Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici

Sergio Perongini
02 Gennaio 2023

Il presente scritto costituisce la rielaborazione, con l'aggiunta di note essenziali, della relazione svolta al Convegno “Il contenzioso in materia di contratti pubblici ed appalti nel quadro di un'analisi socio-giuridica”, organizzato dall'Ufficio studi e formazione della Giustizia Amministrativa, in collaborazione con il TAR per l'Emilia Romagna e la Spisa – Università di Bologna, svoltosi il 14 e il 15 dicembre 2022 in Bologna. Il lavoro è dedicato al prof. FILIPPO SALVIA, gentiluomo siciliano.
Premessa

Il tema che mi è stato assegnato (1) va declinato alla luce delle novità presenti nello schema definitivo di Codice dei contratti pubblici, diversamente saremmo costretti a parlare di un passato destinato ad allontanarsi sempre più velocemente.

Lo schema definitivo non si limita ad apportare aggiustamenti e correttivi, ma innova radicalmente l'impostazione di fondo del codice dei contratti pubblici, prospettando un sistema ispirato a principi nuovi, frutto di una competenza non comune in tema di contratti pubblici, maturata dai giudici del Consiglio di Stato.

Quanto detto è reso evidente dalla parte prima dello schema definitivo, che presenta – al titolo primo – ben dodici articoli dedicati ai principi generali. Sono tutti principi importantissimi e palesemente innovativi. Importantissimo è il principio del risultato, la cui codificazione rappresenta una novità indiscussa e coraggiosa.

Non che il principio del risultato non serpeggiasse già in alcune disposizioni del codice pregresso, come per esempio la disciplina in tema di tutela cautelare relativa ai contratti pubblici, oppure quella concernente il soccorso istruttorio della stazione appaltante (2).

L'art. 1 dello schema definitivo riconosce in maniera esplicita il principio del risultato e gli conferisce il ruolo di stella polare che deve guidare l'interprete alla scoperta del nuovo impianto normativo (3).

Ruolo e connotazione del principio del risultato

Il principio del risultato riveste un ruolo centrale o di primazia nell'impianto complessivo dello schema definitivo del codice, perché occupa il suo primo articolo; perché rientra fra quei primi tre articoli che pongono i principi che presiedono alla interpretazione e all'applicazione di tutte le altre disposizioni del codice, ai sensi dell'art. 4; perché possiede una particolare rilevanza nella definizione della concorrenza; perché costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale per l'individuazione della regola nel caso concreto (comma 4) (4).

Il principio del risultato proietta la sua ombra sul principio della concorrenza e piega la concorrenza all'esigenza di conseguire un esito rappresentato da un risultato ottimale.

Detto asservimento è confermato dall'attenzione prestata al conseguimento del risultato nella fase esecutiva. L'esigenza che la concorrenza venga rispettata anche nella fase esecutiva implica la marcata finalizzazione della concorrenza al risultato, vale a dire alla realizzazione dell'opera pubblica, all'espletamento del servizio, al conseguimento della fornitura.

Detta finalizzazione si concreta attraverso due elementi: il miglior rapporto possibile tra qualità prezzo; la tempestività.

Il risultato non è un principio

Invero, il risultato tecnicamente non è un principio. Il risultato, nella sua dimensione ontologica, non è un principio. Non siamo di fronte a un interesse (quello del risultato) che costituisce il fondamento di un diritto, come per esempio il diritto alla salute, il diritto di associarsi liberamente, il diritto di parola, il diritto alla libertà personale ecc.

Naturalmente tale affermazione dipende dalla nozione di risultato (5) che si accolga e da quella di principio.

Anche i principi appartengono alle fonti del diritto e la loro attuazione concerne il processo di produzione giuridica. Tuttavia, i principi giuridici si distinguono dalle regole. Le regole – come è noto – sono norme idonee a guidare il comportamento umano. Invece, i principi presentano una fattispecie generica e inclusiva e una statuizione nella quale viene indicato l'obbiettivo da perseguire. La loro applicazione non è diretta. La loro applicazione implica la deduzione da essi, sulla scorta di un'attività ermeneutica, di una regola da applicare al caso concreto. Applicare un principio non significa risolvere un caso, sussumere un caso in una fattispecie astratta, bensì formulare una regola sulla scorta della quale risolvere il caso sottoposto all'interprete.

Appare evidente la distanza concettuale fra risultato e principio.

Tuttavia, quanto detto non mette in discussione la scelta effettuata nello schema definitivo. Cercherò di essere più esplicito.

L'elaborazione dogmatica del risultato

Nella norma in esame vi è l'eco delle discussioni sul tema dell'amministrazione di risultato, che dopo aver calcato il palcoscenico con il ruolo di protagonista, sembra essere stata relegata al ruolo di comparsa.

Quel dibattito conserva tutta la sua validità e il suo rilevante interesse.

Come è noto, il tema dell'amministrazione di risultato, o di risultati o per risultati – secondo le diverse terminologie utilizzate – ha occupato una stagione particolarmente feconda del dibattito scientifico. Al tema vennero dedicati importanti studi, alcuni dei quali - chi più, chi meno - in chiave critica, e un convegno a Palermo nel 2003 (6), intitolato “Principio di legalità e amministrazione di risultati”, al quale parteciparono i più autorevoli studiosi del diritto amministrativo (7).

Sono state prospettate diverse ricostruzioni dogmatiche della nozione di risultato.

Il risultato, di volta in volta, è stato configurato in termini aziendalistici, o come soddisfazione materiale della pretesa del cittadino, o come economicità del valore della pretesa del cittadino, o come soddisfazione delle pretese giuridicamente fondate, o come presa in considerazione di tutti gli interessi in gioco.

In un tentativo ricostruttivo più articolato, si è sostenuto che il risultato - già considerato dalla legge che attribuisce a un centro di competenza l'esercizio di un potere amministrativo, in vista della produzione di un effetto tipizzato dalla stessa disposizione legislativa, pertanto parte integrante della norma - sia il conseguimento di un determinato assetto degli interessi in gioco, che a seguito dell'esercizio del potere amministrativo assurga da generico bene della vita a bene giuridicamente rilevante.

A quel dibattito oggi si rimprovera di non aver saputo formulare una visione di insieme del risultato amministrativo e nell'aver lasciato in una condizione di incertezza diversi aspetti fondamentali della nozione stessa, inducendo alcuni a formulare una prognosi di declino culturale della nozione di amministrazione di risultato, soppiantata da diversi ordini concettuali e da differenti esigenze legislative.

Probabilmente, i giudizi radicalmente negativi sono un po' eccessivi.

Tuttavia, in merito alle tesi sopra richiamate vanno formulate due osservazioni.

