Primi orientamenti in tema di liquidazione controllata

Fabio Cesare
22 Dicembre 2022

Le due pronunce dei Tribunali di Verona e di Genova in commento tracciano alcuni sentieri interpretativi che occuperanno le riflessioni sul sovraindebitamento nei prossimi mesi.
Le massime

La durata della liquidazione controllata va fissata in tre anni solo per la porzione di reddito da destinare ai creditori, alla luce del disposto dell'art. 282 CCII che impone l'esdebitazione dopo il mero decorso del triennio. Rimane salva la possibilità che la liquidazione controllata si chiude successivamente qualora lo richiedano le operazioni di esitazione di altri beni e diritti diversi dalla porzione di reddito (Tribunale di Verona).

È ammissibile la liquidazione del patrimonio senza beni (Tribunale di Genova).

Il caso

Il Tribunale di Verona e il Tribunale di Genova delineano i primi orientamenti in materia di liquidazione controllata, procedura erede della liquidazione del patrimonio, ma strutturalmente diversa sotto molteplici profili.

L'apertura della legittimazione attiva ai creditori, la conseguente espunzione letterale della verifica degli atti di frode, tratteggiano un istituto assai più a maglie larghe rispetto alla procedura liquidatoria della legge 3/2012.

Il rischio dell'interprete è dunque quello di leggere le nuove disposizioni del codice della crisi sulla liquidazione controllata con gli occhiali della previgente disciplina, per pigrizia intellettuale o per consolidati bias di conferma capaci di distorcere la ricostruzione del dato normativo e la lettura delle nuove disposizioni.

Il Tribunale di Verona, mentre sotto alcuni profili inizia a proporre letture convincenti con una motivazione inaspettatamente analitica, sotto altri aspetti articola soluzioni che appaiono meno convincenti perché frutto forse di pregresse convinzioni: è il caso della fissazione della soglia della sussistenza del sovraindebitato, che non sembra possa essere fissata nella sentenza di apertura.

Il Tribunale di Genova invece sembra aprire alla possibilità di una liquidazione controllata senza beni, purtroppo senza articolare una motivazione sufficientemente sviluppata, ma con un risultato decisamente condivisibile.

La questione giuridica e la relativa soluzione

Il primo principio enucleato nella pronuncia veronese in commento è di ordine processuale: alla liquidazione controllata va applicato il procedimento unitario in virtù del richiamo dell'art. 65 secondo comma CCII, che richiama l'intero titolo terzo del codice della crisi, dedicato alla disciplina processuale unitaria.

Richiamando il precedente indirizzo formatosi con la legge fallimentare (Cass. 20187/2017), il Tribunale di Verona conclude che l'inesistenza di un vero contraddittorio permette di superare la fissazione di un'udienza, necessaria solo per i procedimenti contenziosi e dunque non per la liquidazione controllata instaurata su istanza del debitore.

Il richiamo al processo unitario consente anche di ovviare all'assenza di una norma che individui un corredo documentale minimo per accedere alla liquidazione controllata negli artt. 268 ss. CCII: l'art. 39, infatti, soccorre per individuare un elenco minimale comune a tutte le procedure, che in realtà appare assai scarno soprattutto perché pensato più per i debitori esercitanti attività di impresa che per le persone fisiche.

Per queste ultime, la pronuncia in esame ne elenca solo cinque: dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, l'elenco dei beni del debitore, l'elenco dei creditori con il loro indirizzo digitale se presente, l'elenco degli atti dispositivi, lo stato di famiglia e le spese necessarie per il sostentamento del nucleo familiare perché non vengano compresi nei beni della liquidazione come previsto dall'art. 268, quarto comma, lett. b).

Si evince dal provvedimento che non tutta la documentazione era stata depositata originariamente: il Tribunale ha però usato il potere generale di interloquire con il ricorrente fissando un termine per l'integrazione documentale originariamente giudicata incompleta pur ravvisando l'assenza di una disposizione corrispondete a quella contenuta nell'art. 9, comma 3-ter l. 3/2012 che lo consentiva espressamente. A riguardo, la pronuncia richiama la disposizione dell'art. 47 quarto comma CCII in materia di concordato preventivo e astrae il principio come norma generale in virtù del noto principio della concorsualità a cerchi concentrici (Cass. 12 aprile 2018/9087).

