Addebito di separazione: è possibile in caso di adulterio successivo a un atteggiamento tollerante?
29 Dicembre 2022
Massima
L'atteggiamento tollerante, tenuto da un coniuge nei confronti di una pregressa relazione adulterina dell'altro, non può ritenersi sufficiente di per sé a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione; occorre infatti prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se si siano verificate successive violazioni del dovere di fedeltà e quale sia stata la reazione della parte interessata, in caso di nuove ed ulteriori infedeltà. Il caso
In un giudizio di separazione, la Corte d'appello rigetta la domanda di addebito del marito (dichiarata invece inammissibile dal Tribunale) per violazione del dovere di fedeltà coniugale da parte della moglie. Afferma in buona sostanza che la tolleranza maritale nei confronti di una relazione extraconiugale intrapresa dalla consorte anni prima sarebbe stata indice di una crisi in atto da tempo, sì da privare di rilevanza altre dedotte relazioni sopravvenute.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso del marito e rinvia al giudice di merito per una nuova valutazione della fattispecie.
La questione
Se un coniuge perdona l'infedeltà dell'altro, deve ritenersi che la coppia sia irreversibilmente in crisi? Successive nuove relazioni extraconiugali possono legittimare una domanda di addebito della separazione? Le soluzioni giuridiche
Come noto, l'addebito rappresenta l'oggetto di una declaratoria solo eventuale della sentenza di separazione personale. Si tratta, in buona sostanza, di una sanzione (di derivazione dalla colpa, che prima del 1975 poteva essa sola legittimare la richiesta di separazione giudiziale).
L'addebito punisce il coniuge che abbia determinato la crisi della coppia, con un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, come si esprime l'art. 151 comma 2 c.c. Per effetto dell'addebito, il coniuge “colpevole” non matura il diritto all'eventuale mantenimento, potendo al più beneficiare di un assegno di natura alimentare, nella ricorrenza dei presupposti; perde inoltre lo stato di erede legittimario del coniuge e, dopo la morte di lui, può ambire ad un assegno vitalizio, solo se titolare di alimenti.
Per la declaratoria di addebito non è sufficiente la prova di una condotta contrastante con quanto prevede l'art. 143 c.c.; occorre infatti dimostrare anche che la crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento del coniuge “colpevole”. Si è così formata una giurisprudenza consolidata in tema di onus probandi: colui che introduce in causa una domanda di addebito, deve fornire la prova della condotta antidoverosa dell'altro e del nesso di causalità tra essa e l'alterazione di un ménage familiare in precedenza sereno e appagante; grava, invece, su colui, che contesta quella domanda, dimostrare la preesistente anteriorità della crisi coniugale. In questo contesto, sono sempre più vive le discussioni relative all'ammissibilità della produzione in giudizio di videoregistrazioni o di immagini, ovvero di file audio con conversazioni tra genitori, figli o terzi (Cfr. Trib. Roma 17 maggio 2017, in Foro it. 2016,6,I, 2066; in dottrina, FILAURO, Le prove digitali nei procedimenti della crisi coniugale: basi normative e prassi giurisprudenziali a confronto, in IUS Famiglie (IUS.giuffrefl.it).
I medesimi principi devono valere anche qualora la richiesta di addebito sia fondata sulla violazione del dovere di fedeltà, di regola ritenuta idonea a giustificare l'addebito della separazione al coniuge “fedifrago”, salvo venga accertato che, nel caso concreto, l'infedeltà si sia manifestata in una situazione di deterioramento dei rapporti in atto, con una convivenza già ritenuta intollerabile dalle parti (Cass. 6 aprile 2022, n. 11130).
Si afferma all'uopo sovente che detta violazione rappresenterebbe un vulnus particolarmente grave nella vita coniugale, di regola sufficiente a giustificare l'addebito della separazione, salvo che dall'istruttoria risulti che l'infedeltà non abbia costituito la causa efficiente della crisi di coppia (Trib. Benevento 3 maggio 2022, n. 1035, ined.).
Sulla base di tali premesse, la pronuncia in commento cassa parzialmente la sentenza impugnata, secondo cui la tolleranza manifestata dal marito nei confronti di una pregressa relazione extraconiugale della moglie avrebbe avuto una sorta di efficacia estensiva su eventuali relazioni successive, anche ove le stesse fossero state comprovate. “Perdonare” un tradimento non impedisce, in altri termini, di lamentarsi di altri successivi, là dove il consorzio coniugale sia stato medio tempore ripristinato.
La Cassazione pertanto censura la sentenza impugnata, osservando che “soltanto ove fosse risultato che a seguito della cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l'uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l'affectio coniugalis”.