Innanzi tutto, l'obbligo di ponderazione degli interessi pubblici secondari e, soprattutto, l'obbligo di ponderazione degli interessi privati - che risultano oggettivamente rilevanti nella determinazione delle premesse di fatto all'esercizio del potere - non possono essere propriamente considerati, in quanto tali, come altrettanti fini dell'azione amministrativa. Piuttosto, essi sono adempimenti necessari nella concreta determinazione della fattispecie astratta. Tali interessi non sono da considerare come altrettanti fini da perseguire, ma come elementi coadiuvanti nell'opera di determinazione concreta dell'interesse pubblico primario di gianniniana memoria.

In secondo luogo, la dottrina sembra trascurare quegli ambiti di valutazione flessibile che caratterizzano l'esercizio di un potere insindacabile di scelta (discrezionalità), ambiti di valutazione flessibile che non consentono, proprio in ragione di una loro flessibilità, “una visione di insieme del risultato amministrativo”. Infatti, qui non si tratta di teorizzare un “determinato assetto degli interessi in gioco” da considerare come “generico bene della vita”, ma di applicare di volta in volta una serie articolata di principi fra i quali merita annoverare il principio di proporzionalità (8), con particolare riferimento al suo secondo test della “necessarietà” in base al quale, a equivalenza di risultato, l'amministrazione deve decidere col minor sacrificio possibile dei titolari di diritti e di interessi giuridicamente rilevanti: un risultato che trova emblematicamente nella concorrenza una eccellente condizione di scelta proporzionata relativa ad ogni specifica circostanza riferibile alla decisione amministrativa.

Le ragioni che dettero vita a quella discussione rimangono ancora tutte sparse e abbandonate sul tappeto (9). Fatto è che la nozione di “risultato amministrativo” ha natura relazionale, è un concetto che muta con il modificarsi del termine di riferimento e dell'iter dal quale scaturisce, di cui lo stesso costituisce, appunto, risultato. Tutto può essere risultato di qualche cosa: è nella logica del nesso di causalità.

Tuttavia, se si vuole attribuire al “risultato amministrativo” un significato autonomo, un connotato specifico, e coglierne il pregnante valore che esso possiede, la via da seguire è un'altra. Il tentativo di elaborare una nozione dogmatica di risultato amministrativo, inteso come bene o servizio attribuito o spettante a ogni entità soggettiva, indurrà a configurarlo come l'esito dell'azione amministrativa, come il conseguimento dell'obbiettivo prefigurato dalla legge o dalla stessa amministrazione, rispetto a una tipologia particolare di azione amministrativa.

Detta ricostruzione ricalca perfettamente quanto previsto dall'art. 1 dello schema definitivo.

Il risultato configurato dall'art. 1 è l'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera pubblica, all'espletamento del servizio, al conseguimento della fornitura

Lo schema definitivo non richiama il principio del risultato in una accezione generica e indefinita, ma lo utilizza con una dimensione specifica e particolarissima.

Innanzi tutto, come ben messo in evidenza, il campo va sgomberato da quelle letture del risultato che ne valorizzano esclusivamente il riferimento alla rapidità nella esecuzione dei lavori o al conseguimento del bene e del servizio (10). A tal fine, si è evidenziato che precludono o temperano le letture “efficientiste” della norma l'espresso richiamo alla “qualità”, al rispetto dei principi di “legalità, trasparenza e concorrenza”, alla finalizzazione del principio del risultato all'interesse della comunità e al raggiungimento degli obbiettivi dell'Unione Europea (11). Queste ultime costituiscono declinazioni del risultato che ostano alla sua configurazione nei limitati termini di accelerazione e rapidità dei tempi della dinamica contrattuale.

Lo schema definitivo, inoltre, fa riferimento al “risultato dell'affidamento del contratto” e al “risultato della esecuzione del contratto”, caricando questi due elementi con due finalità specifiche, rappresentate dalla massima tempestività e dal miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo.

I due elementi di cui sopra non posseggono una connotazione meramente formale. Il risultato dell'affidamento del contratto non è un esito formale o meramente strumentale, al contrario esso possiede un contenuto sostanziale rilevantissimo, per le seguenti due ragioni.

Innanzitutto, perché il risultato dell'affidamento del contratto si concreta con la stipula di un contratto con un contenuto ben definito, rappresentato oltre che dalla tempestività dell'affidamento, anche dalla necessità di perseguire il “miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo”.

In secondo luogo, perché l'affidamento del contratto è funzionale alla esecuzione dell'opera pubblica, all'espletamento del servizio o al conseguimento della fornitura e, pertanto, alla realizzazione dell'interesse pubblico (12).

Proprio il “risultato della esecuzione del contratto” configura questo elemento in termini sostanziali. Invero, l'esecuzione del contratto deve avvenire, anch'essa, tempestivamente e perseguendo il miglior rapporto tra qualità e prezzo. Orbene, il risultato dell'esecuzione del contratto significa che il legislatore individua il risultato nella realizzazione dell'opera pubblica, nell'espletamento del servizio o nel conseguimento della fornitura.

In altri termini, il “risultato della esecuzione del contratto” – secondo l'impianto dello schema definitivo - altro non è che l'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera pubblica, all'espletamento del servizio, al conseguimento della fornitura. La realizzazione dell'opera pubblica, l'espletamento del servizio e il conseguimento della fornitura – vale a dire, il risultato – diventano elementi della fattispecie normativa, sono inglobati nella norma. Il risultato diventa elemento della fattispecie normativa.

In tal modo la distonia fra risultato e principio di legalità appare definitivamente superata.

L'art. 1 conferisce al risultato la morfologia di principio generale

L'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera pubblica, all'espletamento del servizio, al conseguimento della fornitura assume la veste di principio e, in tal modo, viene imposto come parametro che presiede alla interpretazione e all'applicazione di tutte le altre disposizioni del codice, ai sensi dell'art. 4, nonché come criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto.

È un ruolo importante e decisamente innovativo.

Naturalmente, si dovrà parlare di principio di tutela del conseguimento del risultato.

Si è in presenza di un richiamo autorevole, opportuno, rivolto a tutti gli operatori del settore dei contratti pubblici, ai magistrati amministrativi ed ordinari, ai pubblici impiegati e ai soggetti economici, in cui il legislatore afferma, a chiare lettere, che tutto l'impianto ordinamentale in materia di contratti pubblici, gli stessi principi di legalità, di trasparenza e di concorrenza non sono fine a se stessi, ma sono funzionali alla realizzazione dell'interesse pubblico che, nel caso di specie, è rappresentato dalla realizzazione dell'opera pubblica, dall'espletamento del servizio e dal conseguimento della fornitura.

Il rapporto fra legalità e risultato

Quanto precede consente di affrontare il rapporto fra il risultato e la legalità. Il tema presenta due profili, il primo è quello volto a verificare se il risultato amministrativo può diventare un elemento della legittimità dell'azione amministrativa; il secondo, invece, è quello volto a verificare se il risultato amministrativo può diventare un parametro di verifica della legittimità dell'azione amministrativa.

