Si può limitare la bigenitorialità solo a fronte di una prova rigorosa del pregiudizio per il minore
04 Gennaio 2023
Massima
Il diritto alla bigenitorialità può subire limitazioni solo all'esito di un rigoroso accertamento del pregiudizio che la relazione con uno dei due genitori possa arrecare al minore, e non per effetto delle scelte esclusive ed unilaterali di uno di essi, o per comportamenti che - se protratti nel tempo oltre un limite ragionevole e non adeguatamente contrastati - possano realizzare una cristallizzazione arbitraria della mancanza di una figura genitoriale. Il caso
Si tratta di una vicenda già salita agli onori della cronaca a seguito di una pronuncia della Corte Europea dei diritti umani del 24 giugno 2021. La madre – ricorrente per la cassazione della decisione della corte d'appello - aveva impedito i rapporti tra il figlio e il padre e nonostante una serie di decisioni del Tribunale per i minorenni, che avevano imposto la ripresa dei contatti del bambino – nel frattempo affidato al servizio sociale - con il genitore, di fatto non si era riusciti superare la forte opposizione della madre e quindi si era cristallizzata una situazione di completa interruzione dei rapporti. Per quanto qui interessa, nel settembre 2020 il Tribunale per i minorenni di Roma aveva emesso un decreto provvisorio ed urgente con il quale ha sospeso la responsabilità genitoriale dei genitori, ha nominato un tutore provvisorio incaricato di garantire con urgenza la ripresa della frequentazione del minore con il padre. Successivamente, con decreto del 22 dicembre 2020, è stato nominato al minore un curatore speciale e è stato disposto il collocamento in casa famiglia; con ulteriore decreto del 18 febbraio 2021 è stato autorizzato l'uso della forza pubblica per attuare il provvedimento di collocamento e il 25 marzo i nuclei operativi delle Forze dell'Ordine sono stati incaricati di rintracciare il minore su tutto il territorio nazionale. A seguito del reclamo degli ultimi decreti, la corte d'appello, riuniti i procedimenti, ha ritenuto inammissibile la richiesta di sospensiva dell'efficacia dei predetti decreti attuativi e ha confermato sia la sospensione della responsabilità genitoriale sia il collocamento del minore in comunità, rilevando che la mamma si era trasferita con il figlio, quando quest'ultimo aveva pochi mesi di vita, senza il consenso paterno, e aveva poi impedito continuativamente qualsiasi contatto tra il minore ed il padre, utilizzando la malattia del figlio per isolarlo e farlo crescere in un ambiente iper protettivo tanto da non mandarlo a scuola e causargli problemi di motricità. La madre - condannata anche in grado d'appello per la violazione di reiterati provvedimenti giudiziari – infine, per sottrarsi al rispetto dei provvedimenti giudiziari, aveva fatto perdere le proprie tracce e quelle del minore, confermando il comportamento oppositivo contrastante con le esigenze di serenità e corretta crescita psico fisica del figlio. Nel giugno 2021 era poi intervenuta la pronuncia della Corte Europea dei diritti umani (causa n. 40910 del 2019) che, a seguito di ricorso del padre, ha affermato che a fronte dell'opposizione della madre del minore - iniziata nel 2014 e proseguita senza soluzione di continuità - le autorità nazionali non avevano compiuto sforzi adeguati e sufficienti a far rispettare il diritto di visita del ricorrente, lasciando consolidare una situazione di fatto generata dall'inosservanza delle decisioni giudiziarie con conseguente violazione del diritto alla vita familiare. Avverso il decreto della Corte d'Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la madre. La questione
Come deve essere valutato il comportamento del genitore che impedisce i contatti con l'altro e quali approfondimenti istruttori sono necessari per l'adozione dei relativi provvedimenti. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza n. 27346/2022 il giudice di legittimità affronta ancora una volta il tema della cosiddetta sindrome da alienazione parentale, fenomeno che, a parere della madre – ricorrente, sarebbe estato acriticamente posto a fondamento della decisione impugnata senza adeguati approfondimenti. In particolare, la ricorrente ha lamentato il mancato espletamento di una CTU nell'ambito del procedimento dinanzi al Tribunale per i Minorenni (effettuata invece nel giudizio civile relativo all'affidamento della minore), talché la decisione si sarebbe basta esclusivamente su una errata interpretazione dei comportamenti alla medesima attributi. La Suprema Corte ha invece evidenziato che sia la decisione della Corte d'appello, sia quella di primo grado, si fondavano sulla valutazione di una lunga serie di fatti ampiamenti dimostrati, poiché accertati in sede penale (la madre infatti era stata condannata per il mancato rispetto dei provvedimenti giudiziari che avevano disposto la graduale ripresa della frequentazione