Una panoramica sulla nuova liquidazione controllata nel sovraindebitamento

Lorenzo Gambi
14 Dicembre 2022

L'Autore svolge una panoramica sulla nuova liquidazione controllata che, nella propria struttura essenziale, si uniforma, alle caratteristiche peculiari che contraddistinguono la liquidazione giudiziale, soffermandosi sulle varie fasi della procedura, dall'apertura, alla formazione del passivo e alla gestione dell'attivo, al rendiconto finale e alla ripartizione delle spese, fino alla fase di chiusura del procedimento.
Premessa

I procedimenti relativi al sovraindebitamento - anche quelli di natura “concordataria” (piano di ristrutturazione del consumatore e concordato minore) - hanno natura strettamente concorsuale.

In origine, la L. n. 3/2012 - oggi trasfusa, con integrazioni, all'interno del Codice della crisi - contemplava in realtà solo opzioni ristrutturatorie aventi natura negoziale: l'efficacia dello strumento ristrutturatorio era infatti circoscritta ai soli creditori aderenti.

Il legislatore, già con D.L. n. 179/2012 (cd. Decreto Sviluppo-Bis), mutò la natura degli accordi ristrutturatori, trasformandoli da strumenti contrattuali a strumenti concorsuali.

Fu poi lo stesso D.L. n. 179/2012 ad introdurre nell'ordinamento concorsuale la liquidazione del patrimonio del soggetto sovraindebitato.

Quanto premesso, la liquidazione controllata si uniforma, nella propria struttura essenziale, alle caratteristiche peculiari che contraddistinguono la liquidazione giudiziale.

In particolare:

- vincola l'intero patrimonio pignorabile del debitore, con affidamento della relativa gestione ad un organo ad hoc, il liquidatore, nominato dal Giudice, con compiti amministrativi e di dismissione in funzione del soddisfacimento dei creditori

- spiega i propri effetti nei riguardi dei creditori anteriori all'apertura del procedimento (i creditori concorsuali), rispetto ai quali si verifica la sospensione delle azioni esecutive e/o cautelari, assieme al “divieto” di costituire nuove cause legittime di prelazione

- regola l'adempimento delle obbligazioni del debitore secondo criteri di concorsualità sostanziale: ogni creditore ha diritto ad essere soddisfatto in modo proporzionale, salve le legittime cause di prelazione (con ricorso al criterio di proporzionalità anche per i creditori prelatizi ove le somme da ripartire non siano sufficienti a dar corso al pagamento integrale dei propri crediti).

In sostanza, la liquidazione controllata è l'applicazione concreta, in ambito concorsuale e con particolare riferimento al sovraindebitamento, del principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.: il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri, salve le limitazioni previste dalla legge.

L'allineamento fra liquidazione controllata e liquidazione giudiziale fa sì che l'interprete possa ricorrere, quanto meno per le imprese “sotto-soglia”, all'applicazione analogica delle norme previste in tema di liquidazione giudiziale, là dove quelle sul sovraindebitamento rimangano “silenti” in relazione ad uno o più aspetti sostanziali e/o procedurali.

Tale collegamento ermeneutico opera, peraltro, nei soli limiti in cui le norme sulla liquidazione giudiziale abbiano un carattere “generale”, non potendosi applicare alla liquidazione controllata le norme della procedura maggiore che assumano rilevanza quali disposizioni ”speciali” ovvero “eccezionali” (es., revocatorie fallimentari, chiusura “anticipata” del concorso in presenza di giudizi pendenti, ecc.).

Apertura del procedimento

Il debitore che si trovi in uno stato di sovraindebitamento può domandare al Tribunale competente, con ricorso, l'apertura della procedura di liquidazione controllata in relazione ai propri beni, diritti e/o rapporti giuridici (art. 268 CCII).

Per “sovraindebitamento” si intende lo stato di crisi ovvero di insolvenza del debitore, sia lo stesso consumatore, professionista, imprenditore minore, agricolo, start-up, soggetti comunque non sottoponibili alle procedure liquidatorie maggiori (art. 2, comma 1, lett. c).

Il debitore, ai fini della presentazione del ricorso per l'accesso alla procedura di liquidazione controllata, può avvalersi dell'assistenza dell'Organismo di Composizione della Crisi, non sussistendo, ai fini in oggetto, obbligo di patrocinio legale.

Al ricorso deve essere allegata una relazione redatta dall'OCC con la quale lo stesso esponga una valutazione circa la completezza e l'attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri, altresì, la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.

