La “residenza abituale” del minore quale presupposto per la configurazione della fattispecie di sottrazione internazionale

Giuseppina Pizzolante
30 Dicembre 2022

La prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al decreto n. 635/2022 con cui il Tribunale per i minorenni di Sassari, nel quadro di un procedimento per sottrazione internazionale avviato in forza dell'articolo 7, l. n. 64/1994 di ratifica della Convenzione dell'Aja, ha disposto il ritorno immediato in Spagna di un minore, nato da una cittadina italiana e da un cittadino spagnolo.
Massima

Ai fini della individuazione della “residenza abituale” del minore, quale presupposto per la configurazione della fattispecie di sottrazione internazionale, occorre apprezzare l'ambiente sociale e familiare da cui il minore dipende, valutando, al momento in cui è adito il giudice, sia le condizioni e i motivi del soggiorno della madre nel territorio di uno Stato membro da cui si è successivamente trasferita con il minore con essa convivente, sia le relazioni familiari e sociali effettivamente intrattenute nel medesimo Stato.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni di Sassari, nel quadro di un procedimento per sottrazione internazionale, avviato in forza dell'art. 7, l. n. 64/1994 di ratifica della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ha disposto il ritorno immediato in Spagna di un minore che, dopo la rottura dell'unione sentimentale dei genitori, una cittadina italiana e un cittadino spagnolo, in data 30 novembre 2021, è stato condotto in Sardegna senza il consenso del padre. Con riguardo al requisito, stabilito dalla predetta Convenzione, della residenza abituale del minore prima del suo trasferimento o del mancato rientro, secondo i giudici di merito, emerge che il minore è nato in Spagna ove ha continuato a vivere anche dopo la separazione dei genitori e che il padre ha frequentato concretamente e con regolarità il minore esercitando anche effettivamente il suo il diritto di affidamento. Secondo gli stessi giudici rileva altresì la circostanza che, sebbene il minore viva in Italia in un contesto familiare adeguato, non sono ravvisabili ostacoli al suo rientro in Spagna ai sensi dell'articolo 13, lettera b) della Convenzione citata, tra i quali pericoli fisici e psichici, e che la donna, nell'attesa che si definiscano in via giudiziaria i presupposti della residenza abituale del minore, potrebbe liberamente decidere di fare ritorno in Spagna per soggiornarvi insieme al figlio, avendo ivi ricevuto anche diverse offerte di lavoro.

La questione

Avverso il decreto, la ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 della Convenzione dell'Aja del 1980, in relazione alla qualificazione di “residenza abituale” e di “esercizio effettivo” del diritto di affidamento. Con il secondo motivo, si contesta il vizio motivazionale, per omesso esame di fatto storico decisivo, avendo il minore vissuto in Spagna solo per i primi tre mesi di vita, poiché, dal novembre 2021, egli vive in Italia in una casa di proprietà della madre e ha relazioni affettive con i nonni materni e per motivazione apparente ed illogica, in punto di esclusione di grave pregiudizio del minore conseguente alla separazione dalla madre che per rientrare in Spagna dovrebbe abbandonare casa e lavoro in Sardegna. Infine, con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 13 della Convenzione dell'Aja, in relazione al fondato rischio per il minore di trovarsi, nella ipotesi di ritorno in Spagna, in un luogo privo di riferimenti, tra persone sconosciute che non parlano la sua lingua e senza la madre.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, richiamando importanti precedenti – da ultimo Cass., sent. 26 marzo 2015, n. 6132 e Cass. 7 febbraio 2017, n. 3192 – ha cura di precisare che l'accertamento della residenza abituale del minore è requisito riservato all'apprezzamento del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. Tuttavia, secondo i giudici supremi, l'integrazione del minore ai fini della valutazione della residenza abituale, è stata esaminata dalla Corte di merito senza la debita considerazione della tenera età del minore. Rilievo in particolare andava concesso alla mancanza di rapporti del minore e della madre con il paese paterno. La donna difatti si è trasferita in Spagna per motivi di studio ma in questo Paese non si è mai stabilita né ha mai lavorato. L'unione sentimentale è durata, con varie interruzioni, per circa due anni e la donna ha partorito in Spagna solo a seguito di una nascita prematura. La stessa ricorrente ha convissuto solo un mese con il padre del bambino nella casa della nonna materna poiché, terminata l'unione sentimentale, sino al rientro in Italia, ha dimorato con il minore in un appartamento in locazione.

I parametri testé citati ed individuati dalla Suprema Corte sono stati del tutto trascurati dal Tribunale di merito che ha invece esclusivamente valorizzato il luogo di nascita ed i contatti regolari del minore con l'altro genitore nei pochi mesi trascorsi in Spagna. Questi ultimi criteri si distinguono per la loro neutralità in quanto non realizzano rapporti particolarmente significativi del minore con l'ambiente circostante.

La Corte di Cassazione, dunque, accogliendo i primi due motivi del ricorso, risultando assorbito il terzo, ha cassato il decreto impugnato, con rinvio al Tribunale per i minorenni di Sassari in diversa composizione.

Osservazioni

La sentenza della Corte di Cassazione in commento, muovendo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, chiarisce alcuni importanti profili interpretativi in relazione alla nozione di residenza abituale che, come è noto, nella legislazione dell'Unione europea, oltre ad essere titolo di giurisdizione e criterio di collegamento in materia di diritto internazionale privato della famiglia e degli status personali, è presupposto per integrare la fattispecie di sottrazione internazionale.

