Condotte persecutorie e stress lavoro-correlato: la nuova concezione sistemica della Cassazione

14 Dicembre 2022

Due casi recentemente decisi dalla Corte di cassazione riportano al centro della discussione il tema dei rapporti tra le condotte persecutorie (principalmente mobbing e straining) e lo stress lavorativo.

Il primo caso: Cass., sez. lav., 11 novembre 2022, n. 33428

Due casi recentemente decisi dalla Corte di Cassazione riportano al centro della discussione il tema dei rapporti tra le condotte persecutorie (principalmente mobbing e straining) e lo stress lavorativo.

In particolare, nella prima pronuncia in commento (Cass., sez. lav., 11 novembre 2022, n. 33428), viene in rilievo la vicenda di un informatore scientifico del farmaco, che lamentava di essere stato vittima di un demansionamento e di gravi condotte mobbizzanti per circa due anni, il quale impugnava la pronuncia della Corte d'Appello di Genova che, nel riformare integralmente la sentenza di primo grado, aveva disconosciuto il mobbing osservando come “la situazione lavorativa, caratterizzata da normali dinamiche conflittuali, fosse stata vissuta dal ricorrente con la soggettiva percezione di essere vessato e denigrato dal proprio superiore”.

I giudici di legittimità, nel cassare la pronuncia impugnata, hanno rinviato nuovamente al giudice di merito considerando che la valutazione operata dalla Corte d'Appello di Genova in ordine alla “percezione soggettiva” del dipendente, non ha tenuto conto della rilevanza del fattore organizzativo – e delle possibili connesse situazioni di costrittività organizzativa- all'interno del perimetro rappresentato dal generale dovere di tutela della salute, anche psichica, in capo al datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c.

Si tratta di un obbligo di tutela della salute psico-fisica da tutti i possibili rischi propri dell'ambiente lavorativo, che ha avuto un'importante specificazione legislativa con l'art. 28, comma 1, del d.lgs. 81/2008, in cui per la prima volta vengono ricompresi nella tutela antinfortunistica anche i rischi derivanti dallo stress lavoro-correlato, così come definito nell'Accordo Quadro Europeo dell'8 ottobre 2004, recepito in Italia con l'accordo interconfederale del 9 giugno 2008. Ciò, si badi bene, a differenza del mobbing e dello straining, che “hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici”, trattati dalla Cassazione alla stregua di meri ausili interpretativi, utili ad identificare alcuni comportamenti in contrasto con il più generale precetto dell'art. 2087 c.c. (cfr., ex multis, Cass., 19 febbraio 2016, n. 3291).

La conseguenza pratica, nel caso di specie, è la cassazione con rinvio per il riesame nel merito della domanda risarcitoria del lavoratore, considerando il principio di diritto per cui anche la tutela contro le tecnopatie da costrittività organizzativa rientra nel generale dovere di protezione della salute psico-fisica ex art. 2087 c.c. Ne deriva, conseguentemente, che lo straining può configurarsi non solo quando vi siano comportamenti stressogeni intenzionalmente attuati contro il dipendente, ma anche quando il datore di lavoro consenta, colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno per la salute dei lavoratori (cfr., ex multis, Cass., sez. VI, 5 agosto 2022, n. 24339; Cass., sez. lav., 23 maggio 2022, n. 16580; Cass., sez. lav., 29 marzo 2018, n. 7844; da ultimo, D. Tambasco, Stress lavoro-correlato e straining: la fusione in atto tra materiale legislativo e nuovo formante giurisprudenziale, in rivistalabor.it).

In questo caso, pur correttamente individuando la natura organizzativa e l'effetto stressogeno della conflittualità lavorativa interpersonale, la Cassazione continua ad “ancorarsi” alla categoria –di natura medico-legale e non giuridica- dello straining.

Questo lento fluire carsico della giurisprudenza di legittimità, lo vedremo nella prossima pronuncia, “salta” ad un nuovo punto di evoluzione.