L'OCC, entro sette giorni dal conferimento dell'incarico, ne dà notizia all'agente della riscossione ed ai competenti uffici fiscali, anche locali.

Ove il debitore si trovi in stato d'insolvenza, la domanda di apertura della liquidazione può essere presentata anche da un creditore, pur in pendenza di procedure esecutive individuali: in questo caso, il Tribunale soprassiede dall'apertura del procedimento se l'ammontare dei debiti scaduti risultanti dall'istruttoria sia inferiore ad euro cinquantamila.

Allo stesso modo, la domanda del creditore non può trovar seguito ove il debitore sia una persona fisica e l'OCC attesti che non vi è possibilità di acquisire alla procedura alcun attivo patrimoniale da distribuire ai creditori, neanche attraverso l'esercizio di azioni giudiziarie.

Il Tribunale - in assenza di domande di accesso ad una delle diverse procedure ristrutturatorie (principio del concorso fra procedure, ex art. 271 CCII), verificati il presupposto oggettivo ed il presupposto soggettivo - dichiara, con sentenza, l'apertura della liquidazione controllata.

Con tale provvedimento, il Tribunale:

- nomina il giudice delegato;

- nomina il liquidatore, confermando, in caso di domanda presentata dal debitore, l'OCC ovvero, per giustificati motivi, scegliendolo nell'elenco dei gestori della crisi;

- ordina al debitore di depositare entro sette giorni i bilanci. le scritture contabili, quelle fiscali obbligatorie e l'elenco dei creditori;

- assegna ai terzi che vantino diritti sui beni del debitore ed ai creditori un termine non superiore a sessanta giorni entro il quale trasmettere al liquidatore, via PEC, la domanda di restituzione, rivendicazione ovvero ammissione al passivo;

- ordina, in via esecutiva, la consegna e/o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore ovvero il terzo ad utilizzare alcuni di tali beni;

- dispone l'inserimento della sentenza di apertura della liquidazione nel sito Internet del Tribunale, del Ministero della Giustizia e presso il Registro imprese, qualora il debitore svolga attività d'impresa;

- ordina, infine, la trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti nel caso in cui nel patrimonio del debitore siano caduti beni immobili ovvero beni mobili registrati.

Soci illimitatamente responsabili

L'art. 270, comma 1, II periodo, dispone che la sentenza con la quale il Tribunale dichiara aperta la procedura di liquidazione controllata produce i propri effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

Il terzo periodo di tale norma richiama, in quanto compatibile, l'art. 256 CCII.

Secondo tale disposizione, rubricata “Società con soci a responsabilità illimitata”, la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale nei confronti di una società personale determina l'apertura della liquidazione giudiziale anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ove anche non persone fisiche.

La liquidazione giudiziale nei confronti dei soci illimitatamente responsabili non può essere disposta ove sia decorso il termine di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale ovvero dal momento del venir meno del requisito di responsabilità illimitata in capo al socio.

Quanto sopra, anche con riferimento ai casi di trasformazione, fusione ovvero scissione, sempreché, in relazione a tali operazioni straordinarie, siano state osservate le formalità per renderle opponibili ai terzi (es., iscrizioni al Registro imprese).

Peraltro, l'apertura della liquidazione in capo ai soci è possibile solo qualora l'insolvenza della società sia riconducibile ad obbligazioni esistenti, in tutto o in parte, al momento del venir meno del requisito di responsabilità illimitata del socio.

Infine, ove dopo l'apertura della liquidazione nei confronti della società vengano ad esistenza altri soci illimitatamente responsabili, il Tribunale, su istanza del liquidatore, di un creditore, di un socio nei confronti del quale la procedura sia già stata aperta e del PM, dispone l'apertura della liquidazione anche nei confronti dei soci “sopravvenuti”.

La formazione del passivo

Una volta scaduti i termini assegnati dal Tribunale in sede di apertura della procedura per la presentazione delle domande da parte dei creditori e dei terzi, il liquidatore predispone un progetto di stato passivo, con l'elenco dei titolari di diritti sui beni mobili e/o immobili di proprietà o nel possesso del debitore, dandone loro comunicazione all'indirizzo PEC indicato in domanda (art. 273 CCII).

In mancanza di tale indicazione, il progetto di stato passivo si intende comunicato agli aventi diritto tramite deposito in Cancelleria.

I creditori ed i terzi hanno quindici giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni al liquidatore.

