Ripartizione del mantenimento del nipote a carico dei nonni
12 Dicembre 2022
Massima
È meritevole di essere approfondita, con rinvio a discussione in udienza pubblica, la questione circa la possibilità della parte coinvolta nella vicenda familiare relativa all'assegno per il mantenimento del figlio minore (quale è l'ascendete tenuto a contribuire per il mantenimento del minore) di proporre domanda di revisione della decisione che gli ha imposto il versamento del contributo deducendo circostanze relative alla ripartizione del carico anche nei confronti dell'ascendente di parte materna che non ha partecipato al procedimento sfociato nel provvedimento di cui si chiede la modifica. Il caso
La vicenda trae origine dal provvedimento con cui la Corte di Appello di Roma ha respinto il reclamo, proposto dai nonni paterni, avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Velletri aveva rigettato il ricorso in opposizione al decreto che, ai sensi dell'art. 316-bis, dispose a carico di detti ascendenti il pagamento – in favore del coniuge del proprio figlio, stante l'inadempimento di quest'ultimo – di una somma a titolo di contributo per il mantenimento del nipote. In particolare, da un lato è stato ritenuto che l'ordine giudiziario nei confronti dei nonni paterni rinveniva il proprio fondamento tanto nel fatto che il padre del minore si era reso, da tempo, inadempiente al pagamento dell'assegno per il contributo al mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale, quanto nella circostanza che i redditi percepiti dalla madre non potevano ritenersi sufficienti al mantenimento dello stesso; e, dall'altro lato, si è rilevato che le condizioni economiche della beneficiaria (la madre del minore) erano rimaste pressoché immutate e che, viceversa, la situazione economica della reclamante (la nonna paterna) non risultava peggiorata rispetto al momento di emissione del decreto. Si è, però, anche evidenziato come il reclamo, essendo stato proposto oltre il termine di venti giorni dalla notifica del decreto, doveva essere qualificato come istanza di modifica e revoca delle condizioni economiche del provvedimento, con la conseguenza che non poteva estendersi il contraddittorio anche alla nonna materna, conformemente a quanto statuito dal primo giudice, in quanto rimasta estranea al relativo procedimento. La questione
La questione giuridica fondamentale – così come individuata nella ordinanza in commento – è, quindi, la seguente: gli ascendenti di un ramo genitoriale, tenuti a contribuire per il mantenimento del minore, possono proporre domanda di revisione della decisione (che gli ha imposto il versamento del contributo), deducendo a tal fine circostanze relative alla ripartizione del carico anche nei confronti degli ascendenti dell'altro coniuge che non hanno partecipato al procedimento sfociato nel provvedimento di cui si chiede la modifica? Le soluzioni giuridiche
Il problema, così impostato il discorso, attiene a ben vedere non solo alla ripartizione, per l'ipotesi in cui i genitori non abbiano mezzi sufficienti, dell'obbligo di versamento del contributo al mantenimento del nipote da parte di “tutti” gli altri ascendenti (art. 316-bis c.c.); ma soprattutto – in ragione della modificabilità e revocabilità del decreto, sempre soggetto, per sopravvenuti motivi, a revisione su istanza dei diversi soggetti interessati (figli, coniugi, ascendenti debitori) – alla possibilità di estensione dell'obbligo di versamento del contributo, originariamente disposto solo a carico di taluni ascendenti, anche agli altri ascendenti di pari grado. Ebbene la Corte di Cassazione prende inevitabilmente le mosse dalla interpretazione e quindi dal significato da attribuire all'art. 316-bis, a tenore del quale «quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli». A tal fine si rammenta come il mantenimento dei figli minori spetti primariamente e integralmente ai genitori, onde l'inadempimento dell'uno non determina il venir meno, evidentemente nel preminente interesse dei figli, dell'obbligo dell'altro di dover far fronte per intero alle loro esigenze (Cass., sez. VI, 14 luglio 2020, n. 14951); e, a tal fine si sottolinea pure come il genitore in bonis debba provvedere con tutte le proprie sostanze patrimoniali e reddituali, sfruttando altresì tutta la propria capacità di lavoro. Per tale via (in disparte ovviamente la possibilità di convenire in giudizio il genitore inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche globali) si afferma, dunque, la natura sussidiaria (e integrativa: K. Mascia, I nonni non sono obbligati a contribuire al mantenimento del nipote al posto del figlio inadempiente, qualora entrambi i genitori abbiano i mezzi per provvedervi, in Il civilista, 2/2011, p. 13 ss.) della obbligazione gravante sugli ascendenti, l'impossibilità di rivolgersi (per un aiuto economico) a tali soggetti per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli e sempre che l'altro genitore appaia comunque in grado di mantenerli, nonché il principio secondo cui l'eventuale obbligo «investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori» (Cass., sez. VI, 2 maggio 2018, n. 10419; Cass., sez. VI, 14 luglio 2020, n. 14951; Trib. Bari, sez. I, 09 aprile 2019, n. 1556; G. Musumeci, Mamma non riesce a mantenere il figlio; il nonno è obbligato a contribuire, in IUS FAMIGLIE (ius.giuffrefl.it) 2020. È tale