Il requisito oggettivo del sovraindebitamento, a ben vedere l'unico vero accertamento necessario per aprire la procedura, viene indotto dall'esistenza di un passivo di Euro 150.000 e un attivo costituito da un immobile alienato all'interno di una espropriazione immobiliare con attivo non ancora distribuito per Euro 77.000, oltre alla quota di reddito disponibile per la massa oltre i limiti del sostentamento.

In linea con il diritto vivente in materia di sovraindebitamento e accogliendo i principi della Corte Costituzionale (Corte cost. 10 marzo 2022, n. 65) la pronuncia dichiara espressamente che la cessione del quinto non è opponibile a fortiori nella liquidazione controllata, perché essa prevede uno spossessamento più accentuato, richiamato dalle norme sull'interruzione dei processi (art. 143 CCII) e le norme legate al concorso formale e sostanziale (art. 150-151 CCII): ogni azione individuale è inibita e tutti i crediti si devono accertare all'interno della procedura, sicché i crediti non ancora maturati, come quelli relativi al quinto ceduto, devono essere considerarsi crediti di massa e non del creditore finanziario cessionario di essi.

Il Tribunale di Verona poi fissa una soglia di Euro 1.250 mensili quale limite di sostentamento destinato al debitore già nella sentenza, destinando l'eccedenza alla liquidazione controllata. Per tre anni, poiché l'art. 282 CCII prevede l'esdebitazione di diritto, e dunque automatica dopo il triennio o alla chiusura della liquidazione controllata se precedente.

Ne consegue che dopo questo periodo, il debitore non sarà più tenuto a versare alcunché, ma la procedura potrà eventualmente proseguire per l'esitazione dei beni che non siano stati precedentemente venduti, quali ad esempio l'immobile.

La soluzione che limita l'accesso ai soli beni rientranti nella massa al momento dell'apertura ripete una precisa scelta della direttiva Insolvency: l'art. 21 comma 3 Dir. 1023/2019 impone infatti un limite massimo di tre anni per l'esdebitazione senza rivolgersi all'autorità giudiziaria, e dunque “di diritto”, ma permette al quarto comma di far proseguire la liquidazione per i soli beni già rientrati nella liquidazione al momento dell'apertura del concorso. Dunque, beni da liquidare ma non beni futuri come le quote di reddito destinate ai creditori che maturino successivamente.

Il Tribunale di Genova invece opta per una motivazione molto poco analitica: per quanto qui interessa deduce il sovraindebitamento dall'inesistenza di beni da liquidare e dall'infruttuosità delle esecuzioni, il che presuppone la possibilità di aprire la procedura senza beni, in aperta rottura con gli arresti sulla liquidazione del patrimonio che avevano escluso la possibilità di accedere all'istituto in assenza di attività (si veda a riguardo per esempio Trib. Ferrara, decr., 22 dicembre 2021, in ilcaso.it, con nota critica di LIMITONE).

Osservazioni

Le due pronunce in commento tracciano alcuni sentieri interpretativi che occuperanno le riflessioni sul sovraindebitamento nei prossimi mesi.

Non è infatti difficile prevedere che la liquidazione controllata sarà un istituto killer, capace di fagocitare le ristrutturazioni dei debiti del consumatore e i concordati minori, per le maggiori complessità e le maggiori incertezze che riguardano i due istituti regolatori della crisi da sovraindebitamento.

Soprattutto (ma non esclusivamente) in assenza di beni da liquidare, la duttilità e la quasi totale assenza di presupposti per l'accesso, oltre al minor costo, potrebbero determinare il successo di questo istituto.

La circostanza che il gestore OCC verrà confermato di norma come liquidatore giudiziale, permetterà poi di ridurre le incertezze che riguardano la quota di reddito da destinare ai creditori. Il Tribunale di Verona, peraltro, effettua una lettura estensiva della nuova disciplina. Ed infatti il contenuto della sentenza di apertura della liquidazione controllata è tipizzato dall'art. 270 CCII.