In assenza di osservazioni, il liquidatore forma lo stato passivo, depositandolo in Cancelleria e disponendone l'inserimento all'interno del sito web del Tribunale o del Ministero della Giustizia.

Ove siano state formulate osservazioni che il liquidatore ritenga fondate, nei quindici giorni successivi predispone un nuovo progetto di stato passivo, comunicandolo ai creditori ed ai terzi.

In presenza di contestazioni non superabili, il liquidatore rimette gli atti al Giudice delegato, il quale provvede alla definitiva formazione dello stato passivo, con decreto motivato.

Tale decreto è reclamabile davanti al Collegio, di cui non può far parte lo stesso Giudice delegato: il procedimento si svolge senza formalità, nel rispetto del principio del contraddittorio.

Ai sensi del settimo comma dell'art. 273, una volta che sia decorso il termine assegnato dal Tribunale in sede di apertura della liquidazione e sino al momento in cui non siano state ultimate le ripartizioni dell'attivo patrimoniale, sono ammesse le domande tardive a condizione che l'istante:

- fornisca la prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile;

- abbia trasmesso la domanda tardiva non oltre i sessanta giorni dal momento in cui sia cessata la causa che ne abbia impedito il deposito tempestivo.

La domanda tardiva è inammissibile ove l'istante non indichi le circostanze da cui sia dipeso il ritardo ovvero non fornisca la prova documentale dello stesso.

Le suddette disposizioni in tema di domande tardive rappresentano la più rilevante novità introdotta dal legislatore del Codice della crisi.

Al riguardo, l'art. 14-octies L. n. 3/2012, rubricato “Formazione del passivo”, nel trattare il procedimento di verifica dei crediti in modo sostanzialmente analogo ha quello previsto in ambito di Codice della crisi, non forniva tuttavia alcuna indicazioni con riferimento alle domande tardive.

In questo quadro, è stato ritenuto che nella liquidazione del patrimonio del debitore fossero inammissibili le domande tardive, “avendo il legislatore compiutamente disciplinato la materia della formazione del passivo senza farne menzione e dovendosi da ciò ritenere che la legge abbia voluto riservare alla scelta discrezionale del liquidatore […] la fissazione del limite cronologico per l'insinuazione al passivo” (Trib. Ancona 19 novembre 2019).

Altra giurisprudenza di merito ha invece ritenuto ammissibili le domande di insinuazione al passivo pervenute dopo il decorso del termine assegnato dal liquidatore ma anteriormente alla data di comunicazione agli interessati del progetto di stato passivo da parte del medesimo liquidatore (Trib. Udine 7 luglio 2020).

L'art. 273, comma 7, CCII ha dunque “innovato” la materia, contribuendo a far chiarezza sul punto: decorso il termine assegnato ai creditori, e sino al completamento delle ripartizioni d'attivo, sono ammesse le tardive sempreché l'istante dia prova che il ritardo non sia da lui dipeso, trasmettendo la domanda non oltre i sessanta giorni da quando sia venuta meno la causa impeditiva.

La gestione dell'attivo

Come ricordato, l'apertura della liquidazione controllata produce l'effetto dello “spossessamento”.

Formalmente, la titolarità degli asset liquidabili rimane in capo al debitore fino al momento in cui gli stessi siano ceduti a terzi in esecuzione delle programmate procedure di vendita.

Lo “spossessamento” non si determina in relazione ai seguenti beni/diritti, ex art. 268, comma 4:

- i crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c.;

- i crediti aventi carattere alimentare e/o di mantenimento, stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagni con la propria attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento proprio e della famiglia, come indicato dal giudice;

Tale norma è complementare (e non alternativo) rispetto a quella precedente: il limite di quanto occorra al mantenimento del debitore e della sua famiglia non può dunque essere inferiore ai 4/5 dello stipendio (Trib. Rimini 5 marzo 2020);

- i frutti dell'usufrutto legale sui beni dei figli, beni costituiti in fondo patrimoniale e suoi frutti, salvo quanto previsto dall'art. 170 c.c.

In relazione a tale ultimo punto, l'art. 170 c.c. dispone che l'azione esecutiva sui beni del fondo patrimoniale non può aver luogo ove il creditore che intenda agire sia a conoscenza che il debito era stato contratto per necessità diverse da quelle familiari.