Il secondo caso: Cass., sez. lav., 15 novembre 2022, n. 33639

Nella seconda pronuncia in commento (Cass., sez. lav., 15 novembre 2022, n. 33639), di pochi giorni successiva a quella sopra analizzata,viene in considerazione il caso di un dipendente che deduceva il comportamento mobbizzante della società datrice, richiedendo la correlativa condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

I giudici di merito, dopo aver escluso l'esistenza di una macchinazione dolosa finalizzata all'emarginazione del lavoratore nel proprio ambiente di lavoro conseguentemente negando l'accertamento del mobbing per l'assenza dell'intento persecutorio, accertavano tuttavia la dequalificazione subita dal ricorrente. Rilevata pertanto la sottoutilizzazione del dipendente nella forma dell'inattività lavorativa forzosa, veniva liquidato a favore del ricorrente soltanto il danno patrimoniale alla professionalità, negando invece il riconoscimento dei danni non patrimoniali, sia per il mancato accertamento del dedotto mobbing sia per l'omessa specificazione nella domanda risarcitoria del “connotato proprio di danno differenziale, non adeguatamente dedotto dalla parte che non aveva specificato in quale misura l'indennizzo assicurativo garantito dall'Istituto non era in grado di ristorare il pregiudizio alla sfera relazionale e soggettiva dell'assicurato” (1).

La Corte di Cassazione, dopo aver precisato alcuni principi generali in materia di indennizzo del danno differenziale da parte dell'INAIL (2), ha accolto il ricorso partendo dallo stesso presupposto della precedente ordinanza: sia il mobbing che lo straining “hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici”,essendo utili soltanto“a identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia ditutela della salute negli ambienti di lavoro(cfr., Cass., sez. lav., 10 dicembre 2019, n. 32257; Cass., 19 febbraio 2016, n. 3291, cit.).

Nella materia della conflittualità lavorativa interpersonale, pertanto, anche laddove nel caso concreto venga totalmente esclusa la sussistenza dell'intento persecutorio, ciò non esclude affatto la responsabilità del datore di lavoro per i danni alla persona subiti dalla lavoratrice o dal lavoratore a causa di un inadempimento degli obblighi datoriali, anche solo a titolo di mera colpa.

Il più generale canone dell'art. 2087 c.c., infatti, è oggi specificato da un altro parametro normativo, ovverosia dall'art. 28 primo comma del T.U. n. 81 del 9 aprile 2008, che ha introdotto nell'ordinamento la categoria dello stress lavoro-correlato, in base a cui è compito del datore di lavoro la valutazione di “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'Accordo europeo dell'8 ottobre 2004 […]”. Accordo sottoscritto dalle parti sociali a livello comunitario, dove lo “stress da lavoro” viene definito come uno “stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali” che, in caso di “esposizione prolungata”, può “causare problemi di salute” (par. 3) e che, pertanto, investe la “responsabilità dei datori di lavoro […] obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori” (par. 5).

In una prospettiva diprogressiva rilevanza della dimensione organizzativa quale fattore di rischio per la salute dei lavoratori”, si impone dunque come prioritaria l'obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro, che consente di configurare la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento — imputabile anche solo per colpa - che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale (artt. 1218 e 1223 c.c.).

L'ampio perimetro della responsabilità datoriale così tratteggiata si arresta soltanto allorché i pregiudizi lamentati derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante dell'ordinaria prestazione lavorativa, o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili (Cass., sez. lav., 23 maggio 2022, n. 16580, cit.).

Pertanto, anche dopo che è stata esclusa una “macchinazione dolosa” nei confronti del lavoratore, essendo stato, invece, acclarato che il dipendente versava “in condizioni di sostanziale inoperosità”, con progressivo “svuotamento” delle mansioni affidate, il giudice del rinvio dovrà accertare se da tale condotta del datore di lavoro, anche se colposa, siano causalmente derivati danni alla persona del lavoratore a contenuto non patrimoniale e provvedere alla loro liquidazione (3).

L'evoluzione “per saltum” di cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo, è evidente dopo la lettura della sentenza in commento. Se infatti nel primo caso l'ordinanza della Cassazione, pur facendo riferimento alla dimensione organizzativa e agli effetti stressogeni, rimane ancora legata al concetto di straining, sebbene “evoluto” (4), nella pronuncia in esame è evidente il netto distacco rispetto alle categorie medico-legali del mobbing e dello straining, con il repentino passaggio alla nozione legislativa dello stress lavoro-correlato, che consente di integrare normativamente l'art. 2087 c.c. di quei fattori organizzativi, necessari ad estendere la tutela –e i correlativi doveri datoriali- anche alle condotte colposamente stressogene.

