali ad assicurare una tutela prioritaria delle esigenze dei minori vulnerabili, prevedendo che «fermo restando il principio generale dell'interesse del minore a mantenere relazioni significative con i genitori, sia assicurato che nelle ipotesi di violenze di genere e domestiche tale intervento sia disposto solo in quanto specificamente diretto alla protezione della vittima e del minore e sia adeguatamente motivato, nonché disciplinando presupposti e limiti dell'affidamento dei minorenni al servizio sociale […]».

Guida all'approfondimento

Corte EDU, Landi c. Italia, n. 10929/19, 7 aprile 2022; Corte EDU, R.M. c. Lettonia, n. 53487/13, 9 dicembre 2021; Corte EDU, Strand Lobben e altri c. Norvegia, n. 37283/13, 10 settembre 2019; Corte EDU, R.V. e altri c. Italia, n. 37748/13, 18 luglio 2019; Corte EDU, Radomilja e altri c. Croazia, n. 37685/10 e 22768/12, 20 marzo 2018; Corte EDU, Wunderlich c. Germania, n. 18925/15, 10 gennaio 2019; Corte EDU, Mohamed Hasan c. Norvegia, n. 27496/15, 26 aprile 2018; Corte EDU, Remetin c. Croazia, n. 7446/12, 24 luglio 2014; Corte EDU, Eremia c. Republic of Moldova, n.3564/11, 28 maggio 2013; Corte EDU, C.A.S. e C.S. v. Romania, n. 26692/05, 20 marzo 2012; Corte EDU, Hajduová c. Slovacchia, n. 2660/03, 30 novembre 2010; Corte EDU, Maršálek c. Repubblica Ceca, n. 8153/04, 4 aprile 2006.

(Alessandro Centonze)