Il divieto di adozione per la moglie del padre biologico viola i diritti dei minori nati all’estero da madre surrogata

Annamaria Fasano
Giuseppina Pizzolante
09 Dicembre 2022

Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo il rifiuto dei giudici danesi di consentire, alla moglie del padre biologico, l'adozione di minori nati all'estero tramite maternità surrogata, in mancanza di altre possibilità di riconoscimento di un rapporto legale, realizza una violazione del diritto dei minori al rispetto della loro vita privata ex art. 8 CEDU.

Il caso. Nel dicembre 2013, in Ucraina, sono nati due gemelli (secondo e terzo ricorrente), a seguito di un accordo di maternità surrogata con la prima ricorrente e suo marito, padre biologico dei minori. Le autorità ucraine hanno rilasciato i relativi certificati di nascita citando la prima ricorrente come madre e suo marito come padre. Nel febbraio 2014, i minori sono stati trasferiti in Danimarca dove tali certificati non hanno ricevuto alcun riconoscimento giuridico poiché, ai sensi della normativa danese, il Children Act, è genitore legale la donna che partorisce un bambino. I minori hanno comunque ottenuto repentinamente la cittadinanza danese per il tramite del padre biologico e, nel marzo 2018, è stato accordato l'affidamento congiunto alla prima ricorrente e al marito. Le autorità competenti hanno viceversa negato alla prima ricorrente l'adozione, in particolare l'adozione del figlio del coniuge, per via del compenso offerto alla madre surrogata. La legge danese infatti dispone un divieto assoluto di adozione se l'individuo che deve concedere il consenso abbia ricevuto una remunerazione. La Suprema Corte danese, nel confermare la statuizione, ha considerato che l'eventuale violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto della vita familiare fosse stata bilanciata dalla tutela degli interessi pubblici in gioco.

I precedenti. La Corte, richiamando i principi generali enunciati in Mennesson c. Francia; Paradiso e Campanelli c. Italia; C.E. e altri c. Francia; nonché nell'Advisory Opinion concerning the Recognition in Domestic Law of a Legal Parent-Child Relationship between a Child Born through a Gestational Surrogacy Arrangement Abroad and the Intended Mother (Grande Camera, P16-2018-001), ha ribadito l'importanza del superiore interesse del minore e il conseguente ridotto margine di discrezionalità dello Stato nei casi di questo tipo.

La violazione del diritto dei minori alla vita privata. Sebbene la Corte europea non abbia riscontrato, per il tramite dell'affidamento congiunto, alcuna violazione del rispetto della vita familiare e del rispetto della vita privata della prima ricorrente poiché la tutela della vita privata era stata superata da quella degli interessi pubblici in gioco, il rifiuto di consentire l'adozione alla moglie del padre biologico di minori nati all'estero tramite maternità surrogata, in mancanza di altre possibilità di riconoscimento di un rapporto legale, realizza una violazione del diritto del secondo e del terzo ricorrente al rispetto della vita privata ex articolo 8 CEDU.

La Corte in particolare si è posta la questione di quali altri mezzi possano soddisfare il requisito del riconoscimento del rapporto poiché i precedenti richiamati, nonostante l'approccio olistico adoperato dalla Corte europea, non hanno riguardato un rifiuto di adozione deciso dalle autorità; nel caso di specie, le autorità hanno rifiutato di consentire al primo ricorrente di adottare il secondo e il terzo ricorrente.

Le conclusioni della Corte. Sebbene alla prima ricorrente sia stato concesso l'affidamento condiviso con il padre biologico, oltre all'adozione, il diritto interno danese non prevede altre possibilità di riconoscimento di un rapporto legale con la futura madre. Secondo la Corte europea, tale mancanza ha determinato un impatto negativo sul diritto dei minori al rispetto della loro vita privata, ponendoli in una condizione di incertezza giuridica riguardo alla loro identità all'interno della società. Ad esempio, rispetto alle questioni successorie con la prima ricorrente, i minori non sono eredi in forza di un rapporto legale. Va aggiunto, secondo la Corte, che, dall'arrivo in Danimarca, i minori hanno vissuto con la prima ricorrente per sette anni prima che la Corte Suprema danese confermasse le statuizioni controverse ed era evidentemente nel loro superiore interesse realizzare con essa lo stesso rapporto giuridico che avevano con il padre.

La Corte europea non è dunque convinta che le autorità dello Stato danese abbiano realizzato un giusto equilibrio tra l'interesse specifico dei minori ad ottenere il riconoscimento del rapporto e i diritti altri ovvero di coloro che, in generale e in astratto, hanno rischiato di essere lesi dai profili commerciali sottesi alla maternità surrogata.