Lo stress lavorativo come categoria “polifunzionale” in action

Stiamo assistendo, come già prospettato da chi scrive in un recente contributo (A. Rosiello, D. Tambasco, Il danno da stress lavorativo: una categoria polifunzionale all'orizzonte?, in Ius lavoro (ius.giuffrefl.it), 8 novembre 2022), ad un importante mutamento degli orientamenti giurisprudenziali in materia, che vede alla radice un autentico “cambio di paradigma”.

Siamo di fronte, più precisamente, al passaggio da una visione individualistica, incentrata sulla condotta soprattutto del soggetto agente, ad una concezione sistemica, che ha quale fulcro l'analisi dei profili organizzativi connaturati all'ambiente lavorativo, che consiste – precipuamente – nell'organizzazione dei fattori produttivi.

In questa nuova visione “olistica”, in cui interagiscono dinamicamente una pluralità di soggetti all'interno di un sistema complesso e strutturato, si dirige lo scrutinio del giudice non più vincolato ad una diagnosi para-penalistica dei comportamenti individuali (5) (impegnato com'era, fino a poco tempo fa, nella ricerca del dolo del soggetto agente) ma al contrario attento, oggi, soprattutto ai profili della colpa, ovverosia alle carenze rispetto agli standard organizzativi normativamente prescritti (in particolare l'art. 28 comma 1 d.lgs. 81/2008, la Circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010 e il manuale INAIL ad uso delle aziende per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato (6)).

Ecco dunque forgiato, sotto l'unitaria etichetta dello stress lavorativo, uno strumento idoneo a classificare, disciplinare e soprattutto a risolvere una pluralità di situazioni lavorative all'apparenza eterogenee.

Si tratta di casi che nella concreta esperienza hanno un minimo comune denominatore, costituito dalle carenze nell'organizzazione dei fattori produttivi che involgono sia la prestazione di lavoro sul piano quantitativo e/o qualitativo, sia le persone nelle loro interazioni interpersonali (7). Casi che, nel diritto vivente, hanno trovato finora la loro fonte di disciplina nell'interpretazione “evolutiva” dell'art. 2087 c.c. e del d.P.R. n. 1124/1965 e che oggi, attraverso l'innovativa interpretazione della giurisprudenza di legittimità, affondano le loro radici nel solido terreno dell'art. 28 primo comma, d.lgs. 81/2008 (e del correlativo Accordo Quadro Europeo dell'8 giugno 2004) (8).

Possiamo definirlo un definitivo addio al pluridecennale orientamento giurisprudenziale in materia di mobbing e straining? Probabilmente, considerato che questa nuova impostazione, oltre ad avere un saldo addentellato legislativo, ha il merito sia di predisporre un modello unitario di diagnosi dei fatti giuridicamente rilevanti (9), sia di apprestare una tutela profonda ed estesa a fenomeni che, con ogni evidenza, hanno una congenita complessità (10).

In un contesto, qual è quello giuslavoristico, in cui la prestazione di lavoro non può essere scissa dalle molteplici e simbiotiche relazioni intessute con l'ambiente lavorativo, considerare la conflittualità interpersonale sul lavoro –come si è fatto fino ad oggi- unicamente dal punto di vista del soggetto agente (sotto il profilo dell'intenzionalità persecutoria) o della vittima (sul piano della eventuale “percezione soggettiva”), sposando quindi una prospettiva prettamente individualistica, conduce l'interprete ad inevitabili approssimazioni e a soluzioni che appaiono evidentemente superficiali e, soprattutto, inidonee a garantire le crescenti esigenze di tutela della salute psico-fisica sul lavoro (si pensi, da ultimo, all'ampia diffusione della modalità di lavoro in smart working, con tutti i problemi connessi).

Lo nozione di stress lavoro-correlato, così come innovativamente tratteggiata dalla giurisprudenza di legittimità, può quindi rappresentare la soluzione più adatta ad una completa evoluzione della tutela in materia di salute e sicurezza psico-fisica dei lavoratori e delle lavoratrici, in piena aderenza ai principi e alle disposizioni legislative già codificate nell'ordinamento italiano.

Note

(1) Secondo la Corte d'Appello di Palermo, inoltre, la mancata evocazione in giudizio dell'INAIL importa il rigetto della domanda, atteso che la liquidazione dell'indennizzo a carico dell'Inail si configura come una vera e propria condicio iuris della domanda risarcitoria in difetto della quale il danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile”, non essendovi peraltro traccia nel caso di specie che il ricorrente avesse avanzato richiesta all'Istituto.