La Suprema Corte sottolinea l'importanza dell'età del minore poiché un fanciullo, nei primi mesi di vita, affidato alle cure materne in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede il padre, “dipende” da un determinato ambiente sociale e familiare e da una specifica cerchia di persone. La valutazione globale relativa allo svolgimento della vita familiare comprende la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nello Stato membro pertinente dovendosi valutare se un soggiorno simile denoti una apprezzabile integrazione del genitore rispetto ad un ambiente condiviso con il minore.

La Cassazione ha così chiarito che non è sufficiente essere nati e aver vissuto qualche mese nello Stato membro dove vive il padre perché tale Stato assurga automaticamente a luogo di residenza abituale. D'altro canto, la CGUE, nella sentenza del 22 dicembre 2010, C-497/10 PPU, Mercred, ha statuito che l'età del minore può essere presa in considerazione sia nell'ambito dell'esame della perdita della residenza abituale sia in quello dell'acquisizione di una nuova residenza abituale e, poiché un bambino molto piccolo è particolarmente dipendente dalla madre, la quale rappresenta il suo “orizzonte di vita”, il desiderio di quest'ultima di lasciare uno Stato membro per stabilirsi o reinsediarsi in un altro Stato membro è un fattore cruciale per valutare la perdita della residenza abituale del figlio. La giovane età del minore determina, del resto, che le condizioni per l'integrazione nel nuovo ambiente familiare e sociale vengano soddisfatte molto rapidamente.

Nella sentenza dell'8 giugno 2017, C-111/17 PPU, OL, la Corte UE, oltre a ribadire che la “residenza abituale” deve essere stabilita sulla base di tutte le circostanze specifiche del caso, tenendo conto della presenza fisica e di altri fattori, quale l'ambiente circostante, ha fornito quattro indicazioni per giungere a questa conclusione. In primo luogo, ha affermato che la residenza abituale è una questione di fatto; in secondo luogo, ha osservato che la determinazione della residenza abituale precede l'accertamento dei diritti di affidamento. In terzo luogo, la Corte ha ritenuto che l'intenzione genitoriale quale fattore determinante per qualificare la residenza abituale sarebbe dannosa per l'efficacia e la rapidità del procedimento di ritorno, apparendo anche contrario, in quarto luogo, all'obiettivo della Convenzione dell'Aja di ripristinare lo status quo ante.

La residenza abituale è da tempo un criterio consolidato nel diritto internazionale privato e processuale civile internazionale, tuttavia il suo impiego nell'ambito del diritto europeo della famiglia, negli ultimi anni, si è fortemente moltiplicato e diversificato creando nuove problematiche interpretative e applicative. Sebbene il diritto derivato dell'Unione europea non contenga alcuna definizione del criterio, alla luce della prassi e della giurisprudenza rilevanti, possiamo ricostruire alcuni termini di riferimento: la residenza abituale va descritta come il centro effettivo della vita privata e familiare; i fattori rilevanti per accertarne i presupposti sono, nell'ordine, la presenza fisica di una certa durata, l'integrazione nell'ambiente sociale, l'intenzione di risiedere.

A proposito di queste indicazioni, due considerazioni appaiono rilevanti. La durata della presenza, l'integrazione sociale e l'intenzione di risiedere sono requisiti non affatto isolati e dunque il difetto di un criterio potrebbe, in una certa misura, essere compensato dall'eccesso di un altro. Inoltre, in presenza di un minore questi requisiti vanno interpretati per il tramite del genitore con cui lo stesso minore prevalentemente risiede ma anche rispetto al suo superiore interesse. Ad esempio, nella vicenda in esame, il rientro potenziale del minore nello Stato membro di prima residenza andava bilanciato con la separazione dalla madre alla luce in particolare del principio del suo superiore interesse.

La nozione di residenza abituale è certamente vincolata ad un'interpretazione autonoma, indipendente dalle qualificazioni nazionali, ma una domanda che potremmo porci in questa sede è se, ed in che misura, tale interpretazione sia mutuabile dagli altri atti UE citati. Esaminando l'approccio giurisprudenziale, possiamo affermare che il criterio è applicato in modo pragmatico ed è frequente ritrovare richiami interpretativi operati ad altre fonti specie laddove si verta sempre in tema di diritto di famiglia. Le osservazioni che precedono, emerse dal commento alla sentenza della Suprema Corte, dimostrano comunque la necessità, sia al livello di esame dei fatti sia al livello di apprezzamento, di adoperare un metodo al contempo aperto e specifico laddove la “residenza abituale” divenga presupposto per la configurazione della fattispecie di sottrazione internazionale, tenendo nella dovuta considerazione le potenziali interdipendenze con altri individui, il ruolo di intermediazione svolto dal genitore, il principio del superiore interesse del minore, nonché i fattori applicabili – anche eccezionali – in grado di definire a seconda dei casi un'interpretazione estensiva o restrittiva.

Riferimenti

K. Hilbig-Lugani, ‘Habitual Residence' in European Family Law. The Diversity, Coherence and Transparency of a Challenging Notion, in Family Law and Culture in Europe Developments, Challenges and Opportunities, Intersentia, 2014, 249-262.