A contrariis, il soggetto titolare di un credito derivante da esigenze familiari del debitore può agire in via esecutiva sui beni ricompresi nel fondo patrimoniale, e ciò anche in corso di liquidazione controllata;

- infine, le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

Rileva innanzitutto ai fini della ricostruzione dell'attivo la norma prevista dall'ultimo comma dell'art. 270, peraltro inserita all'interno della fase dell'apertura della procedura e non in quella delle azioni del liquidatore ovvero della gestione della procedura.

Trattasi della sorte dei negozi pendenti al momento dell'apertura della liquidazione controllata.

L'art. 270, comma 6, dispone principi e regole sostanzialmente ricalcate sulla liquidazione giudiziale.

Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l'esecuzione rimane sospesa fino a quando il liquidatore, sentito il debitore, non dichiari di subentrarvi, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero decida di sciogliersi, a meno che, con riferimento ai contratti ad effetti reali, non sia già avvenuto il trasferimento del diritto.

L'altra parte può mettere in mora il liquidatore, facendogli assegnare dal giudice un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale, il contratto si intende sciolto.

In caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati in corso di procedura.

In caso di scioglimento, l'altra parte ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza risarcimento danni.

Il liquidatore ha dunque la facoltà, sentito il debitore, di proseguire in tutti quei contratti finalizzati alla possibile acquisizione di attivo (es., leasing), per quanto tale opzione presupponga che la proceduta sia in grado di sostenere oneri prededucibili e che l'acquisizione di attivo si prospetti vantaggiosa per le ragioni dei creditori concorsuali.

L'art. 270, comma 6, non fa riferimento ad alcuna autorizzazione da parte del giudice.

La norma in tema di contratti pendenti deve essere peraltro letta assieme alle disposizioni previste dall'art. 274, rubricato “Azioni del liquidatore”.

Il primo comma prevede che il liquidatore, autorizzato dal giudice delegato, eserciti ovvero, se pendente, prosegua, ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore ed ogni altra azione diretta al recupero dei crediti.

Trattasi, in sostanza, delle azioni recuperatorie, restitutorie e/o di rivendicazione previste dal codice civile.

Il secondo comma prevede che il liquidatore, sempre con l'autorizzazione del giudice delegato, eserciti ovvero, se pendenti, prosegua le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile.

Il liquidatore può esperire solo l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., non già le azioni revocatorie cd. “fallimentari”: problema della sopra ricordata impossibilità di applicare analogicamente alla liquidazione controllata le norme “speciali” previste per la procedura liquidatoria maggiore.

Il terzo comma, infine, prevede questa precondizione: il GD autorizza il liquidatore ad esercitare o proseguire le azioni in oggetto solo qualora le stesse siano (recte, appaiano) utili ai fini del miglior soddisfacimento dei creditori.

Alcune considerazioni in tema di liquidazione dell'attivo.

La L. n. 3/2012 non prevedeva la possibilità per il liquidatore di alienare “in blocco” l'azienda o di concederla in affitto, né che fosse il debitore a gestire, per un determinato arco di tempo, l'azienda ovvero alcuni rami della stessa.

Il Codice della crisi, all'art. 275, comma 2, richiama invece espressamente “le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale”, le quali - ai sensi dell'art. 214 - privilegiano proprio la vendita in blocco dell'azienda, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici da assumersi “in blocco”.

Peraltro, già in ambito di L. n. 3/2012 la giurisprudenza aveva ammesso la possibilità dell'esercizio provvisorio quando dall'interruzione dell'attività potesse derivare un grave danno ai creditori, con esclusione, tuttavia, della possibilità di intraprendere nuovi affari o nuove operazioni (Trib. Mantova 17 settembre 2019).

Con riferimento al programma di liquidazione - da effettuarsi a cura del liquidatore nei novanta giorni dall'apertura, assieme alla redazione dell'inventario -, il Codice della crisi, all'art. 272, comma 2, richiama le norme previste dal terzo e quarto comma dell'art. 213 in tema di programma di liquidazione nella liquidazione giudiziale, ove compatibili.

Il programma deve essere così suddiviso in sezioni nelle quali cui siano indicati, in modo separato, i criteri e le modalità della liquidazione dei beni immobili, degli altri beni, diritti e rapporti, nonché della riscossione dei crediti, con indicazione dei costi e dei presumibili tempi di realizzo.

Nel programma di liquidazione devono inoltre essere indicate le azioni giudiziali di qualunque natura e l'eventuale esercizio della facoltà di subentrare nelle liti pendenti, con i costi per il primo grado di giudizio.

