Prime riflessioni sulla riforma Cartabia: i procedimenti speciali. L'applicazione della pena su richiesta delle parti
06 Dicembre 2022
Premessa
a) Le statistiche delle sezioni G.I.P. dei Tribunali indicano che, nei procedimenti non definiti con provvedimenti di archiviazione, patteggiamenti e giudizi abbreviati sono circa il 50%, i rinvii al dibattimento toccano quasi il 40% e i decreti di condanna sono intorno al 10%.
I dati dei processi che approdano, con citazione diretta a giudizio, al Tribunale monocratico sono ancora più negativi: soltanto il 43% circa dei processi è definito con patteggiamento o giudizio abbreviato.
Si è assestata su livelli troppo bassi la percentuale delle definizioni con patteggiamento e giudizio abbreviato. Ne risente il funzionamento dell'intero sistema.
Fin dall'apparire del nuovo codice di procedura era opinione comune, derivata dall'esperienza di altri ordinamenti, che il funzionamento del sistema sarebbe stato collegato alla capacità di evitare che l'esito abituale di ogni procedimento fosse rappresentato dal giudizio ordinario, quindi dal dibattimento.
I dati segnalano, poi, che il giudizio abbreviato ha eroso parte dell'area del patteggiamento.
Si aggiunga che il patteggiamento “allargato” (alla pena detentiva fino a cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria) è nato asfittico e tale è rimasto. Il legislatore, introducendolo, ha peccato di un eccesso di ottimismo.
Dal 2000 in poi si è cercato di trovare l'idea giusta per ridare vitalità al progetto originario.
Il giudizio abbreviato ha cambiato volto: via il consenso del pubblico ministero, è diventato un diritto potestativo dell'imputato (in caso di richiesta non condizionata), la cui effettività deve però essere garantita dal dovere (del pubblico ministero) di completezza delle indagini.
Si è scelta la strada di “strozzare” i tempi di accesso al rito, ma anche quella di aprire al recupero dello sconto di pena in caso di errori del giudice nei provvedimenti non ammissivi.
Si è pensato che in tal modo si sarebbe posto rimedio alle non buone prassi dei giudici che utilizzavano in modo disinvolto la clausola sulla decidibilità allo stato degli atti al fine di negare all'imputato l'accesso al rito.
In alcuni giudici vi era difficoltà ad accettare il meccanismo premiale, con la conseguenza che spesso si era registrato, nella determinazione della pena sulla quale poi applicare la diminuzione prevista per il rito, un atteggiamento di inusitato rigore, finalizzato a “compensare” l'effetto della menzionata diminuente.
E si era così giunti a teorizzare che fosse molto più “conveniente” prestare il consenso all'acquisizione degli atti ai sensi dell'art. 493 c.p.p. davanti al giudice monocratico che avrebbe mostrato la propria gratitudine (per non avere dovuto affaticarsi in un'istruttoria dibattimentale) proprio al momento di determinare la pena (in somma, un cripto-abbreviato con circostanze attenuanti generiche garantite).
Esistevano anche controspinte che non rendevano il rito del tutto gradito neppure agli imputati, come i poteri di integrazione probatoria del giudice a rito ammesso (art. 441 comma 5 c.p.p.) o l'effetto sanante delle nullità non assolute o delle inutilizzabilità non patologiche.
Oggi del giudizio abbreviato è sopravvissuto solo l'aspetto premiale. La sua funzione deflativa si è, invece, avvicinata alla quota zero. E l'imputato, anche se vede qualche indicazione negativa nel rito, alla fine vi accede per lo sconto di pena.
Il rito di “abbreviato” ha poco: dura nel tempo perché può comportare attività istruttoria, perché ospita l'azione civile del danneggiato dal reato, perché la sentenza di primo grado è appellabile, perché quella d'appello è ricorribile e, quindi, può entrare nel gioco perverso della prescrizione che matura, soprattutto nelle Corti di merito con pendenze elevate, che faticano o non riescono a fissare i processi in tempi tali da evitarne la morte per decorso del tempo.
