Nuovo rinvio pregiudiziale alla CGUE sul mandato d'arresto europeo, possibili interferenze con il riconoscimento reciproco delle sentenze penali

Federica Zazzaro
Federica Zazzaro
19 Dicembre 2022

L'8 marzo 2022 la Curtea de Apel Bucureşti (Romania) ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE – causa C-179/22 – relativa all'interpretazione dell'articolo 4, punti 5 e 6, e l'articolo 8 della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d'arresto europeo, nonché gli articoli 4, 22 e 25 della decisione quadro 2008/909/GAI.
Il racconto del caso

Il caso trae origine da un procedimento penale a carico di un cittadino rumeno, accusato di complicità nel reato di abuso di funzione e partecipazione ad un'associazione criminale, conclusosi il 10 luglio 2017 con l'emissione di una sentenza di condanna a una pena detentiva di 5 anni e 6 mesi.

La Corte di appello di Bucarest, l'8 febbraio 2019 emetteva un mandato d'arresto europeo (in seguito MAE) a carico del condannato nonché un avviso di ricerca internazionale indirizzato all'ufficio SI.RE.NE (Supplementary Information Request at the National Entries) e all'ufficio nazionale Interpol.

A seguito della cattura del soggetto, avvenuta in territorio italiano il 15 gennaio 2020, la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 15 settembre 2020, irrevocabile il 26 settembre 2020, provvedeva a rifiutare la consegna e a eseguire il riconoscimento della sentenza penale nonché l'esecuzione della pena in Italia, essendo la persona condannata legalmente residente nel territorio italiano.

Successivamente, l'autorità giudiziaria italiana, dopo aver applicato l'indulto di tre anni sulla pena originaria, sospese l'esecuzione della sentenza in attesa della decisione da parte del Tribunale di sorveglianza sull'istanza di messa alla prova.

La Corte di appello di Bucarest, venuta a conoscenza della decisione italiana decideva di trasmettere con nota informativa alle autorità italiane le seguenti considerazioni:

- Alcun consenso era stato dato dalle autorità rumene al riconoscimento del giudizio penale in Italia;

- La Romania, in qualità di Stato di emissione, conservava integralmente il “diritto di eseguire la pena nel suo territorio”, fintantoché l'esecuzione della pena detentiva non avesse avuto inizio.

Pochi giorni dopo l'informativa di Bucarest, il 9 agosto 2021 la medesima persona condannata venne tratta in arresto in Grecia. La Corte di appello greca si pronunciava rifiutando il MAE, ai sensi dell'art. 4, par. 5 della decisione quadro 2002/584/GAI, poiché si trattava di un soggetto condannato già sottoposto ad un processo per “gli stessi fatti” in uno Stato membro dell'Unione europea (Italia) e la cui pena era in corso di esecuzione.

La posizione delle autorità rumene

Le autorità giudiziarie rumene rivendicano, ai sensi dell'art. 25 e art. 4, par. 2, della decisione quadro 2008/909/GAI, il proprio diritto ad esprimere il consenso sul riconoscimento di una sentenza nell'ambito di una procedura di rifiuto del MAE, ed altresì, il proprio diritto di eseguire le decisioni emesse sul suo territorio, finché l'esecuzione della sentenza non abbia avuto inizio.

Il giudice di Bucarest afferma che la semplice trasmissione di una copia del giudizio di condanna alle autorità italiane non equivale di per sé alla prestazione di tale consenso, soprattutto in assenza di qualsiasi consultazione tra le autorità nazionali e le autorità italiane.

Per di più, nell'ambito di un procedimento di rifiuto del MAE e di riconoscimento della sentenza penale è necessario un effettivo impegno da parte dello Stato di esecuzione, che nel caso concreto non era avvenuto, tenuto conto dei successivi ritardi da parte italiana nel mettere in esecuzione la pena.

Ciò ha condotto i giudici romeni a rilevare le evidenti divergenze di vedute circa la corretta definizione della nozione di “effettivo impegno” nell'interpretazione operata dagli organi giudicanti rumeni, italiani e greci.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di appello di Bucarest ha ritenuto opportuno effettuare un rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, alla Corte di giustizia affinché si pronunci su alcune questioni che appaiono assumere particolare rilevanza con riferimento tanto alla situazione pendente dinanzi alle autorità giudiziarie italiane quanto a quella venutasi a creare a seguito dell'avvenuto arresto in Grecia.