L'accertamento in concreto dei presupposti o meno dell'addebito della separazione risulta vieppiù importante nel caso di specie, in quanto la Suprema Corte, escluso l'assorbimento dell'ulteriore motivo dedotto dal ricorrente in ordine alla quantificazione dell'assegno di mantenimento, lo rigetta. L'assegno, liquidato nell'ingente somma di Euro 60.000 mensili, risulta infatti giustificato dalla sussistenza di una notevole sperequazione economica tra i coniugi e dell'impossibilità per la moglie, con i propri mezzi, di conservare l'elevato tenore di vita, goduto durante la convivenza coniugale. Osservazioni
Da tempo si discute sull'opportunità di mantenere nell'ordinamento l'addebito della separazione personale.
In oggi esso ha infatti perso gran parte del suo originario significato, già solo in conseguenza delle modifiche normative. Per effetto della l. n. 55 del 2015, che ha disposto la riduzione del pregresso termine triennale di separazione per richiedere il divorzio, si sono affievolite le aspettative ereditarie del coniuge separato, ben consapevole che, una volta sciolto il matrimonio, verrà comunque meno la chiamata alla successione quale erede legittimario. Nel contempo, la nuova esegesi dell'art. 5 l. 898/1970, operata dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 18287 del 2018, consente anche al coniuge separato, cui sia stata addebitata la separazione, di beneficiare di un possibile assegno divorzile, sia nella sua componente assistenziale, sia in quella perequativa e compensativa, essendo sempre più netta la distinzione, anche funzionale, tra l'assegno di mantenimento e quello divorzile. Le “ragioni della decisione” (ossia, di regola, le motivazioni della pronuncia di separazione) rappresentano uno dei criteri equiordinati di cui all'art. 5 cit. ai fini dell'an e del quantum dell'assegno.
L'addebito della separazione non potrebbe pertanto escludere l'assegno divorzile quando il coniuge, pur responsabile della crisi del matrimonio, sia privo dell'autosufficienza economica, ovvero abbia contribuito alla formazione del patrimonio dell'altro, sacrificando legittime personali aspettative in nome di un progetto familiare condiviso.
Un approccio moderno al tema della crisi familiare impegna poi la classe forense alla ricerca di soluzioni condivise, sì da evitare il deflagrare della conflittualità in annose controversie, vieppiù nocive in presenza di figli. Si sono così ridotti i numeri delle separazioni giudiziali e, soprattutto, delle separazioni con addebito, spesso connotate da istruttore defatiganti e dolorose. Del resto, la stessa riforma del rito, operata con il d.lgs 149/2022 e con la l. 206/2021 incentiva la negoziazione assistita, nel più ampio contesto delle c.d. a.d.r., come pure il ricorso a tecniche deflattive del conflitto, come la mediazione.
Da diversi anni a questa parte poi hanno fatto irruzione nel campo delle relazioni familiari le regole della responsabilità civile. All'interno della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. è stata elaborata la figura dell'illecito endofamiliare, che dà luogo alla risarcibilità dei danni conseguenti alla violazione dei doveri legali derivanti dal matrimonio (oltre che dalla filiazione). Opportunamente si è affermata l'autonomia del rimedio risarcitorio rispetto all'addebito, che non rappresenta un presupposto per la domanda di danni (Cass. 19 novembre 2020, n. 26383; Cass. 7 marzo 2019, n.6598) come invece affermato da una parte, se pur minoritaria, della giurisprudenza, specie di merito (Trib. Reggio Emilia 24 giugno 2020, n. 558, ined.; Trib. Catania 25 giugno 2015, in IUS Famiglie (IUS.giuffrefl.it).
Nel contempo, è mutata la società e con essa si sono trasformate le stesse dinamiche familiari. In oggi, ciò che rende maggiormente intollerabile la prosecuzione della convivenza non è più il “classico” adulterio, bensì la violenza nelle varie ed odiose forme in cui essa si manifesta (fisica, psicologica, economica, ecc.) e che assai spesso si riverbera sui figli (sotto forma di violenza assistita), anche quando non gli stessi non ne sono soggetti direttamente passivi (Cass. 24 ottobre 2022, n.31351).
Ritornando alla pronuncia in esame, pregevole è il richiamo operato dalla Cassazione ad un accertamento concreto dell'incidenza sulla vita di coppia di quei comportamenti contrastanti con i doveri di cui all'art. 143 c.c. e, più in generale, dei doveri di rispetto della persona del coniuge, al di là di presunzioni o di valutazioni astratte. L'addebito, come già si è visto, presuppone la configurabilità di un nesso di casualità tra crisi di coppia e condotta “eccentrica” di un uno dei coniugi.
Addirittura, altra decisione del Supremo Collegio ha affermato che la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge (Cass. 14 maggio 2022, n. 16822; conf. Cass. 17 marzo 2022, n. 8750; Cass. 12 aprile 2013, n. 3929). |