Resta la considerazione che il giudizio abbreviato toglie spazio all'unico rito che ha in sé vere potenzialità deflative, il patteggiamento.
A questo si aggiunga che la riforma Orlando (legge n. 103/2017) non ha introdotto particolari novità né in materia di patteggiamento né in materia di giudizio abbreviato, in sostanza limitandosi a tradurre in disposizioni di legge linee interpretative giurisprudenziali consolidate o da consolidare appunto con l'intervento normativo.
A parte il profilo relativo alla disciplina della questione di competenza nel giudizio abbreviato, l'unica vera novità della riforma Orlando è stata l'introduzione di uno sconto di pena della metà in caso di condanna per contravvenzione (art. 442, comma 2 c.p.p.). Ampliamento che ha determinato la scomparsa, con riferimento alle contravvenzioni, di ogni incentivazione ad avvalersi del patteggiamento (che prevede una diminuzione “fino al terzo”).
Il legislatore avrebbe semmai dovuto andare nella direzione opposta, quella di un'espansione delle potenzialità del patteggiamento, soprattutto se si considera che la sentenza di patteggiamento è destinata a diventare esecutiva in tempi brevi (e, comunque, più brevi di quelli prevedibili per la sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato) e quindi ad evitare il rischio di prescrizione del reato, che per le contravvenzioni è particolarmente alto (tempo massimo 5 anni compreso il prolungamento per gli atti interruttivi e senza possibilità di ulteriori aumenti legati alla recidiva che per le contravvenzioni non è prevista).
Se a questo si aggiungono gli incentivi che il legislatore ha offerto nel procedimento per decreto, nella maggior parte dei casi destinato alle contravvenzioni, ci si rende conto che forse, a questo punto, per le contravvenzioni non è proprio più il caso di scomodare la giustizia penale e il numero di giudici chiamato ad occuparsene.
Per incoraggiare l'utilizzo del procedimento per decreto il legislatore ha, invero, consentito al giudice, nel determinare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva, di tener conto anche della condizione economica dell'imputato e ha abbassato da 250 a 75 euro il valore di conversione di un giorno di reclusione. Modifica voluta per rivitalizzare il procedimento per decreto che è il rito speciale in assoluto più “conveniente”, anche se – come si è detto – la previsione di una consistente diminuzione della pena per le contravvenzioni giudicate con rito abbreviato ha attutito le potenzialità della disposizione in esame.
Venendo alle novità normative, i temi da prendere in considerazione sono quelli concernenti le pene accessorie, la confisca e gli effetti extra penali della sentenza di patteggiamento.Cenni dovranno essere fatti anche alle modifiche normative dovute ad esigenze di coordinamento o uniformità. Pene accessorie
a) Il patteggiamento ordinario (pena detentiva non superiore a due anni: art. 445, comma 1, c.p.p.) non comporta l'applicazione delle pene accessorie previste dal codice penale (artt. 20, 423-ter, 448, 452-quaterdecies, comma 2, 603-ter c.p.) o da leggi speciali (ad es. le pene accessorie previste per la bancarotta e altri reati fallimentari, per i reati tributari, per il reato societario di corruzione tra privati, per l'insider trading e la manipolazione del mercato), a meno che non sia diversamente stabilito (come nel caso delle pene accessorie previste dagli artt. 317-bis, per via della previsione contenuta nell'art. 445, comma 1-ter, c.p.p., 544-sexies, 600-septies.2 e 609-nonies c.p.).
Il patteggiamento allargato (pena detentiva non superiore a cinque anni: art. 444, comma 1 c.p.p.) comporta, invece, l'applicazione delle pene accessorie (lo si desume dall'art. 445, comma 1 c.p.p.).
È il giudice ad applicarle e a determinarne la durata secondo legge.
b) La legge 27 settembre 2021, n. 134 ha delegato il Governo a prevedere che nel patteggiamento, qualora sia prevista l'applicazione di pene accessorie, l'accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle stesse e alla loro durata.
c) Il legislatore delegato (art. 25 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) ha inserito nel comma 1 dell'art. 444 c.p.p. la previsione che l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie (non è fatta distinzione tra pene accessorie facoltative e pene accessorie obbligatorie) o di applicarle per una durata determinata, «salvo quanto previsto dal comma 3-bis».
