Sottrazione internazionale: è rilevante il radicamento del minore nel luogo dove è stato condotto?
15 Dicembre 2022
Il pubblico ministero minorile del Tribunale di Lecce ordinava l'immediato rientro in Belgio di una minore che era stata portata dalla madre in Italia, inizialmente con il consenso del marito, per farle conoscere i propri familiari. La donna si era poi però trattenuta nella provincia leccese e l'uomo aveva dunque avviato il procedimento per sottrazione internazionale di minore. La donna ha proposto ricorso contro il provvedimento sostenendo di essere stata vittima di vessazioni, umiliazioni, violenze fisiche e verbali da parte del marito e di essersi perciò risolta a rimanere in Italia. Tali affermazioni risultano però totalmente prive di riscontro probatorio. La vicenda è dunque giunta all'attenzione della Cassazione. La ricorrente sostiene l'erroneità della pronuncia di merito laddove ha ritenuto che la figlia fosse stata affidata al padre in quanto egli, all'epoca del trasferimento, «lavorava dalla mattina alla sera». L'argomento dedotto non risulta però specificamente trattato dal decreto impugnato, né in sede di merito la ricorrente aveva messo in discussione il fatto che il marito esercitasse la custodia della bimba. Precisa sul punto la pronuncia che nel caso in cui il genitore svolga attività lavorativa per molte ore fuori casa, non perde per questo motivo il rapporto di custodia del figlio minore. Il ricorso lamenta inoltre la mancata indagine sul pregiudizio che subirebbe la bambina in caso di un suo rientro in Belgio con sradicamento dall'ambiente in cui vive da ormai 8 mesi con la madre e la famiglia materna. L'argomento si rivela però inammissibile, avendo i servizi sociali esaminato la situazione in cui la piccola si trova attualmente, ma anche erroneo in punto di diritto. L'art. 12 della Convenzione dell'Aja prevede infatti che «qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell'articolo 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell'istanza presso l'Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l'autorità adita ordina il suo ritorno immediato». In altre parole, ci che rileva è il lasso di tempo intercorso tra la sottrazione del minore e la proposizione della domanda «senza che possa assumere rilievo il fatto che il minore, a seguito dell'illecita sottrazione, si sia radicato nel luogo in cui per effetto di essa sia stato condotto, con il che verrebbe evidentemente premiata la condotta che gli ordinamenti partecipanti della Convenzione hanno inteso contrastare e reprimere». Le condizioni che invece ostano al provvedimento di ritorno del minore, sottratto dal luogo di provenienza, sono elencate dal successivo art. 13 e cioè la dimostrazione: «a) che la persona, l'istituzione o l'ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Vi è poi il caso del minore che si opponga egli stesso al ritorno, il che evidentemente non attiene alla vicenda in discorso tenuto conto dell'età della bambina». In conclusione, avendo il Tribunale correttamente verificato sia la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda di rientro, sia l'insussistenza di fattori impeditivi, la Cassazione non può che dichiarare inammissibile il ricorso.
Fonte: dirittoegiustizia.it |