Questioni pregiudiziali sollevate dinnanzi alla Corte di giustizia

In sostanza, con le prime tre questioni, il giudice del rinvio rumeno chiede se uno Stato membro possa rifiutare di eseguire un MAE emesso ai fini dell'esecuzione di pena detentiva (art. 4, par. 6, decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), riconoscere la sentenza di condanna e poi sospendere l'esecuzione della stessa in seguito a richiesta di grazia, senza avere il consenso da parte dello Stato di condanna, ai sensi dell'art. 25 decisione quadro 2008/909/GAI (del Consiglio del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea).

Nella specie, l'art. 4, par. 6, decisione quadro 2002/584/GAI enuncia, tra i tanti, un motivo di non esecuzione facoltativa del MAE secondo cui: «L'autorità giudiziaria dell'esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d'arresto europeo […] se il mandato d'arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

Quanto al primo presupposto oggettivo, la disciplina europea richiede che il ricercato dimori o risieda nel territorio dello Stato membro di esecuzione, con ciò intendendo che la persona, nelle ipotesi in cui non è cittadino, quantomeno abbia ivi stabilito la propria residenza instaurando un legame personale con il territorio, tale da giustificare la sua permanenza e reintegrazione futura.

Quanto al secondo presupposto, la norma richiede che un eventuale rifiuto del MAE sia accompagnato da un effettivo impegno da parte dello Stato di esecuzione nell'attuazione della pena. Ne consegue che l'eventuale rifiuto debba essere preceduto da un concreto accertamento sulla effettiva possibilità di eseguire la pena detentiva secondo il proprio diritto interno.

Dalla disposizione in oggetto emergerebbe un potere discrezionale in capoal giudice dell'esecuzione, il quale dovrà effettuare questa scelta nel pieno rispetto della ratio sottostante la disciplina: garantire un concreto reinserimento sociale del reo e una piena rieducazione nello Stato di esecuzione.

In particolare, la Corte di appello rumena chiede se ai fini dell'applicazione dell'art. 4, par. 6, decisione quadro 2002/584/GAI relativa al rifiuto facoltativo del mandato d'arresto europeo, lo Stato di esecuzione debba chiedere allo Stato di emissione il trasferimento della sentenza penale di condanna, nonché il certificato di esecuzione della pena della persona ricercata.

Secondo l'art. 4, par. 2, decisione quadro 2008/909/GAI, lo Stato di emissione non è obbligato a trasmettere i suddetti documenti, ma potrà farlo solo dopo aver accertato un impegno ad un reinserimento sociale più agevole e rispettoso degli interessi personali ed europei.

A tal punto, le autorità rumene chiedono alla Corte di giustizia se nei casi in cui non vi sia stato il consenso dello Stato di condanna nell'ambito del procedimento di riconoscimento, la sentenza dello Stato di emissione perda il suo carattere esecutivo.

Inoltre, le autorità rumene chiedono se le disposizioni europee debbano essere interpretate nel senso di non intaccare il diritto dello Stato di condanna di procedere all'esecuzione, ai sensi dell'art. 22, par. 1, decisione quadro 2008/909/GAI.

Tale disposizione recita: «Lo Stato di emissione riacquista il diritto di procedere all'esecuzione della pena non appena informato dallo Stato di esecuzione della mancata esecuzione parziale della pena ai sensi dell'articolo 21, lettera h».

Quanto alle due questioni pregiudiziali concernenti l'interpretazione dell'art. 4, par. 5, decisione quadro 2002/584/GAI nel caso di rigetto del MAE da parte delle autorità greche, la Corte di appello di Bucarest solleva due dubbi.

Il primo riguarda la natura della sentenza di condanna dello Stato emittente, ossia se questa possa essere considerata quale «condanna per gli stessi fatti da un paese terzo», e quindi rientrare nella disciplina di cui all'art. 4, par. 5.

Quanto al secondo dubbio, il giudice del rinvio chiede se, in caso di risposta affermativa, le disposizioni dell'art. 4, par. 5 debbano essere interpretate nel senso di considerare la sentenza italiana, in cui la sorveglianza del condannato non era ancora stata avviata, quale «sentenza in corso di esecuzione».

Si resta in attesa delle conclusioni dell'Avvocato generale e della decisione della Corte di giustizia.