carattere della norma, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, che sembrerebbe allora assumere un ruolo decisivo nell'analisi della fattispecie considerata. Invero, con riferimento al primo aspetto, il tema riguarda una concretizzazione dell'obbligo dei nonni solo in via “succedanea”, nel senso che l'applicazione della norma concerne non solo il fatto che uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo, quanto piuttosto che l'altro non abbia mezzi per provvedervi (Cass., sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509); emerge altresì «il carattere della solidarietà» che lega i genitori nell'adempimento del dovere al mantenimento dei figli, sicché «solo nei rapporti interni tra i coniugi, chi dei due ha soddisfatto per intero tale obbligazione potrà pretendere dall'altro un contributo proporzionale alle rispettive condizioni economiche globali» (Cass., sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402). In tale contesto, quindi, la locuzione «quando i genitori non hanno mezzi sufficienti (…)» non potrebbe che essere intesa nel precipuo senso che la possibilità per i genitori di «rivolgersi agli “ascendenti” al fine di poter assolvere alla propria “obbligazione” nei confronti della prole», si manifesta esclusivamente ove «nessuno di essi (…) sia in grado di provvedervi direttamente», e che conseguentemente non potrebbe ritenersi sufficiente la mera deduzione della circostanza per cui l'altro genitore ometta il mantenimento (Cass., sez. I, 10 gennaio 2002 n. 251). I genitori, in particolare, devono trovarsi nell'incapacità di provvedere al mantenimento del minore, ossia di garantire con il proprio patrimonio e i propri redditi non soltanto il soddisfacimento delle sue primarie esigenze, ma anche quanto necessario al pieno sviluppo del medesimo (Così K. Mascia, I nonni non sono obbligati a contribuire al mantenimento del nipote al posto del figlio inadempiente, qualora entrambi i genitori abbiano i mezzi per provvedervi, cit.). Anche nella più recente giurisprudenza di merito si rinvengono le linee fondamentali di un tale percorso ermeneutico: è l'acclarata «oggettiva insussistenza di mezzi in capo ai genitori, che giustifica il sorgere dell'obbligazione da parte degli ascendenti», a quali «ci si può rivolgere per un aiuto economico solo (…) quando entrambi i genitori non siano in grado di provvedere ai figli e non anche se uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli» (C.d.A. Milano, 04 aprile 2022, n. 1138). Ci si aggira, così, intorno al cuore della problematica. Se per un verso, infatti, si stabilisce come non possa assumere alcuna importanza che il genitore inadempiente – laddove però l'altro genitore, in virtù del predetto principio di solidarietà, possa far fronte interamente ed autonomamente alle esigenze del minore – sia proprio il figlio (o, comunque, il discendente) degli ascendenti escussi (così Cass., sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402); per altro verso con estrema chiarezza si precisa come l'obbligazione di cui all'art. 316-bis c.c. «investa, più che mai – anche senza che si configurino gli estremi del litisconsorzio necessario – tutti gli ascendenti di pari grado che risultino in vita, indipendentemente da chi sia il genitore che, volta a volta, crei la insorgenza dello stato di insufficienza dei mezzi economici, e perciò il costituirsi del presupposto di operatività» della norma (Cass., sez. I, 10 gennaio 2002, n. 251). Così, si specifica ulteriormente, gli ascendenti «saranno tenuti ciascuno di essi, in ragione della situazione di necessità cui concretamente ovviare, fino alla concorrenza delle rispettive condizioni economiche e della possibilità del soddisfacimento dei personali bisogni (…)» (Cass., sez. I, 10 gennaio 2002, n. 251). Queste le necessarie premesse che fanno da sfondo alla vera questione che ha portato la Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria in commento, a rinviare la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza. Questione che, partendo dall'ipotesi in cui il procedimento avente ad oggetto il concorso al mantenimento abbia visto partecipi ed obbligati solo taluni ascendenti (nella specie i nonni paterni) richiede di riflettere circa la necessità (e meritevolezza) di eventualmente estendere – nel giudizio concernete la richiesta di modifica di quel provvedimento e nel contraddittorio di tutti i soggetti coinvolti – gli obblighi inerenti i mezzi necessari per l'adempimento dei doveri nei confronti del minore anche agli altri ascendenti di pari grado (nella specie la nonna materna). Osservazioni