Appare opportuno ricordare che una delle preoccupazioni dei critici e degli agnostici rispetto al tema del risultato amministrativo è rappresentata dal rapporto antinomico fra risultato e principio di legalità (13). Il risultato viene concepito come un elemento estraneo al perimetro della legalità.

In realtà, la definizione del rapporto fra risultato e principio di legalità dipende essenzialmente da due cose: innanzi tutto, dalla nozione che si accoglie di “risultato amministrativo” e, in secondo luogo, dal perimetro della legalità (14).

Per quanto concerne il primo profilo, si è evidenziato che il risultato amministrativo rappresenta una connotazione specifica dell'interesse pubblico.

Sotto il secondo aspetto, invece, va evidenziato che è la fattispecie normativa che qualifica come giuridicamente rilevante un fatto e, quindi, il risultato (15). È la fattispecie normativa che può qualificare come giuridicamente rilevante “il perseguimento” del risultato, ma anche “il conseguimento del risultato”, secondo una progressione della qualificazione di rilevanza, che accentua il momento della realizzazione del risultato, alias interesse pubblico.

Inoltre, è sempre la fattispecie normativa che ricollega effetti giuridici al fatto giuridicamente rilevante (16), vale a dire, per quanto ci occupa in questa sede, al “perseguimento” del risultato e anche al “conseguimento del risultato”.

In altri termini, è la fattispecie normativa che - includendo il risultato nel perimetro della legalità - dà la misura della rilevanza giuridica del risultato e della sua efficacia giuridica. È proprio quello che è avvenuto nel caso di specie. L'art. 1 ha inglobato nel perimetro della legalità il risultato amministrativo.

L'antinomia fra risultato e legalità viene risolta – e non avrebbe potuto essere diversamente – dalla legge.

Sulla scorta di quanto precede è possibile rispondere ai due quesiti sopra sollevati.

Innanzi tutto, non c'è alcun contrasto fra principio di legalità e risultato amministrativo, quando la fattispecie normativa conferisce rilevanza giuridica ed efficacia al risultato amministrativo.

In secondo luogo, nella configurazione sopra prospettata il risultato amministrativo diventa un parametro di verifica della legittimità dell'azione amministrativa concretamente posta in essere.

Il sindacato del giudice amministrativo sul risultato, nell'accezione sopra accolta, si esplica da tempo nelle forme dell'eccesso di potere soprattutto per sviamento ogni qual volta l'amministrazione persegua un fine diverso da quello conferitole dalla norma attributiva del potere in parola.

A seguito dell'art. 1 si dovrà solo raffinare la tecnica del sindacato giurisdizionale.

Si apriranno verosimilmente scenari insospettati, che condurranno a una diversa tipologia del sindacato sulla discrezionalità, per lo meno per quanto concerne il codice dei contratti pubblici. In questo settore, è possibile che il sindacato del giudice amministrativo italiano sulla discrezionalità si avvicini al sindacato compiuto dal giudice amministrativo austriaco.

Non ci dovremo meravigliare se – a seguito dell'entrata in vigore del codice dei contratti – dovremo ripensare seriamente la dogmatica della discrezionalità amministrativa.

In definitiva, la scelta normativa, sottesa all'elaborazione dell'art. 1 dello schema definitivo, presenta un carattere innovativo di grande interesse.

Il principio del risultato è un principio che eleva a un ruolo di primazia il principio del perseguimento e della attuazione dell'interesse pubblico all'esecuzione del contratto, vale a dire alla realizzazione dell'opera o al conseguimento del bene o servizio.

Il principio del risultato e il principio di concorrenza

a) Le due più vistose novità presenti nello schema definitivo del codice sono rappresentate dal fatto che il c.d. principio del risultato connota anche il principio della concorrenza e dal fatto che l'art. 1, secondo comma, configura e sancisce la funzione alla quale presiede la concorrenza, per lo meno nel settore dei contratti pubblici.

b) Il principio della concorrenza è un principio portante del sistema giuridico UE (17).

Detto ruolo viene caricato di valori e, in particolare, viene considerato una conseguenza dell'ideologia neoliberale, dominante nei paesi europei. La sua centralità nel sistema giuridico europeo viene ricondotta alla originaria sollecitazione economica che dette avvio all'unione europea.

Invero, la vicenda è un po' più complessa di quella desumibile dalla predetta vulgata e sicuramente non può essere interpretata in maniera manichea (18).

Il mercato è uno dei volti della società (19). Una società democratica, fondata sui valori del costituzionalismo democratico e ispirata da esigenze di tutela sociale, reca in sé la necessità di un libero mercato e di tutela della concorrenza. La concorrenza è un fenomeno insito nel mercato, è un elemento che appartiene all'essenza ontologica del mercato. Un mercato senza alcuna concorrenza non è concepibile, ma qualora ciò si verificasse nella realtà, ci troveremmo in presenza di una dimensione patologica del mercato stesso. La tutela della concorrenza, fra l'altro, ha proprio la finalità di evitare che si formino posizioni di monopolio.

Tuttavia, nello Stato costituzionale di diritto l'esigenza di conseguire determinate finalità sociali può imporre la necessità di contemperare la tutela della concorrenza con altri valori.

Lo schema definitivo al codice dei contratti e la disciplina che esso reca costituiscono la formulazione plastica del contendere dei predetti opposti valori. In definitiva, nella disciplina dei contratti pubblici sono riconoscibili sia spinte concorrenziali, sia spinte anticoncorrenziali, che vivono in un delicato equilibrio.

c) Nello schema definitivo la concorrenza assume, anche essa, la veste di principio, benché ad essa non sia stato riservato un autonomo articolo. Tuttavia, la sua configurazione come principio è innegabile perché nell'art. 1, primo comma, viene richiamato il principio di concorrenza e perché, nel secondo comma, ne vengono specificati connotati e funzioni.

Nello schema definitivo la concorrenza ha una specifica valenza prescrittiva e non ha un ruolo meramente evocativo di norme presenti in altri articolati normativi. A tal proposito, appare evidente il diverso ruolo e la differente funzione che lo schema definitivo ricollega al principio della concorrenza, rispetto all'enunciato laconico presente nell'art. 30 del d.lgs.vo n. 50/2016.

Il principio di concorrenza rinviene nello schema definitivo una connotazione e una efficacia diversa rispetto al trattamento riservatogli dalle disposizioni presenti nelle due precedenti versioni del codice dei contratti. Esso possiede una valenza prescrittiva rinforzata, innanzitutto, perché compare, come già detto, con la veste di principio giuridico e, in secondo luogo, perché ai sensi dell'art. 4 costituisce anche esso un criterio interpretativo e applicativo di tutte le altre disposizioni del codice.

d) L'approccio dogmatico al tema della concorrenza ha investito essenzialmente due profili: a) la natura giuridica e il fondamento della concorrenza; b) la situazione giuridica soggettiva che da essa sorge.

