Abuso del processo e deposito del ricorso dopo il conseguimento del "bene della vita"

Redazione Scientifica
15 Dicembre 2022

Il Consiglio di Stato si pronuncia in tema di abuso del processo, dovuta alla scarsità della “risorsa giustizia”, in merito al deposito di un ricorso successivamente al conseguimento del bene della vita richiesto.

L'appellante proponeva ricorso in primo grado – instaurando così il rapporto processuale - per ottenere l'annullamento del provvedimento di diniego parziale sull'istanza di accesso presentata al Comune.

Il deposito del ricorso, tuttavia, avveniva in data successiva all'emanazione del provvedimento del medesimo Comune, con il quale erano stati rettificati gli errori materiali commessi ed esibiti all'interessato i documenti richiesti, inclusi quelli rettificati.

Il giudice di primo grado dichiarava il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese del giudizio.

Veniva, dunque, proposto appello, affidato ad unico motivo di gravame, volto a conseguire la riforma della sentenza del TAR che, in luogo della declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, avrebbe dovuto emettere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, con spese a carico dell'amministrazione comunale.

Tanto esposto, il Supremo Consesso ha condiviso le argomentazioni del primo giudice, con riferimento al momento in cui può dirsi instaurato il rapporto processuale.

Invero, il rapporto processuale si perfeziona quando viene effettuato il deposito del ricorso che, nella fattispecie in esame, è successivo all'emanazione del provvedimento del Comune con il quale sono stati soddisfatte le richieste dell'appellante.

Sulla base di tale dato fattuale, il Consiglio di Stato, ha ritenuto, quindi, l'appello destituito di fondamento in quanto, ai sensi dell'art. 34, comma 5, c.p.a., la declaratoria di cessazione della materia del contendere presuppone la soddisfazione della pretesa del ricorrente attraverso il provvedimento della pubblica amministrazione, emanato successivamente alla instaurazione del giudizio e con effetti retroattivi.

Diversamente, come nel caso in esame, il deposito del ricorso successivamente al conseguimento del bene della vita richiesto rappresenta un abuso del processo, in ragione della scarsità della “risorsa giustizia” e nella misura in cui aggrava la posizione dell'amministrazione, senza che ciò corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte, in violazione del canone di lealtà processuale sancito dall'art. 88, comma 1, c.p.c. pacificamente applicabile al processo amministrativo.

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