Con questa clausola finale, si tiene separata la nuova previsione da quella secondo la quale la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento nei procedimenti per i delitti di peculato (ipotesi di cui all'art. 314, comma 1, c.p., escluso cioè il peculato d'uso, e all'art. 322-bis c.p.), di concussione (artt. 317 e 322-bis c.p.), di corruzione (artt. 318, 319, 319-ter, 320, 321 e 322-bis c.p.), di induzione indebita a dare o promettere utilità (art 319-quater, primo comma, c.p., riguardante il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio e art. 322-bis c.p.), di istigazione alla corruzione (artt. 322 e 322-bis c.p.) e di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), può subordinarne l'efficacia:
In questi casi il giudice, qualora ritenga che le pene accessorie debbano essere applicate o che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, deve rigettare la richiesta, come si verifica nel caso in cui la richiesta sia subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena (art. 444, comma 3, c.p.p.).
Va ricordato, inoltre (comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p.) che, nei procedimenti per i delitti «previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis» c.p., l'ammissibilità della richiesta di patteggiamento è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.
d) Quanto ai poteri del giudice, il comma 2 dell'art. 444 c.p.p. attribuisce al medesimo il controllo sulla congruità “delle pene” (indicate al plurale per far posto anche alle pene accessorie); meglio sarebbe stato (lo si è fatto – come si vedrà – per la confisca) prevedere il controllo sulle “determinazioni in merito” alle pene accessorie, potendo l'accordo delle parti prevedere anche la non applicazione delle stesse.
Il giudice ha, dunque, il potere di non accogliere la richiesta che le parti hanno concordato qualora ritenga che le pene accessorie debbano trovare applicazione o avere una durata superiore a quella determinata nell'accordo.
e) La nuova disposizione non fa cenno alle sanzioni amministrative accessorie che, come in passato, non sono soggette ad esenzione, né oggetto di accordi, conseguono di diritto al reato e devono essere sempre applicate dal giudice anche nel patteggiamento ordinario.
Tra le ipotesi più ricorrenti vanno annoverate: 1) la revoca delle autorizzazioni di polizia in materia di armi (art. 23, comma 5, l. 18 aprile 1975, n. 110; 2) la revoca della patente di guida (artt. 186, commi 2, lett. c), 2-bis e 7, 186-bis, commi 5 e 6, 187, commi 1 e 8, 218, comma 6, 222, commi 1, 2 e 3, d.P.R. 30 aprile 1992, n. 285); 3) la sospensione della patentedi guida (artt. 116, comma 17, 186, commi 2, lett. a), b) e c) e 7, 186-bis, comma 6, 187, commi 1 e 8, 189, commi 5, 6 e 7, 222, commi 1 e 2, d.P.R. 30 aprile 1992, n. 285; 4) l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposto dall'art. 1-sexies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312; 5) l'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive, previsto dall'art. 31, comma 9, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Confisca facoltativa
a) Oggi, anche nel patteggiamento ordinario (art. 445, comma 1 c.p.p.) si applica la confisca “nei casi previsti” dall'art. 240 c.p. (che al primo comma prevede come facoltativa la «confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto») e nei casi previsti dal codice penale (ad es. artt. 240-bis, 322-ter, 452-undecies, 452-quaterdecies, 474-bis, 493-ter, 493-quater, 518-duodevicies, 544-sexies, 600-septies, 640-quater, 644, 648-quater c.p.) o da leggi speciali [ad es. art. 171-sexies l. 22 aprile 1941, n. 633 (diritto d'autore); art. 301 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (contrabbando); artt. 186, 186-bis e 187, d.P.R. 30 aprile 1992, n. 285 (reati stradali), ecc.]. in cui il legislatore ha esteso espressamente la disciplina derogatoria di cui all'art. 445 c.p.p., ha, in altre parole, previsto ipotesi di confisca obbligatoria disposte con sentenza di patteggiamento.
b) Il Parlamento ha invitato il legislatore delegato a prevedere che, in entrambe le ipotesi di patteggiamento (ordinario ed allargato), l'accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alla confisca facoltativa, anche per equivalente, e alla determinazione del suo oggetto e ammontare.