La nozione di concorrenza è stata oggetto di diverse letture e classificazioni, introdotte al fine di lumeggiarne i vari aspetti e i suoi diversi effetti.

Il principio di concorrenza ha ispirato due diverse letture: la prima, finalizzata ad enfatizzare l'esigenza dell'operatore economico di veder tutelati il principio di parità di trattamento e di non discriminazione (20); la seconda, invece, volta a rimarcare l'esigenza dell'amministrazione di scegliere il miglior offerente e di stipulare il contratto al miglior prezzo (21).

Fra le classificazioni riveste particolare interesse, per la sua capacità espressiva, la distinzione che viene fatta fra macro concorrenza e micro concorrenza (22). La predetta classificazione ci consente di comprendere per quale ragione nello schema definitivo di codice la concorrenza costituisca un parametro da bilanciare con altri valori e altri interessi pubblici o privati.

La distinzione in parola attiene alla dimensione della sfera di operatività degli effetti della concorrenza.

La dimensione macro economica della concorrenza consente di individuare nella pubblica amministrazione un agente che opera “nel mercato”, attraverso la disciplina sugli appalti pubblici e la politica di realizzazione di opere pubbliche, di erogazione di servizi e di acquisizione di beni, incidendo con l'azione pubblica sul funzionamento dei mercati (23).

Come è noto, le amministrazioni condizionano i mercati in più modi. Innanzitutto, le amministrazioni possono assumere la veste di produttore diretto di beni e servizi fruibili dai cittadini; inoltre, esse possono offrire l'utilizzo di beni limitati di proprietà pubblica, come il demanio, il patrimonio indisponibile o anche come l'etere; possono sovvenzionare imprese oppure possono regolare, programmare o pianificare determinate attività economiche; infine - che è quello che qui interessa - possono assumere la veste di acquirenti e di utilizzatori di beni e servizi erogati da imprese che operano sul mercato.

In definitiva, le strategie di acquisto delle pubbliche amministrazioni, quando esse operano dal lato della domanda, hanno effetti sulla struttura e sulle dinamiche competitive dei mercati.

Le amministrazioni, attraverso le procedure di aggiudicazione dei contratti, selezionano le imprese in grado di effettuare le prestazioni a condizioni di qualità e prezzo ottimali per la stazione appaltante e ne determinano il successo nel mercato, determinando la crescita di “eccellenze” nazionali.

Il tema è ben noto ed è stato oggetto di quella copiosa letteratura, anche politica, sull'intervento dello Stato e delle amministrazioni nell'economia.

La dimensione micro economica della concorrenza configura le pubbliche amministrazioni come agenti che, rispetto ad un singolo atto di scambio, sollecitano la partecipazione di una pluralità di concorrenti e, quindi, finalizzano la concorrenza “per il mercato”. In tale dimensione le pubbliche amministrazioni operano sul mercato con alcune peculiarità. Innanzi tutto, esse hanno l'obbligo di esperire procedure di evidenza pubblica, a volte articolati in fasi complesse con adempimenti defatiganti. Tali procedure hanno un costo economico e, comunque, incidono negativamente sulla conclusione dei contratti pubblici, concorrendo alla inefficienza dell'azione delle pubbliche amministrazioni per il perseguimento degli interessi pubblici. In secondo luogo, le procedure di evidenza pubblica sono assoggettate a regole speciali che intervengono per perseguire finalità differenti da quelle relative alla individuazione della migliore offerta e del miglior offerente.

Con altra terminologia, si è sostenuto che la concorrenza si presenta in due diverse accezioni: la prima riferita ai rapporti fra i soggetti e la seconda all'assetto dei mercati (24).

e) Si è altresì discusso se il fondamento normativo della concorrenza andasse individuato nella Costituzione (25) e, in particolare, nell'art. 117, comma secondo, oppure se il suo fondamento andasse individuato nel diritto europeo (26). In tal modo si è dato luogo a una discussione (27) che ha lumeggiato un profilo di sicuro interesse, reso tuttavia superfluo dalla rilevanza nel nostro ordinamento delle disposizioni comunitarie che sanciscono il diritto di concorrenza.

f) Infine, di non secondaria importanza è il dibattito accesosi sulla natura della situazione giuridica soggettiva relativa alla concorrenza. Alla tesi che conferisce alla concorrenza natura di diritto soggettivo, si è opposta l'opinione secondo la quale si tratterebbe di un diritto fondamentale e quella secondo la quale si sarebbe in presenza di un interesse legittimo.

Si tratta di temi di sicuro interesse, ma sui quali – in questa sede – non appare opportuno dilungarsi. Appare più proficuo verificare con quali caratteristiche il principio di concorrenza si presenti nello schema definitivo di codice.

Il principio di concorrenza nello schema definitivo

Lo schema definitivo - dopo le affermazioni iniziali sulla rilevanza e sulla efficacia della concorrenza - si rapporta al principio della concorrenza con tre tecniche differenti, che trovano concreta applicazione in diversi istituti giuridici. Nello schema definitivo vi sono disposizioni in cui il principio della concorrenza trova completa ed integrale attuazione; altre che si pongono in netta antitesi con esso; infine, altre ancora che presentano una disciplina, frutto della ricerca di un sapiente equilibrio, in cui il principio della concorrenza è contemperato, dallo stesso legislatore, con altri principi di segno opposto. Naturalmente procederò per esempi.

a) Le norme che attuano il principio di concorrenza. Occorre distinguere fra le norme che attuano il principio di concorrenza e le norme che ne assicurano la tutela.

Le norme che attuano la concorrenza. Fra le disposizioni che costituiscono una completa attuazione del principio di concorrenza, vanno segnalati gli artt. 70 e 71. L'art. 70 disciplina le procedure di scelta del contraente sancendo un rapporto di regola ed eccezione fra le procedure aperte e le procedure negoziate, possibili queste ultime solo nei casi previsti dall'art. 75. In tal modo, la norma formula una opzione esplicita per le procedure di scelta nelle quali è data a tutti gli interessati la possibilità di partecipare. Nella norma ritorna più volte il riferimento al principio di concorrenza.

L'art. 71, dal canto suo, disciplina le procedure aperte delle quali qualsiasi operatore economico interessato può presentare una offerta in risposta ad un avviso di indizione di gara. La possibilità che qualsiasi operatore economico interessato possa formulare una offerta costituisce integrale applicazione del principio della concorrenza.