Non è previsto che il Giudice delegato autorizzi preventivamente i singoli atti previsti dall'approvato programma di liquidazione.

Ciò è giustificato dal carattere semplificato della procedura rispetto alla liquidazione giudiziale, potendo il liquidatore agire rapidamente ai fini dell'esecuzione del programma una volta che lo stesso sia stato approvato dal giudice.

L'art. 275, rubricato “Esecuzione del programma di liquidazione", al primo comma, dispone che il liquidatore riferisca al Giudice delegato ogni sei mesi con riferimento agli atti di liquidazione eseguiti, pena la revoca dall'incarico e la possibile rilevanza ai fini della determinazione del compenso.

Il rendiconto finale della gestione

Ai sensi dell'art. 275, comma 3, il liquidatore, ultimata l'attività di monetizzazione dell'attivo, deve presentare il rendiconto finale della gestione per l'approvazione da parte del Giudice il quale, secondo la norma, “verifica la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione e, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso del liquidatore”.

La fase che precede il vaglio giudiziale da parte dell'Autorità giudiziaria sul rendiconto finale della gestione non è invero disciplinata dal Codice della crisi.

In mancanza di un espresso richiamo all'art. 231 CCII, si ritiene che il Giudice delegato, ricevuto dal liquidatore il rendiconto finale della gestione, proceda alla sua approvazione, ove ne condivida i contenuti, verificandone la corrispondenza al programma di liquidazione ed alla legge, senza dover fissare udienze di discussione, né disporne la comunicazione ai creditori.

Ove il Giudice ritenga di non approvare il rendiconto della gestione indica gli atti necessari al completamento della liquidazione e le rettifiche e/o integrazioni da apportare al rendiconto, assegnando un termine al liquidatore per eseguire tali incombenze (art. 275, comma 4).

La suddetta norma prevede che ove le prescrizioni dettate dal Giudice non siano adempiute dal liquidatore nei termini assegnati, ove anche prorogati, il Giudice provvede alla sua sostituzione, tenendo conto in sede di liquidazione del compenso del grado di diligenza prestata dal liquidatore e con possibilità di escludere in tutto o in parte il compenso stesso.

Per quanto in modo invero sintetico, il Codice della crisi ha introdotto all'interno del procedimento di liquidazione del patrimonio del sovraindebitato la fase della redazione ed approvazione del conto finale della gestione, in modo innovativo rispetto alla precedente disciplina positiva.

Ed in effetti, l'art. 14-novies L. n. 3/2012, rubricato “Liquidazione”, al comma 3, si limitava a disporre che il Giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo delle somme, ordinando la cancellazione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché d'ogni altro vincolo.

Infine, ai sensi del successivo comma 5, accertata l'esecuzione del programma di liquidazione, e comunque non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il Giudice dispone, con decreto, la chiusura della procedura, senza dunque alcuna specifica norma in tema di rendiconto finale della gestione.

La ripartizione delle somme disponibili

La L. n. 3/2012 non disciplinava la fase di ripartizione delle somme ricavate dalla liquidazione.

In mancanza di norme positive, assumeva senz'altro rilevanza - vista la natura concorsuale della liquidazione - il criterio generale di par condicio.

La distribuzione delle somme doveva così rispettare l'ordine dei privilegi stabilito dalla legge.

I crediti prededucibili non seguivano le regole sul concorso sostanziale fra i creditori.

Al riguardo, l'art. 14-duodecies, comma 2, L. n. 3/2012 prevedeva che i crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione ovvero di uno dei procedimenti di composizione della crisi fossero soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti (analogia con art. 111-bis, comma 2, l.fall.).

Per quanto la L. n. 3/2012 non lo prevedesse espressamente, il liquidatore poteva procedere ad effettuare ripartizioni parziali.

Era dubbio se il liquidatore fosse tenuto a comunicare i progetti di ripartizione ai creditori ed al giudice: ciò era forse da escludersi, considerata la mancanza di regole che sancissero, in ambito di L. n. 3/2012, poteri di controllo preventivi da parte del giudice.

Il Codice della crisi, all'art. 275, comma 5, in punto di ripartizione delle somme disponibili, prevede che il liquidatore proceda alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione nel rispetto dell'ordine di prelazione dei crediti ammessi, mediante la “previa formazione di un progetto di riparto da comunicare al debitore e ai creditori, con termine non superiore a giorni quindici per osservazioni”.