La prassi già conosce questo tipo di accordo (cfr. Cass. pen., sez. un., 26 settembre 2019, Savin).
La confisca obbligatoria è fuori dalla cornice della delega; neppure il suo oggetto e il suo ammontare possono essere concordati.
c) Il legislatore delegato (art. 25, comma 1, lett. a), n. 1, d.lgs. n. 150/2022) ha inserito nel comma 1 dell'art. 444 c.p.p. la previsione che l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato.
Il comma 2, come modificato (art. 25, comma 1, lett. a), n. 2 d.lgs. n. 150/2022, inserisce, tra i compiti del giudice, la valutazione della correttezza delle determinazioni in merito alla confisca.
Il giudice ha, dunque, il potere di non accogliere la richiesta concordata che le parti gli rivolgono. Effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento
a) L'art. 445, comma 1-bis c.p.p.,stabilisce che, salvo quanto previsto dall'art. 653 c.p.p., la sentenza di patteggiamento, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi e che «salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna».
A sua volta, l'art. 653, al comma 1-bis, c.p.p. prevede che la sentenza penale irrevocabile di condanna (cui è equiparata la sentenza di patteggiamento) ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
b) Il Parlamento ha conferito ampia delega al Governo per ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento, prevedendo “che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi”.
c) Il legislatore delegato (art. 25, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022) ha sostituito il comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p., prevedendo che la sentenza di patteggiamento, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia ed è inutilizzabile a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile.
Inoltre, se con la sentenza di patteggiamento non sono applicate pene accessorie (ciò che già è nel patteggiamento ordinario e che, nel patteggiamento allargato, avverrà in base all'eventuale accordo di cui si è detto sopra), le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna (v., ad es., art. 15, comma 1-bis, l. 19 marzo 1990, n. 55, Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale; art. 15 d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190) non producono effetti. Continueranno, invece, ad applicarsi quando – come si legge nella Relazione illustrativa - «alla sentenza di patteggiamento verranno ricollegate pene accessorie».
Il comma si chiude con un terzo periodo: «Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna».
Non lo è più, naturalmente, nel caso di cui all'art. 653 sopra indicato.
Ultima notazione: per una svista alla quale occorrerà porre rimedio, nel comma 2 dell'art. 445 le parole «sanzione sostitutiva» non sono state sostituite.
Il legislatore delegato ha modificato anche gli artt. 446, 447 e 448 c.p.p. (art. 25, comma 1, lett. c), d) ed e), d.lgs. n. 150/2022).
a) L'art. 446, comma 1, c.p.p.stabilisce che le parti possono formulare la richiesta di patteggiamento nell'udienza preliminare fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli artt. 421, comma 3 e 422, comma 3, c.p.p. nel giudizio direttissimo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e nel giudizio immediato, se è stato notificato il relativo decreto entro il termine e con le forme stabilite dall'art. 458, comma 1 c.p.p. (altre disposizioni disciplinano – come è noto - la presentazione della richiesta nel procedimento per decreto – art. 461, comma 3 c.p.p. - e nel procedimento ordinario mediante decreto di citazione diretta a giudizio – art. 556 c.p.p.).
Il d.lgs. n. 150/2022 (art. 25, comma 1, lett. c), n. 1), modificando il secondo periodo del comma 1 dell'art. 446 c.p.p., ha previsto, con riguardo al giudizio immediato, che la richiesta (dell'imputato o di un suo procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata dal difensore, da un notaio o da altra persona autorizzata, come previsto dal modificato comma 3) sia formulata, oltre che entro il termine (15 giorni dalla notifica) e con le forme (deposito in cancelleria) stabilite dall'art. 458, comma 1, c.p.p. anche «all'udienza prevista dal comma 2-bis dello stesso articolo» (v. infra) per il caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria (art. 438, comma 5 c.p.p.).