Anche l'art. 58, che prevede la possibilità di suddividere gli appalti in lotti funzionali, prestazionali o quantitativi, può essere considerato come una norma che attua il principio di concorrenza. L'art. 58 contiene una disposizione che amplia la possibilità di concorrenza nel mercato fra i diversi operatori economici interessati. Inoltre, la norma tutela la concorrenza “nel mercato”, consentendo alle amministrazioni di governare l'ambito economico di riferimento, perseguendo una finalità di politica economica extra contrattuale ed esterna alla procedura di aggiudicazione, rappresentata dal favorire l'ingresso nel mercato delle micro, delle piccole e delle medie imprese.

Le norme che tutelano la concorrenza. Uno strumento particolarmente raffinato di tutela della concorrenza va individuato nelle norme che vietano i cartelli e gli accordi fra gli operatori economici che partecipano alle gare (28). A tal proposito, va richiamato l'art. 95, primo comma, lett. d), - che ha rimodulato l'art. 80 del codice attualmente in vigore – stabilendo che “La stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora ritenga (…) d) sussistere rilevanti indizi tali da far ritenere che le offerte degli operatori economici siano imputabili a un unico centro decisionale a cagione di accordi stipulati con altri operatori economici partecipanti alla stessa gara”.

b) Le norme che limitano il principio di concorrenza. Fra le disposizioni che costituiscono un ostacolo al principio di concorrenza, introducendo istituti che avversano la concorrenza, si possono segnalare alcuni casi particolari.

1) Lo schema definitivo – pur disciplinando all'art. 95 cause di esclusione non automatiche – opta decisamente per un irrigidimento della tassatività delle cause di esclusione. La rigidità delle cause di esclusione sposta l'equilibrio fra i diversi principi in favore di quello della concorrenza.

A proposito, deve rammentarsi – ancora una volta - che la legge delega prescrive, tra i criteri direttivi, la razionalizzazione e la semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l'illecito professionale.

Tuttavia, vi sono anche casi in cui si è in presenza di una limitazione netta della concorrenza privi di giustificazioni razionali.

Per quanto riguarda l'esclusione dell'operatore economico per aver riportato condanne penali definitive per alcune tipologie di reati, nello schema definitivo del nuovo Codice, l'esclusione è prevista anche nel caso di “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.”.

Invero, possono sollevarsi perplessità rispetto alla “definitività” di una condanna di questo tipo.

La direttiva europea 2014/24 si riferisce alla “sentenza definitiva” che, nel nostro ordinamento, dovrebbe intendersi come sentenza di condanna “passata in giudicato”, contenente l'accertamento irrevocabile di reità.

In relazione alla sentenza ai sensi dell'art. 444 c.p.p., la dottrina processual-penalistica ha sottolineato l'assenza di una vera e propria verifica della colpevolezza dell'imputato in un siffatto provvedimento. Inoltre, è consolidato l'orientamento giurisprudenziale per cui la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., non implica un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile.

Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa afferma che quando una norma assume l'esistenza di una condanna penale definitiva come presupposto (più o meno vincolante) per l'adozione di un provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione all'esercizio di determinate facoltà o diritti, vale come sentenza di condanna anche quella emessa a seguito di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.

La formulazione dell'art. 94, primo comma, dello schema definitivo del nuovo Codice ha recepito detta indicazione.

Orbene, fondare il provvedimento espulsivo su una “sentenza di patteggiamento” significa ancorare la mancata ammissione alla gara dell'operatore economico a un provvedimento che non ne accerta la colpevolezza. Ciò sembra porsi in evidente contrasto con il principio di favor partecipationis che sovraintende lo svolgimento delle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Dunque, il riferimento all'art. 444 c.p.p. opera una limitazione della concorrenza che non appare fondata su una motivazione razionale.

2) La procedura ristretta (art. 72), la procedura competitiva con negoziazione (art. 73), il dialogo competitivo (art. 74) e la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando (art. 76) limitano la concorrenza.

Infatti, nella procedura ristretta e nella procedura competitiva con negoziazione solo gli operatori economici invitati dalla stazione appaltante possono presentare l'offerta. Nel dialogo competitivo le stazioni appaltanti organizzano una contrattazione con i soli operatori economici da loro stesse invitati. Nella procedura negoziata senza pubblicazione di un bando le stazioni appaltanti consultano solo quegli operatori economici da loro stesse scelti fra quelli presenti nel mercato.

c) Le norme che bilanciano il principio di concorrenza. Infine, occorre fare riferimento alle norme che introducono una disciplina in cui il principio della concorrenza è contemperato, dallo stesso legislatore, con altri principi di segno opposto.

Lo schema del nuovo Codice, invece, distingue tra “cause di esclusione automatica” e “cause di esclusione non automatica”, le quali presuppongono una valutazione da parte dell'amministrazione.

Lo schema definitivo interviene sulla disciplina delle cause di esclusione per difetto dei requisiti di ordine generale, risolve alcune questioni che avevano creato difficoltà di tipo applicativo; tuttavia, lascia irrisolte alcune problematiche interpretative circa la determinazione delle fattispecie escludenti, già emerse sotto la vigenza dell'art. 80 del Codice dei contratti pubblici attualmente vigente.

L'“esclusione automatica” ricorre in presenza del meccanismo decisionale della stazione appaltante, che si limita a verificare in concreto la sussistenza della causa di esclusione e, in via automatica, deve escludere l'operatore economico, senza ulteriori verifiche legate alla rottura o meno nel caso di specie del rapporto fiduciario.

Nei casi previsti dall'art. 94 dello schema definitivo – rubricato “cause di esclusione automatica” - l'amministrazione deve escludere dalla gara l'operatore economico limitandosi a verificare la sussistenza in concreto delle condizioni previste dalla legge.

Per esempio condanna per appartenenza ad associazioni criminose o a organizzazioni mafiose, di cui agli art. 416 e 416 bis; per corruzione o concussione di cui agli art. 317, 318, 319 ss. c.p.; per delitti di riciclaggio di cui agli art. 648 bis, 648 ter o 648 ter 1.

Anche la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 84, comma 4, d.lgs.vo n. 159/2011, viene considerato come un caso di esclusione automatica.

In queste e in altre ipotesi di esclusione automatica, il legislatore non opera una limitazione del principio di concorrenza, ma bilancia il principio di concorrenza con altri principi, anche eterogenei rispetto alle esigenze sottese alla contrattazione pubblica. L'esclusione degli operatori economici soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa è il frutto del bilanciamento fra il principio di concorrenza ed esigenze penal-preventive di contrasto alla criminalità mafiosa.

Peraltro, esigenze sanzionatorie sono presenti anche rispetto alle esclusioni per condanne per reati di cui agli art. 416 e 416 bis; per corruzione o concussione di cui agli art. 317, 318, 319 ss. c.p.; per delitti di riciclaggio di cui agli art. 648 bis, 648 ter o 648 ter 1.