(2) In particolare, “È escluso "che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato" (principio affermato a partire da Cass. n. 777 del 2015, con molte successive conformi, tra cui: Cass. n. 13689 del 2015; Cass. n. 3074 del 2016; Cass. n. 9112 del 2019).

Con la conseguenza che il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno cd. "differenziale", allegando in fatto circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, ed il giudice, accertata in via incidentale autonoma l'illecito di rilievo penale, potrà liquidare la somma dovuta dal datore, detraendo dal complessivo valore monetario del danno civilistico, calcolato secondo i criteri comuni, quanto indennizzabile dall'INAIL, con una operazione di scomputo che deve essere effettuata ex officio ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo (Cass. n. 9166 del 2017; successive conformi: Cass. n. 13819 del 2017; Cass. n. 20932 del 2018; da ultimo, Cass. n. 22021 del 2022)”.

Ne deriva che “la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure proposte con i motivi in esame in quanto erra laddove ritiene la liquidazione dell'indennizzo a carico dell'INAIL come condicio iuris per la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro e, pur ritenendo l'illecito datoriale rappresentato dal demansionamento inflitto al lavoratore, non procede all'accertamento e alla liquidazione dei danni non patrimoniali sulla base dei principi di diritto innanzi richiamati”.

(3) Vi è da aggiungere che già in una risalente giurisprudenza di merito, nel caso di mancata prova dell'elemento soggettivo della fattispecie mobbizzante, è presente il riferimento a “condotte ansiogene ed ostili” (App. Milano, 16 febbraio 2009, n. 131) o a uno “stato di conflitto(Trib. Forlì, 6 febbraio 2003, est. Sorgi) quale presupposto per l'ascrizione al datore di lavoro della responsabilità colposa per inadempimento degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c.

(4) Si rimanda a D. Tambasco, La nuova vita dello straining, dal mobbing attenuato allo stress forzato, in rivistalabor.it.

(5) Di recente tuttavia, ha affermato l'importanza di una prospettiva sistemica ed organizzativa anche nel giudizio di accertamento della responsabilità penale per colpa, M. Catino, Trovare il colpevole, Bologna, 2022.

(6) Si fa riferimento all'ultima edizione del manuale INAIL, La metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, 2017, che ha aggiornato la prima edizione del 2011.

(7) Prendendo parzialmente a prestito il modello di Christina Maslach (Maslach, Leiter, Burnout e organizzazione, cit., p. 23 e ss.), riteniamo che l'esame della più recente giurisprudenza evidenzi tre “linee di tendenza” relative allo stress lavorativo, rispettivamente quantitativa, qualitativa e interpersonale.In particolare, si possono distinguere le seguenti linee di tendenza: a) quantitativa: discrepanza tra organizzazione e prestazione lavorativa (superlavoro, usura psico-fisica);b) qualitativa: discrepanza tra organizzazione e ambiente lavorativo (sicurezza e salubrità del luogo di lavoro, posizione lavorativa, controlli esasperati etc.); c) interpersonale: discrepanza tra organizzazione e persone (persecuzioni lavorative, violenze, molestie);

(8) In particolare, l'art. 3 del citato Accordo Quadro europeo definisce lo stress comeuna condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all'altezza delle aspettative”, potendo “portare a cambiamenti nel comportamento e ad una riduzione dell'efficienza nel lavoro” ed essendo causato “da fattori diversi, come ad esempio il contenuto del lavoro, la sua organizzazione, l'ambiente, la scarsa comunicazione, etc.”.

(9) Sempre in un'ottica sistematica, la recente introduzione nella materia della conflittualità lavorativa dell'unitaria categoria della violenza e delle molestie lavorative attraverso la Convenzione n. 190 OIL (introdotta nell'ordinamento con L. 15 gennaio 2021, n. 4), non crea aporie. Infatti, la violenza e le molestie ben possono configurarsi quale sottocategoria dello stress lavoro correlato, sul piano delle discrepanze dell'organizzazione lavorativa rispetto alla gestione dei rapporti interpersonali sul lavoro.

(10) Evidente è la vicinanza, sul piano teorico e metodologico, con la deep medicine che prospetta “a ferite profonde, rimedi profondi”, cfr. Rupa, Patel, Infiammazione. Medicina, conflitto e disuguaglianza, Milano, 2022.

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