b) L'art. 447 c.p.p.disciplina la richiesta di patteggiamento nel corso delle indagini preliminari. Se presentata, il giudice per le indagini preliminari fissa, con decreto «in calce alla richiesta» l'udienza per la decisione, assegnando, se necessario, un termine al richiedente per la notificazione all'altra parte
Il d.lgs. n. 150/2022 (art. 25, comma 1, lett. d) ha modificato il comma 1 dell'art. 447 c.p.p. solo per prevedere che il decreto del giudice di fissazione dell'udienza non deve essere “in calce alla richiesta” (deve consistere, quindi, in un atto anche formalmente autonomo) e deve contenere l'informazione all'indagato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (v. nuovo art. 129-bis e art. 53 del d.lgs.).
c) L'art. 448, comma 1, c.p.p. prevede che nell'udienza prevista dall'art. 447 c.p.p., nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento, pronuncia immediatamente sentenza. Qualora il pubblico ministero non abbia dato il consenso o qualora il giudice per le indagini preliminari (nell'udienza prevista dall'art. 447, nell'udienza preliminare e nel giudizio immediato) non abbia accolto la richiesta, l'imputato, rinviato a giudizio, può, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, rinnovarla (la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice) e il giudice, se la ritiene fondata, deve pronunciare immediatamente sentenza.
Nello stesso modo il giudice provvede dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione quando ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero o il rigetto della richiesta.
Il d.lgs. n. 150/2022 (art. 25, comma 1, lett. e), n. 1) ha aggiunto all'art. 448 c.p.p. un nuovo comma 1-bis che introduce una deroga alla regola della pronuncia “immediata” della sentenza di patteggiamento.
In particolare, il giudice, negli stessi casi di cui al comma 1, se è patteggiata l'applicazione di una pena sostitutiva di cui all'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità, pena pecuniaria) e non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) competente. Il comma si chiude stabilendo che si applicano, in quanto compatibili, i commi 2 e 3 dell'art. 545-bisc.p.p.
L'art. 545-bis c.p.p. disciplina gli atti relativi alla deliberazione di condanna a pena sostitutiva.
Il comma 2 prevede che, il giudice, al fine di decidere sulla sostituzione della pena, sulla scelta della pena sostitutiva e sulla determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, può:
A loro volta le parti possono depositare documentazione all'UEPE e, fino a cinque giorni prima dell'udienza, presentare memorie in cancelleria.
Ai sensi del comma 3, poi, il giudice, acquisiti gli atti, i documenti e le informazioni, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, decide sulla richiesta.
Un ritocco è stato, infine, apportato al comma 3 dell'art. 448 c.p.p. (art. 25, comma 1, lett. e), n. 2 del d.lgs. n. 150/2022).
Il legislatore delegato ha dovuto precisare che il giudice, quando la sentenza è pronunciata nel giudizio di impugnazione, decide sull'azione civile a norma del “comma 1” dell'art. 578 c.p.p. L'indicazione del comma (che in precedenza non c'era) è dovuta all'introduzione, ad opera della riforma, di un comma 1-bis nell'art. 578 c.p.p. Considerazioni conclusive
Il legislatore ha, dunque, affidato la speranza di rivitalizzare il patteggiamento ad una nuova disciplina delle pene accessorie (nel patteggiamento allargato) e della confisca, nonché, soprattutto, alla riduzione degli effetti extra-penali.
Come si è detto, tra i riti alternativi il patteggiamento è quello che ha le maggiori potenzialità deflative, nettamente superiori a quelle del giudizio abbreviato, non fosse altro perché la sentenza, che non richiede particolare impegno motivazionale, è soltanto ricorribile per cassazione nei casi specificamente previsti dall'art. 448, comma 2-bis.
È vero che i ricorsi inammissibili contro la sentenza di patteggiamento non accennano a diminuire, generando sprechi di risorse e di tempo. E ciò benché il ricorrente sia sistematicamente condannato al pagamento di una sanzione di 4.000 euro alla Cassa delle ammende.