Sono casi in cui è precluso all'amministrazione qualsiasi tipi di apprezzamento, anche quando ci si trovi di fronte a un operatore affidabile ai limitati fini dell'esecuzione del contratto e anche quando la condanna per i predetti reati sia relativa a fatti lievi.

d) Considerazioni di sintesi sulla disciplina della concorrenza nello schema definitivo

La predetta rassegna sulla disciplina riservata nello schema definitivo alla concorrenza - nonostante i limiti che le derivano dalla sua natura meramente esemplificativa – attesta che la concorrenza è un principio giuridico che tutela, contestualmente, le situazioni giuridiche soggettive degli operatori economici, ma anche le situazioni giuridiche soggettive dell'amministrazione alla realizzazione dell'interesse pubblico, alla individuazione di un operatore affidabile e alla esecuzione del contratto.

Inoltre, la predetta rassegna dimostra che il principio di concorrenza non è un principio “tiranno”, ma un principio che viene contemperato e bilanciato, di volta in volta, con una pluralità di principi, alcuni dei quali estranei alla dimensione contrattuale.

Infine, essa dimostra che il principio di concorrenza può essere piegato alle esigenze della realizzazione del risultato e che è possibile una lettura alternativa, rispetto a quelle sino ad ora formulate sulla funzione della concorrenza. Secondo detta lettura la concorrenza è funzionalizzata alla realizzazione del risultato.

Conclusioni

Sui social e sugli organi di stampa, accanto a giudizi pregevoli, sono stati formulati rilievi critici allo schema del nuovo codice, sostenendo che esso sia incompleto, pieno di vistose contraddizioni, espressione di un giudice amministrativo che aspira a divenire legislatore, a dettare le norme alle quali egli ritiene che le amministrazioni si debbano attenere e a indicare le violazioni che egli ritiene debbano essere sanzionate, con conseguente violazione del principio di divisione dei poteri e alterazione delle regole del gioco.

Ritengo che queste critiche siano infondate e ingiuste. Vi è una profonda differenza fra il giudice amministrativo che decide una controversia e il giudice amministrativo che elabora uno schema normativo, come quello in esame.

Il giudice amministrativo, nel decidere una controversia, è condizionato dalle contingenze del caso, dalla pre-comprensione e da altri fatti accidentali. Invece, quando il giudice amministrativo elabora un progetto di legge è sganciato da tutto ciò e vola alto, proprio per la visione di insieme che ha maturato in sede giurisdizionale, analogamente a quanto è avvenuto per il codice del processo amministrativo, per la disciplina in tema di espropriazione e per quella in materia di edilizia.

A riprova di quanto sostengo vorrei fare un solo esempio: l'interpretazione dell'art. 34 bis, in tema di commissariamento giudiziale. Ad esclusione di una sola sentenza della III sezione del Consiglio di Stato, Tar e Consiglio di Stato hanno sostenuto, in diverse recenti sentenze, che la nomina del commissario giudiziario ai sensi dell'art. 34 bis non consenta alle imprese, attinte da una informativa antimafia, di proseguire i rapporti in corso con la pubblica amministrazione, completando i lavori che le siano stati commissionati a seguito dell'aggiudicazione di un appalto pubblico. Decisioni prese di impulso.

Il giudice amministrativo, in sede di redazione del codice, propone una soluzione diametralmente opposta. Infatti, l'art. 94, secondo comma, ultimo periodo, dello schema definitivo stabilisce, in proposito, che la causa di esclusione di un'impresa per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell'art. 84, quarto comma, d. lgs.vo n. 159/2011, non opera se entro la data dell'aggiudicazione l'impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell'articolo 34 bis del d. lg. cd. “antimafia”.

Naturalmente, sarebbe opportuno che il legislatore completi l'enunciato normativo, includendovi anche il caso in cui l'interdittiva antimafia intervenga nella fase di esecuzione del contratto, evitando che si aprano inutili contrasti interpretativi. In ogni caso, la soluzione della questione giuridica è scontata, proprio facendo applicazione del principio del risultato.

Note

(*) Il lavoro è dedicato al prof. Filippo Salvia, gentiluomo siciliano.

(1) Il presente scritto costituisce la rielaborazione, con l'aggiunta di note essenziali, della relazione svolta al Convegno “Il contenzioso in materia di contratti pubblici ed appalti nel quadro di un'analisi socio-giuridica”, organizzato dall'Ufficio studi e formazione della Giustizia Amministrativa, in collaborazione con il T.a.r. per l'Emilia Romagna e la Spisa – Università di Bologna, svoltosi il 14 e il 15 dicembre 2022 in Bologna.

(2) E. Frediani, Il soccorso istruttorio della stazione appaltante tra fairness contrattuale e logica del risultato economico, in Dir. amm., 2018, 660 ss.; T. Bonetti, La partecipazione strumentale, Bologna, 2022, 166 ss.

(3) Sul tema si veda M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in Giustiziainsieme.it, 21.12.2022.

(4) Su questi profili si veda M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in Giustiziainsieme.it, 21.12.2022.

(5) Sul tema del risultato si vedano L. Iannotta, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall'interesse legittimo al buon diritto, in Dir. proc. amm., II, 1998, 299 ss.; L. Iannotta, Previsioni e realizzazione del risultato nella pubblica amministrazione: dagli interessi ai beni, in Dir. amm., I, 1999, 57 ss.; L. Iannotta, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamento, Milano, 2000, 38 ss.; A. Romano Tassone, Sulla formula “amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di Elio
Casetta, Napoli, 2001, 813 ss.; L. Iannotta, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l'arte di amministrare), in Dir. proc. amm., I, 2005, 1 ss.; A. Romano Tassone, Analisi economica del diritto e “amministrazione di risultato”, in Dir. amm., 1, 2007, 63, ss.; M. Cammelli, Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA, Milano, 2002, 107 ss.; S. Cassese, Presentazione del volume di D. Osborne e T.Gaebler, Dirigere e governare. Una proposta per reinventare la pubblica amministrazione, Milano 1995; R. La Barbera, La previsione degli effetti. Rilevanza giuridica del progetto di provvedimento, Torino, 2001; M.R. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003.

(6) Gli atti del convegno sono pubblicati in M. Immordino – A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, Torino, 2004.