La norma dispone, poi, che il liquidatore, “in assenza di contestazioni, comunica il progetto di riparto al giudice che senza indugio ne autorizza l'esecuzione”.

In presenza di contestazioni, il liquidatore verifica le possibilità di componimento, apportando al piano di ripartizione le modifiche che ritenga opportune (attività lato sensu “di mediazione” del liquidatore in ambito endo-processuale).

In mancanza di accordo, il liquidatore rimette gli atti al giudice delegato, che provvede con decreto motivato.

La chiusura della procedura

L'art. 14-novies, comma 5, L. n. 3/2012, prevedeva che il giudice, accertata l'esecuzione del programma di liquidazione, ma non prima del decorso di quattro anni dal deposito della domanda di apertura, disponesse con decreto la chiusura del procedimento.

Vi era dunque una durata minima: 4 anni.

In mancanza di altre norme relative alla chiusura della procedura, si doveva far ricorso all'interpretazione analogica con le norme che regolavano tale fase in ambito fallimentare.

La liquidazione poteva dunque chiudersi anche per la mancata presentazione nei termini assegnati dal liquidatore di domande d'ammissione al passivo, oltreché per l'avvenuto integrale pagamento dei debiti.

La fattispecie di insufficienza di attivo ex art. 118, comma 1, n. 4), l. fall. poteva operare solo una volta che fossero trascorsi i quattro anni dal deposito della domanda di apertura della liquidazione.

In ambito di CCII, l'art. 276, rubricato “Chiusura della liquidazione” richiama espressamente le norme di cui all'art. 233 CCII con riferimento alla liquidazione giudiziale, in quanto compatibili.

Per effetto di tale richiamo, il quadro può essere così sintetizzato.

La procedura di liquidazione controllata si chiude:

- se nel termine assegnato ai creditori dal liquidatore non siano state proposte domande di ammissione al passivo

- quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungano l'intero ammontare dei crediti ammessi, o questi siano in altro modo estinti e siano pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione

- quando sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo

- quando, nel corso della procedura, sia accertato che la sua prosecuzione non consenta di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura, e ciò anche in base alle relazioni semestrali sullo stato della liquidazione, o con relazione finale del liquidatore.

Con riferimento all'eventuale sussistenza di un termine “minimo” di durata della liquidazione controllata, occorre considerare che l'art. 279, in punto di esdebitazione, dispone che il debitore ha diritto - sussistendone le condizioni - a conseguire l'esdebitazione decorsi tre anni dall'apertura della procedura di liquidazione (sia giudiziale, sia controllata) ovvero al momento della chiusura della procedura, se antecedente.

Con specifico riferimento al sovraindebitamento, l'art. 282, rubricato “Esdebitazione di diritto”, al primo comma, dispone che per le procedure di liquidazione controllata, l'esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura del procedimento ovvero anteriormente, decorsi tre anni dalla sua apertura.

Dal coordinamento degli artt. 276, 279 e 282, si può considerare questo quadro:

- non sussiste un termine “minimo” di durata della liquidazione controllata: la chiusura della procedura produce l'esdebitazione, anche se si chiuda prima del triennio

- ove la procedura di liquidazione controllata si chiuda dopo il triennio, il debitore, dopo il terzo anno, sussistendone i presupposti, può in ogni caso chiedere di essere esdebitato

Proseguendo, in tema di chiusura della liquidazione controllata, per effetto del richiamo che l'art. 276 fa all'art. 233, rubricato “Casi di chiusura” (della liquidazione giudiziale), si ritiene che siano applicabili anche le norme previste dal secondo e terzo comma di tale norma.

Esse prevedono che in caso di chiusura della liquidazione giudiziale di società di capitali per mancanza di domande d'ammissione al passivo ovvero per soddisfacimento integrale dei crediti, il curatore convoca l'assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell'attività o della sua cessazione ovvero per la trattazione di argomenti sollecitati, con richiesta scritta, da un numero di soci che rappresenti il venti per cento del capitale sociale.

Nei casi di compiuta ripartizione dell'attivo e di mancata utilità alla prosecuzione della procedura, il curatore chiede la cancellazione della società dal Registro imprese.

Infine - per concludere -, la chiusura della liquidazione controllata della società non “fallibile” per mancanza di domande di ammissione al passivo ovvero per soddisfacimento integrale dei crediti ammessi e di quelli prededucibili, determina anche la chiusura della procedura già aperta nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

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