In «assenza di precedenti specifici» sul punto e stante il rinvio alla pubblica udienza ai sensi dell'art. 375, comma 2, c.p.c. in questa sede possono solamente svolgersi talune brevi osservazioni. Innanzitutto giova considerare come la tematica affrontata (o, più precisamente da affrontare), dal punto di vista sostanziale, non risente delle diverse modifiche ed interventi normativi succedutisi nel tempo (dall'art. 148 c.c. all'attuale e recentissima formulazione dell'art. 316-bis c.c.), onde la giurisprudenza formatasi, su terreni limitrofi in un recente passato illuminerà verosimilmente, e allo stato, il giurista di domani; mentre dal punto di vista processuale appare senz'altro apprezzabile la trattazione in pubblica udienza, all'evidenza resa opportuna dalla novità e quindi dalla particolare rilevanza della questione di diritto. Rilevanza che, in ogni caso, consentirà di ritenere definitivamente accolto il principio per cui l'art. 316-bis c.c. (e, precedentemente, l'art. 148 c.c.) si riferisce agli «ascendenti dei genitori del figlio da mantenere» (Cass., sez. I, 24 novembre 2015 , n. 23978), e soprattutto a “tutti” gli ascendenti di pari grado; ma questi ascendenti, «non sono affatto i fideiussori delle obbligazioni che con il matrimonio o con la filiazione i loro discendenti assumono», poiché «la solidarietà familiare, nel nostro ordinamento, comporta solo l'obbligo del mantenimento o degli alimenti, ma non mai una responsabilità patrimoniale sussidiaria di carattere generale per i debiti dei propri discendenti» (Cass., sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402). In tal senso, come più sopra ricordato, si sono espressi, nel vigore della precedente normativa, anche i primi commentatori (K. Mascia, I nonni non sono obbligati a contribuire al mantenimento del nipote al posto del figlio inadempiente, qualora entrambi i genitori abbiano i mezzi per provvedervi, cit.), segnalando come quello posto a carico degli ascendenti è un obbligo che non risponde ad una logica di tipo fideiussorio, bensì al ben diverso principio della tutela dei minori (principio cardine di tutto il nostro diritto di famiglia) quando al loro mantenimento non possano provvedervi (in tutto o in parte) i loro genitori. Ne deriva, pertanto, quantomeno con riferimento alle questioni insorte intorno all'art. 316-bis c.c. (G. Sapi, Ascendenti: diritti e doveri, in IUS FAMIGLIE (ius.giuffrefl.it), che l'obbligazione posta a carico degli ascendenti deve essere considerata come «assolutamente eccezionale, e consentita, peraltro, non già a tutela del coniuge del proprio discendente, bensì soltanto a favore dei suoi figli» quando e nella misura in cui «nessuno dei due [genitori] abbia i mezzi necessari» (Cass., sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402; Trib. Reggio Calabria, 11 maggio 2007). Se questa è la ratio della norma che, nell'ottica di tutela del minore («l'interesse che dev'essere soddisfatto è infatti l'interesse del figlio, e la prestazione resa ai genitori costituisce un modo per soddisfare quell'interesse»: C.M. Bianca, Diritto Civile, La famiglia, Milano, 2017, 366), avvolge tutta l'isola del diritto di famiglia, tuttavia, in quell'altra e diversa ipotesi, si dovrebbe verificare se possano sussistere ostacoli – di carattere processuale – tali da non consentire una pedissequa e identica soluzione interpretativa. Infatti, come noto, dal punto di vista processuale le statuizioni concernenti il contributo al mantenimento del figlio minore sono «suscettibili di modifica, quanto ai rapporti economici (…), in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi» (Cass., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18608). Il provvedimento di revisione postula «non soltanto l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la sua idoneità a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo di uno dei predetti assegni, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti»; del resto, «il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti valutate al momento della pronuncia del divorzio, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale» (Cass., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18608). Nel caso de quo, il mancato accertamento della posizione degli ascendenti materni, sembrerebbe essersi posto, in effetti, come la – inevitabile – conseguenza della tardività del reclamo proposto avverso il primo decreto. La Corte di Appello – si legge nella ordinanza interlocutoria – avrebbe, in particolare, «omesso ogni statuizione sulla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della nonna materna» perché detta richiesta è stata proposta oltre il termine previsto dall'art. 316 bis c.c.; la richiesta, inoltre, non sembrerebbe attenere a circostanze sopravvenute le quali sole potrebbero costituire motivo di revisione del provvedimento sul mantenimento. Un (altro) dubbio, nell'attesa della decisione della Corte di Cassazione, si pone però innanzi al giurista: ci si dovrebbe chiedere come l'eventuale soluzione negativa (circa la ripartizione del carico anche nei confronti dell'ascendente di parte materna che non ha partecipato al procedimento sfociato nel provvedimento di cui si chiede la modifica) possa conciliarsi con l'ipotesi in cui non si dovesse discutere del mero concorso sulla contribuzione tra ascendenti di pari grado quanto piuttosto della impossibilità degli obbligati di far fronte alle esigenze del minore; ma ciò è altro rispetto alla vicenda considerata, ove – al di là dell'aspetto processuale (la tardività nella proposizione del reclamo) – la situazione economica dei nonni paterni non era peggiorata e quella della madre del minore era rimasta pressoché immutate. Ecco, allora, che in definitiva l'ordinanza annotata costituisce la presa d'atto dell'esistenza di nuove problematiche, di cui si constata la necessità di un necessario ed ulteriore approfondimento: così, l'antico silenzio sotto cui viveva il fenomeno in discussione (il sapere giuridico, come è stato pure detto, non è un sapere veritativo bensì controversiale) pone le basi affinché si possa giungere ad una più appagante soluzione e definizione del quesito posto. |