Sulla prima questione, la Suprema Corte ha confermato la decisione impugnata richiamando il principio generale espresso di recente dalla giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo secondo cui l'onere di allegazione e la prova dell'impossibilità di ricollocare il dipendente licenziato (c.d. obbligo di repêchage) spetta al datore di lavoro e non al lavoratore, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale (fra le decisioni richiamate: Cass., 22 marzo 2016, n.5592, Cass. 13 giugno 2016, n. 12101 e, successivamente, Cass. 20 ottobre settembre 2017, n. 24882).
Tali decisioni infatti avevano superato quell'orientamento che, seppure minoritario (espresso ad esempio in Cass. 8 novembre 2013, n. 25197), aveva attribuito al lavoratore licenziato un dovere di “collaborazione” nell'individuare i posti di lavoro che avrebbe potuto ricoprire in alternativa a quello soppresso.
In tale panorama giurisprudenziale la Suprema Corte definitivamente superando predetto orientamento ha confermato che sul datore di lavoro incombe l'onere di dimostrare il fatto negativo costituito dall'impossibile ricollocamento del lavoratore anche attraverso la prova di uno specifico fatto positivo contrario o tramite presunzioni dalle quali possa desumersi quel fatto negativo (cosi Cass. 24 settembre 2019, n. 23789).
Sulla questione della reintegrazione del lavoratore per violazione dell'obbligo di repechage la Corte rileva che nelle more del giudizio oggetto di reclamo è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 2022 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 comma settimo, l. n. 300 del 1970 (come modificato dall'art. 1 , comma 42, lett. b), legge 28 giugno 2012, n. 92) limitatamente alla parola “manifesta” riferita all'insussistenza del fatto posto a base del recesso con effetto sulle conseguenze reintegratorie applicabili ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
Pertanto, sul presupposto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge incide anche sulla decisione che la Corte di legittimità è chiamata ad assumere, la sentenza in commento ha cassato la pronuncia impugnata nella parte in cui ha negato la tutela reintegratoria del lavoratore sulla base del previgente testo del menzionato art. 18, comma settimo Stat. Lav., ciò in quanto fondata su un parametro normativo oramai espunto dall'ordinamento (nello stesso senso le ordinanze di Cass. espressamente richiamate 6 luglio 2022 nn. 21470 e 21468).