(7) Si vedano i seguenti contributi, tutti pubblicati in M. Immordino – A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, Torino, 2004: A. Romano Tassone, Amministrazione “di risultato”, e provvedimento amministrativo, 1 ss.; M. Immordino, Certezza del diritto e amministrazione di risultato, 15 ss.; F. Merusi, La certezza del risultato nell'amministrazione del mercato, 36 ss.; S. Perongini, Principio di legalità e risultato amministrativo, 39 ss.; E. Picozza, Principio di legalità e risultato amministrativo, ovvero del nuovo diritto pubblico italiano, 51 ss.; M. D'Orsogna, Teoria dell'invalidità e risultato, 57 ss.; V. Cerulli Irelli, Invalidità e risultato, 79 ss.; A. Bartolini, Nullità e risultato, 82 ss.; A. Zito, Il risultato nella teoria dell'azione amministrativa, 87 ss.; G. Corso, Il risultato nella teoria dell'azione amministrativa, 96 ss.; A. Police, Amministrazione di “risultati” e processo amministrativo, 101 ss.; D. Sorace, Sul risultato nel processo amministrativo: i due tipi di interesse legittimo e la loro tutela risarcitoria, 131 ss.; R. La Barbera, Amministrazione di risultati e principio di responsabilità, 140 ss.; I.M. Marino, Responsabilità dell'amministrazione e risultati, 162 ss.; F. De Leonardis, Responsabilità dell'amministrazione e risultati, 166 ss.; M.L. Bassi, Scelte di finanza pubblica e risultati, 192 ss.; V. Caputi Jambrenghi, Scelte di finanza pubblica e risultati, 207 ss.; F. Figorilli, Semplificazione amministrativa e amministrazione di risultato, 210 ss.; M.A. Sandulli, Semplificazione amministrativa e amministrazione di risultati, 230 ss.; S. Cognetti, Procedura amministrativa e amministrazione di risultati, 234 ss.; R. Ferrara, Il procedimento amministrativo visto dal “terzo”, 242 ss.; A. Contieri, Amministrazione consensuale e amministrazione di risultato, 279 ss.; D. D'Orsogna, Una terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione: l'operazione amministrativa, 287 ss.; E. Follieri, Attività liberalizzate e amministrazione di risultati, 295 ss.; M. Cammelli, Attività liberalizzate e amministrazione di risultati, 304 ss.; L. Giani, Regolazione amministrativa e realizzazione del risultato, 307 ss.; C. Celone, Legalità, interpretazione adeguatrice e risultato amministrativo nell'attività di regolazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, 332 ss.; M. Ragusa, Risultati e servizi pubblici, 339 ss.; M.R. Spasiano, Organizzazione e risultato amministrativo, 342 ss.; A. Olmedo Gaya, Estrategia de modernizacìon de las administraciones publicas: responder al cambio con el cambio, 360 ss.; N. Paoloantonio, Controllo di gestione e amministrazione di risultati, 378 ss.; C. Marzuoli, Brevi note in tema di controllo di gestione e amministrazione di risultati, 394 ss.; C. Modica, L'”amministrazione per risultati” nella giurisprudenza amministrativa, 402 ss.; S. Raimondi, L'amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa, 409 ss.; S. Pensabene Lionti, L'amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa, 413 ss.; L. Iannotta, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative, 433 ss.

(8) S. Cognetti, Principio di proporzionalità, Torino, 2011, 64 ss., 202 ss.. Si vedano anche P.M. Vipiana, Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, 1993, 82 ss.; A. Sandulli, La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998; D. Urania Galletta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998, 102 ss.; S. Villamena, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa, Milano, 2008, 89 ss.

(9) Si vedano i recenti contributi di M.R. Spasiano, Nuove riflessioni in tema di amministrazione di risultato, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, V, Napoli, 2020, 4845 ss.; di A. Zito, La Nudge regulation nella teoria giuridica dell'agire amministrativo, Napoli, 2021, 78 ss.

(10) In tal senso si veda M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in Giustiziainsieme.it, 21.12.2022.

(11) M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in Giustiziainsieme.it, 21.12.2022.

(12) Sulla rilevanza dell'esecuzione del contratto anche in tema di concorrenza, cfr., R. Cavallo Perin – G. Racca, La concorrenza nell'esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, 325 ss., 330 ss., 335 ss.

(13) A. Massera, I criteri di economicità, efficacia ed efficienza, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2017, 40 ss.

(14) Gli elementi di base della dinamica giuridica, in sede teorica, vanno individuati nel fatto, nella fattispecie e nel fatto giuridicamente rilevante. La presenza nella dinamica giuridica di tre elementi di base preclude che il loro dinamismo si sviluppi in un unico rapporto. Un rapporto può intercorrere solo fra due estremi, per cui, quando gli estremi sono tre, la configurazione di un unico legame determinerà che uno di essi rimanga estraneo al rapporto. Pertanto, la presenza di tre elementi di base articolerà il dinamismo in una pluralità di rapporti. Secondo una recente prospettazione teorica, sono configurabili due relazioni: la prima, quella di rilevanza giuridica, si instaura fra la fattispecie (una delle due proposizioni di cui si compone la norma) e il fatto materiale; la seconda, quella di efficacia giuridica, si determina fra la statuizione (altra proposizione della norma) e il fatto giuridicamente rilevante. Sul tema si veda F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 2 ss.; S. Perongini, La formula “ora per allora” nel diritto pubblico. II. Il provvedimento amministrativo “ora per allora”, Napoli, 1999, 138 ss.; S. Perongini, Teoria e dogmatica del provvedimento amministrativo, Torino, 2016, 112 ss.

(15) Sulla relazione di rilevanza giuridica si vedano A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, 79, 82, 84, 116; A. Falzea, La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, 26 ss., 35 ss., A. Falzea, Teoria dell'efficacia giuridica, ed. prov., 1951, 3 ss.; A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, 1965, 462 ss., 481 ss., 483 ss.; A. Falzea, Fattispecie e fatto. II. Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, 1967, 941 ss.; A. Falzea, Rilevanza giuridica, in Enc. dir., XL, 1989, 900 ss.. Sulla nozione di rilevanza giuridica si vedano anche A. Trimarco, Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940, 10; R. Scognamiglio, Fatto giuridico e fattispecie complessa (Considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 331, 348 ss.; A. Cataudella, Note sul concetto di fattispecie giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 433 ss.; N. Irti, Rilevanza giuridica, in Jus, 1967, ora in Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984, 3 ss.; F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 2 ss., 46 ss., 49 ss.; S. Perongini, La formula, II., cit., 1999, 139 ss.; S. Perongini, Teoria e dogmatica del provvedimento amministrativo, Torino, 2016, 121 ss.. In particolare, secondo F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 49 ss., 51 ss., la relazione di rilevanza e quella di efficacia non solo assumono un contenuto sostanziale diverso (così come da tempo la dottrina aveva intuito, pur senza offrire una spiegazione plausibile del fenomeno), ma si istaurano tra termini diversi. La relazione di rilevanza intercorre fra la fattispecie e il fatto extragiuridico, consiste nella coincidenza di schemi formali fra norma e fatto, ponendosi il secondo come concreta riproduzione della descrizione normativa. “Rilevanza giuridica è, quindi, il riconoscimento del fatto come formalmente (o morfologicamente) corrispondente alla descrizione normativa (fattispecie)”. La corrispondenza di schemi formali, in cui si esaurisce il rapporto di rilevanza, determina che il fatto extragiuridico assurga a fatto giuridicamente rilevante, “fa sì che la norma rifletta sul fatto carattere giuridico, operandone il riconoscimento formale, e rendendolo sul piano della realtà giuridica concreta”. Il rapporto di efficacia intercorre innanzi tutto tra termini diversi; fra la statuizione normativa (seconda proposizione costitutiva della norma) e il fatto qualificato. Anch'essa consta della corrispondenza formale del secondo termine al primo, ma non si esaurisce in ciò, come per il rapporto di rilevanza; oltre alla conformità, prende rilievo giuridico altresì il momento del conformarsi: in essa la conformità si trova affiancata dalla necessità che tale corrispondenza si produca. Le due figure hanno contenuto diverso; “mentre nel primo caso si ha una giuridicità meramente formale, nel secondo si ha una giuridicità ontologica. (…) il rapporto di rilevanza, esaurendosi nella constatazione della conformità morfologica tra fatto e fattispecie, ha un contenuto meramente informativo (o rilevatore, o descrittivo); il rapporto di efficacia ha invece un contenuto formativo, in quanto, a differenza del primo, interviene a strutturare la realtà qualificata, imprimendole un ordine giuridico”. F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 52.