Essa nomina il giudice delegato, il liquidatore confermando l'OCC, ordina il deposito dei bilanci e dell'elenco dei creditori per aggiornarlo, assegna il termine non superiore a sessanta giorni per le insinuazioni al passivo, ordina il rilascio dei beni, dispone l'inserimento della sentenza nell'area web dedicata o la pubblicazione nel registro imprese se si tratta di imprese soggette a iscrizione, oltre alla trascrizione nei pubblici registri.

Non è indicata invece la misura del reddito da dedicare al sostentamento del debitore e della sua famiglia come nel precedente art. 14 quinquies l. 3/2012.

È ben vero che a norma dell'art. 268, comma 4, lett. b) la misura del reddito disponibile per il debitore è indicata dal Tribunale.

Tuttavia, la sede di una simile richiesta deve essere la relazione del gestore e la successiva approvazione del programma di liquidazione, dove devono evidentemente essere confermati i flussi reddituali da dedicare ai creditori.

Una simile soluzione avrebbe anche la funzione di rendere meno incerto l'accesso alla procedura per il debitore che in tal modo potrebbe meglio prevedere le conseguenze dell'apertura del concorso, posto che difficilmente il gestore smentirà le conclusioni evidenziate nella relazione con il successivo programma di liquidazione.

Un altro tema di estremo rilievo è l'apertura della liquidazione controllata senza beni, emersa incidentalmente dalla pronuncia genovese.

Plurimi indici ne impongono l'ammissibilità. Anzitutto, il richiamo all'art. 233 lett. d) in tema di chiusura della procedura ex art. 276 CCII.

L'art. 233 lett. d) in tema di liquidazione giudiziale prevede che la procedura si chiuda quando non possono essere pagate nemmeno in parte le spese di giustizia e le spese in prededuzione. Se dunque non si paga nessuno, nulla è stato liquidato e non c'è alcun attivo. La possibilità di chiusura senza distribuzione, e dunque senza attivo, presuppone l'apertura della procedura

Inoltre, l'art. 268 terzo comma prevede la c.d. eccezione di incapienza. Quando l'istanza viene proposta dal creditore, il debitore può paralizzarla eccependo l'esistenza dei requisiti ex art. 283 CCII per l'apertura della procedura dell'incapiente, depositando anche una relazione del gestore che attesti l'inesistenza di un patrimonio liquidabile e un reddito incapace anche in prospettiva di generare utilità rilevanti per la massa.

Si tratta all'evidenza di un'eccezione in senso proprio e stretto, non sollevabile d'ufficio, non foss'altro perché la relazione del gestore non c'è nell'istanza del creditore (si veda per conferma l'art. 270, secondo comma, lett. b, che esclude la conferma del gestore alla carica di liquidatore nell'istanza del creditore).

Se dunque l'eccezione non viene sollevata, ed è una scelta del debitore, si apre una liquidazione controllata senza beni, perché il giudice non può sollevare d'ufficio l'eccezione di incapienza.

Infine, si pensi a un incapiente immeritevole perché ha generato il suo debito con colpa grave: questi non può accedere all'esdebitazione dell'incapiente.

È forse possibile escluderlo da ogni istituto del codice della crisi? Risponderei che escludere una posizione soggettiva è contraria alla lettera della legge, che all'art. 2 lett. c) impone di assoggettare al sovraidebitamento “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero alla liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedura liquidatorie”.

Si tratta del resto di un codice, che come tale ambisce a regolare con una procedura concorsuale ogni posizione soggettiva, senza escludere anche quella dell'incapiente immeritevole.

Conclusioni

I primi orientamenti in materia di liquidazione controllata delineano una tendenza a interpretare il nuovo mondo con orientamenti sedimentati nella precedente disciplina.

Sarà compito dell'interprete e degli studiosi superare queste vischiosità per permettere al codice della crisi e in particolare alla liquidazione controllata di dispiegare i suoi effetti in un contesto in cui è cambiato tutto: l'istituto diventerà una forma di recupero del credito in molti casi, e solo per questo non si potranno applicare le convinzioni maturate sulla legge 3/2012, dagli atti di frode che non sono più ostativi all'apertura, sino alla mancanza di beni da liquidare.