padre-figlia) e, inoltre, neppure contestati dalla stessa ricorrente, che aveva solo spiegato il proprio comportamento come una reazione ad allegate violenze psicologiche del padre (in merito alle quali però non aveva neppure articolato mezzi di prova). La decisione di collocare il bambino in comunità, pertanto, a parere del giudice delle leggi si è fondata sulla comprovata sussistenza di fatti che dimostravano che per ben sei anni la mamma aveva completamente negato al figlio il diritto alla bigenitorialità, impedendo i contatti con il padre e persino rendendo irreperibile il minore e non su teorie astratte e, per questo motivo, non è censurabile il mancato espletamento di alcuna consulenza tecnica. La corte ha altresì evidenziato che la decisione di inserire il minore e il padre in una comunità, era stata adottata a seguito del fallimento di tutti i precedenti interventi finalizzati a far riprendere i rapporti padre/ figlio e che la necessità di intervenire con la massima urgenza era stata evidenziata anche dalla corte europea dei diritti dell'uomo con la pronuncia resa a seguito del ricorso del padre. La Corte Europea aveva infatti rilevato che “le diverse istituzioni intervenute (specie il tribunale per i minori e i servizi sociali) non hanno adottato rapidamente tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere per far rispettare il diritto dell'interessato di avere dei contatti e stabilire una relazione con suo figlio. Le numerose pronunce favorevoli ottenute dal ricorrente anche in sede penale, peraltro in termini non sufficientemente tempestivi, sono rimaste ineffettive e nessuna iniziativa è stata assunta nei confronti della madre per garantirne l'osservanza” L'articolo 8 della CEDU, infatti, pur tutelando principalmente l'individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, impone comunque agli Stati anche “obblighi positivi inerenti a un effettivo rispetto della vita privata o familiare” che possono portare ad adottare “strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate”. In rima con tale decisione, che ribadisce un principio già espresso dalla giurisprudenza della corte europea (si veda Terna c Italia 2021), la Corte conferma che il diritto alla bigenitorialità può essere limitato solo quando sia dimostrato che il rapporto con uno dei due genitori comporta un concreto e dimostrato pregiudizio per il minore – nel caso di specie provato dai fatti e comportamenti posti in essere dalla madre - ma non può essere rimesso a scelte arbitrarie e unilaterali di un genitore che decida di escludere l'altro dalla vita del figlio. Con riferimento alla dedotta violazione degli articoli 3 e 8 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo e 13 della CEDU, in quanto, a parere della ricorrente l'allontanamento dalla madre avrebbe impedito al minore di conservare la relazione con i propri familiari, esponendolo ad un trattamento disumano senza alcuna preventiva valutazione della capacità genitoriale della donna, la Cassazione ha evidenziato che a parere della corte di territoriale la gravità del il comportamento ostruzionistico della madre era prevalente rispetto alla capacità di accudimento parentale della stessa, talché non vi era necessità di ulteriori approfondimenti. Osservazioni
Nella pronuncia si ribadisce – pur giungendo ad una decisione opposta – il principio già espresso con l'ordinanza n. 13217/2021, ovvero che la limitazione del diritto alla bigenitorialità può essere disposta solo a seguito di una approfondita indagine sulla capacità dei genitori, in particolare dopo aver verificato che, in concreto, siano stai posti in essere dei comportamenti altamente pregiudizievoli per il minore. In materia di affidamento dei figli minori, infatti, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, “privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore”. Non è quindi possibile limitare il diritto alla bigenitorialità sulla scorta di mere allegazioni o con riferimento a generiche condotte pregiudizievoli non specificate e non provate, senza piegare quali siano gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico del minore. Nel caso di specie, i fatti addebitati alla madre erano stati compiutamente provati e il pregiudizio per il bambino era stato attestato dalla consulenza tecnica svolta nel giudizio dinanzi al Tribunale ordinario. È interessante infine notare che la Corte ha espressamente ribadito che il diritto alla bigenitorialità è un diritto proprio del minore e non dei genitori (così anche Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2022, n. 19305: “il diritto alla bigenitorialità è un diritto del minore, prima ancora che dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il migliore interesse del minore e che il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel migliore interesse di quest'ultimo e assume carattere recessivo, qualora ciò non possa essere garantito nella fattispecie concreta”). |