(16) Sulla relazione di efficacia giuridica A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, 79, 82, 84, 116; A. Falzea, La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, 26 ss., 35 ss.; A. Falzea, Teoria dell'efficacia giuridica, ed. prov., 1951, 3 ss.; A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, 1965, 462 ss., 481 ss., 483 ss.; A. Falzea, Fattispecie e fatto. II. Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, 1967, 941 ss.; A. Falzea, Rilevanza giuridica, in Enc. dir., XL, 1989, 900 ss.; F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 52 ss.; M.S. Giannini, Accertamento diritto costituzionale e amministrativo), in Enc. dir., I, 1958, 219 ss.; G. Corso, L'efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, 37 ss., 46 ss.; P. Virga, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, 334 ss.; E. Casetta, Manuale, cit., 2013, 364 ss.; S. Perongini, La formula “ora per allora” nel diritto pubblico. II. Il provvedimento amministrativo “ora per allora”, Napoli, 1999, 138 ss.; L. De Lucia, Provvedimento amministrativo e diritto dei terzi. Saggio sul diritto amministrativo multipolare, Torino, 2005, 102 ss.; S. Perongini, Teoria e dogmatica del provvedimento amministrativo, Torino, 2016, 124 ss.

(17) Sulla concorrenza si vedano A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007; A. Lolli, Disciplina della concorrenza e diritto amministrativo, Napoli, 2008; M. D'Alberti, La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Dir. amm., 2004, 705 ss.; G. Romano, Commento all'art. 113, in A. Romano – R. Cavallo Perin (a cura di), Commentario breve al testo unico sulle autonomie locali, Padova, 2006, 628 ss.; L. Torchia, Il diritto antitrust di fronte al giudice amministrativo, in Mercato, concorrenza e regole, 3/2013, 1 ss.

(18) Cfr., F. Merusi, Giustizia amministrativa e autorità indipendenti, in Annuario A.I.P.D.A. 2002, Milano, 2003, 176 ss. sul diritto europeo portatore di un principio di concorrenza.

(19) G. Corso, Riflessioni su amministrazione e mercato, in Dir. amm., 2016, 1 ss.

(20) A. Romano, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, 1 ss.; A. Romano, Sono risarcibili: ma perché devono essere interessi legittimi, in Foro it., 1999, I, 3222 ss.. Sul tema cgr., R. Cavallo Perin – G. Racca, La concorrenza nell'esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, 328 ss.

(21) Sulle diverse letture del principio di concorrenza si vedano A. Barone – R. D'Agostino, Modalità di affidamento dei contratti pubblici (artt. 28-34 e artt. 44-58), in E. Follieri (a cura di), Corso sul codice dei contratti pubblici (aggiornato con il d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56), Napoli, 2017, 273 ss., 286 ss.

(22) M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza, in Astrid rassegna, 19/2015, 4 ss.; M. Clarich, Considerazioni sui rapporti tra appalti pubblici e concorrenza nel diritto europeo e nazionale, in Dir. amm., 2016, 71 ss.

(23) Sulla distinzione fra concorrenza per il mercato e concorrenza nel mercato si veda G. Della Cananea, Dalla concorrenza per il mercato alla concorrenza nel mercato: gli appalti pubblici nei servizi di comunicazione elettroniche, in Atti del convegno “Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo degli appalti e delle concessioni”, Firenze, 2005.

(24) F. Trimarchi Banfi, Il “principio di concorrenza”: proprietà e fondamento, in Dir. amm., 2013, 15 ss.

(25) F. Trimarchi Banfi, Il “principio di concorrenza”: proprietà e fondamento, in Dir. amm., 2013, 15 ss.

(26) B. Caravita di Toritto, Il fondamento costituzionale della concorrenza, in Federalismi.it, 2017.

(27) A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007; M. D'Alberti, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2008, 297 ss.; R. Cavallo Perin – G. Racca, La concorrenza nell'esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, 325 ss.; M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza, in Astrid rassegna, 19/2015, 4 ss.; S. Cassese, Il diritto comunitario della concorrenza prevale sul diritto amministrativo nazionale, in Giorn. dir. amm., 2013, 1132 ss.; G. Napolitano, Il diritto della concorrenza svela le ambiguità della regolazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2013, 1138 ss.; M. Clarich, Considerazioni sui rapporti tra appalti pubblici e concorrenza nel diritto europeo e nazionale, in Dir. amm., 2016, 71 ss.; V. Brigante, Fenomeni corruttivi nell'affidamento di commesse pubbliche: la discrezionalità multilivello come soluzione di matrice procedimentale, in Dir. econ., 955 ss., 963 ss.

(28) Cfr., R. Spagnuolo Vigorita, Contratti pubblici e fenomeni anticoncorrenziali: il nuovo codice e le linee guida Anac. Quale tutela?, in Federalismi.it, 17/2017, 2 ss.. Sul tema si vedano anche M. Ramajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Milano, 1998, 338 ss.; G. Viciconte, La protezione multilivello della concorrenza nel settore degli appalti pubblici, in G.F. Cartei (a cura di), in Responsabilità e concorrenza nel settore dei contratti pubblici, Napoli, 2008, 205 ss.; F. Cardarelli, Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici, in M.A. Sandulli – R. De Nictolis – R. Garofoli (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, vol II, 2019, 689 ss.; S. Monzani, L'estensione del divieto di partecipazione ad una medesima gara di imprese controllate o collegate in nome della tutela effettiva della concorrenza, in Foro amm. – C.d.S., 2009, 661 ss.

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