Ma il dato sconcertante che emerge dalle statistiche – giova ribadirlo - è che le percentuali di accesso ai due riti (inferiori - come si è detto - in termini ormai consolidati alle aspettative) si equivalgono. Sconcertante per quanto sopra si diceva sulla sempre maggiore complessità del giudizio abbreviato.
Se l'obiettivo del delegante era quello di incentivare l'accesso al patteggiamento, si poteva e si doveva fare qualcosa di più.
Si potevano, ad es., eliminare le esclusioni oggettive (i procedimenti, per citarne solo alcuni, per i delitti di associazione di tipo mafioso, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, di sequestro di persona a scopo di estorsione, di violenza sessuale) e soggettive (i procedimenti contro il recidivo reiterato o contro il delinquente abituale, professionale o per tendenza) dal patteggiamento allargato previste dall'art. 444, comma 1-bis, c.p.p. considerato, tra l'altro, che il legislatore delegato ha soppresso la disposizione (art. 599-bis, comma 2 c.p.p.) che prevede le medesime esclusioni in relazione al concordato in appello.
Altre idee potevano essere sperimentate: l'ampliamento della diminuente; la negoziazione del quantum della confisca obbligatoria e della confisca-sanzione, ecc.
Vanno cercate altre strade ed è sempre la strada di accesso al patteggiamento a dover essere ampliata per prima.
Invece, permangono soluzioni che vanno nella direzione opposta.
Ad es. la scelta giurisprudenziale di non consentire alle parti, anche all'interno del giudizio abbreviato, di addivenire in limine ad un'applicazione concordata della pena.
Dettata da un'asserita inconciliabilità tra i due riti, si tratta in realtà di un'opzione formalistica che trascura di considerare la reale e superiore “economicità” processuale del patteggiamento.
L'affermazione del principio risale, tra l'altro, ad una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. un., 11 novembre 1994, p.m. in proc. Abaz) assunta in epoca precedente alla riforma della l. n. 479/1999.
I rapporti tra i due procedimenti dovrebbero essere ripensati dal legislatore, oggi che, da un lato, il giudizio abbreviato, nella versione incondizionata, è frutto della volontà dell'imputato e ha perso alcune originarie connotazioni della sua specialità che lo accomunavano al patteggiamento (accordo con il pubblico ministero e prova bloccata), dall'altro, il patteggiamento è stato elevato dai due ai cinque anni di pena detentiva, ma privato, nell'ambito dell'intervenuto allargamento, degli incentivi che originariamente rappresentavano ulteriori elementi di differenziazione dal giudizio abbreviato (condanna al pagamento delle spese del procedimento, l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, estinzione del reato dopo un periodo di prova).
Anche volendo conservare la alternatività tra i riti, concetto comunque messo in crisi dalle rimarcate parvenze di ordinarietà assunte dal giudizio abbreviato, si potrebbe pensare di rivederne l'ambito e di depurarla da affermazioni di principio, sulle differenze ontologiche, strutturali e via dicendo, che non rappresentano effettivi ostacoli ma che si rivelano, in una prospettiva di funzionalità del sistema, controproducenti.
Si potrebbe, ad esempio, imporne l'osservanza all'imputato in sede di prima richiesta, ma consentire al pubblico ministero, trascinato nel giudizio abbreviato dalla scelta dell'imputato e privato di ogni iniziativa probatoria, di proporre, in una logica transattiva, un accordo sulla pena.
Nell'interesse dell'imputato, invece, non sarebbe eccentrico, ma risponderebbe anzi ad esigenze di deflazione del dibattimento, attribuire al giudice dell'abbreviato (che dovrebbe naturalmente essere sempre persona fisica diversa) il potere, su richiesta dell'imputato stesso, di sindacare legittimità e fondatezza del dissenso del pubblico ministero o del rigetto del giudice.
Rebus sic stantibus, infatti, l'imputato si vede “costretto” a rinunciare al diritto di chiedere il giudizio abbreviato qualora intenda “difendersi” da dissenso o diniego ingiustificati della sua richiesta di patteggiamento.
E questa “perdita” non appare sorretta da alcun ragionevole motivo. |