L’ammissione al concordato preventivo presume l’esattezza dell’adempimento dello stimatore?

La Redazione
05 Gennaio 2023

Ai fini dell'ammissione del credito al passivo fallimentare, il professionista che abbia precedentemente curato l'attività di stima del patrimonio societario ai fini dell'ammissione al concordato preventivo, deve dimostrare l'esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto.

Il giudice delegato al fallimento di una S.r.l. ammetteva al passivo, in prededuzione, il credito vantato da un geometra per l'attività professionale di stima svolta a favore della società in bonis ai fini dell'ammissione al concordato preventivo, la cifra ammessa era però inferiore a quella richiesta dal professionista.

Il Tribunale confermava la decurtazione operata dal g.d. per l'inesatto adempimento della prestazione. La questione è giunta all'attenzione della Suprema Corte.

La pronuncia esclude in primo lungo la fondatezza della pretesa del geometra secondo cui l'ammissione della società al concordato preventivo sarebbe indice di un esatto adempimento del suo consulente. Le Sezioni Unite (n. 42093/2021) hanno sul punto chiarito che «il professionista al quale sia stato negato, a causa di carenze nella dovuta diligenza, il compenso per la redazione della relazione di cui all'art. 161, comma 3, legge fall., non [può] invocare, a fondamento del credito, la mera ammissione del debitore che lo ha designato (poi dichiarato fallito) alla procedura concordataria …; non costituendo – a questi fini – il decreto emesso dal tribunale ex art. 163, comma 1, l. fall. “approvazione della relazione, né un apprezzamento di competenza esclusiva del tribunale in ambito concordatario, in quanto l'ammissione a detta procedura non assevera definitivamente, con valore di giudicato, l'esattezza dell'adempimento del professionista”». Con la conseguenza che «la stessa valutazione può essere, in seguito, smentita dal medesimo tribunale, in sede di procedura fallimentare, all'esito di un più approfondito controllo». In altre parole «l'indagine del collegio dell'opposizione in ordine al credito vantato dallo stimatore incaricato dalla società debitrice non trovava ostacolo o limite, rispetto all'accertamento dell'inadempimento eccepito dal curatore, nel provvedimento che aveva disposto l'apertura del concordato sulla base di un'attestazione che si fondava sulla stima predisposta dallo stesso istante».

Richiamando ulteriori precedenti, la Corte aggiunge che «il curatore, secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale, avrà l'onere di allegare e provare l'esistenza del titolo negoziale, contestando la non corretta esecuzione della prestazione o anche la sua inutilità per la massa o la solo parziale utilità (con riduzione del quantum ammissibile: Cass. 14050/2021) o l'incompleto adempimento (sulla base del criterio di corrispettività ed essendo parzialmente nulle le clausole di insindacabilità del compenso a forfait: Cass. 7974/2018); per contro, a carico del professionista – al di fuori di una obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura - ricade l'onere di dimostrare l'esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l'imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili dell'evoluzione dannosa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass., Sez. U., 42093/2021, § 57)».

In conclusione, avendo il Tribunale fatto corretta applicazione di tali principi, la Cassazione rigetta il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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