E’ solidalmente responsabile l'amministratore che determini l'inadempimento della società alla propria obbligazione IVA

Andreina Giudicepietro
05 Gennaio 2023

È compatibile con il diritto dell'Unione europea la normativa nazionale che prevede, a carico dell'amministratore che in malafede eroghi prestazioni a carico della società e, determinando la riduzione del relativo patrimonio, le impedisca di provvedere al pagamento delle imposte, un regime di responsabilità solidale sussidiaria per i debiti tributari della società, sino a concorrenza delle prestazioni erogate ovvero della riduzione patrimoniale, e per i correlativi interessi di mora.
La decisione della Corte

Alle questioni proposte la Corte ha risposto come segue.

"1) L'articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale per i debiti di imposta sul valore aggiunto (IVA) di una persona giuridica nelle seguenti circostanze:

– la persona ritenuta responsabile in solido è amministratore della persona giuridica o membro di un organo amministrativo della stessa;

– la persona ritenuta responsabile in solido ha effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, oppure ha ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato;

– gli atti compiuti in malafede hanno avuto l'effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare in tutto o in parte l'IVA di cui è debitrice;

– la responsabilità solidale è limitata all'importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede,

– tale responsabilità solidale scatta solo in subordine, quando si rivela impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.

2) L'articolo 273 della direttiva 2006/112 e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che:

- non ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello descritto al punto 1 del dispositivo della presente sentenza, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica per il mancato pagamento dell'imposta sul valore aggiunto entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni di tale direttiva a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido".

La motivazione della sentenza

a) Valutazione preliminare.

La Corte è partita dal rilievo che, in base al diritto comunitario, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale delle imposte ed, in particolare, dell'Iva, anche al fine di assicurare la tutela degli interessi finanziari dell'Unione (2).

b) Il principio di proporzionalità ed adeguatezza e l'art. 273 della direttiva Iva nell'interpretazione della CGUE.

Posta l'indicata premessa, la CGUE ha considerato che la previsione della responsabilità solidale a carico di persona estranea al rapporto di imposta è un meccanismo che contribuisce al recupero di importi Iva che non sono stati versati dalla società, soggetto passivo, assicurando l'esatta riscossione del tributo e/o evitando le evasioni, in conformità con quanto stabilito dall'articolo 273, primo comma, della direttiva Iva.

Si tratta, dunque, di un meccanismo funzionale al rispetto dell'obbligo, che incombe su ogni Stato membro, di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee a garantire la riscossione integrale dell'imposta dovuta nel suo territorio e a combattere contro la frode, in linea con quanto previsto dall'articolo 325, paragrafo 1, TFUE (3).

La Corte ha precisato, inoltre, che le disposizioni di cui all'articolo 273 della direttiva IVA, al di fuori dei limiti da esse fissati, non indicano né le condizioni né gli obblighi che gli Stati membri possono prevedere e conferiscono dunque a questi un margine discrezionale circa i mezzi idonei ad assicurare la riscossione integrale dell'IVA dovuta sul loro territorio e a evitare le evasioni.

Tuttavia, gli Stati sono tenuti a esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali e, tra essi, del principio di proporzionalità (4), ovverosia facendo ricorso a strumenti che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l'obiettivo perseguito dal diritto nazionale, arrechino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa di riferimento dell'Unione.

Pertanto, anche se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell'Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (5).

Al riguardo, la CGUE, in precedenti decisioni, ha già affermato che provvedimenti nazionali che diano luogo, di fatto, a un sistema di responsabilità solidale oggettiva eccedono quanto è necessario per preservare i diritti dell'Erario (6).

Il far ricadere la responsabilità del pagamento dell'imposta su un soggetto diverso dal debitore, senza che possa sottrarvisi fornendo la prova di essere completamente estraneo alla condotta illecita deve, pertanto, essere ritenuto incompatibile con il principio di proporzionalità.

Risulterebbe, infatti, chiaramente sproporzionato imputare, in modo incondizionato, a tale soggetto i mancati introiti fiscali causati dal comportamento di un terzo sul quale egli non ha alcuna influenza.

In particolare, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte nella decisione in esame, sebbene spetti agli Stati membri specificare le circostanze particolari in cui una persona, diversa dal debitore dell'imposta, possa essere considerata responsabile in solido con quest'ultimo del pagamento dell'imposta dovuta, l'esercizio di tale facoltà deve essere giustificato dai rapporti di fatto o giuridici che intercorrono tra i soggetti obbligati, dovendosi considerare se il soggetto diverso dal debitore di imposta abbia o meno agito secondo buona fede e con la diligenza necessaria, tanto da escludere la sua partecipazione ad un abuso o a un'evasione.

c) La soluzione del caso di specie.

Prima questione pregiudiziale.

Con la prima questione il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l'articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale per i debiti IVA di una persona giuridica nelle seguenti circostanze:

– la persona ritenuta responsabile in solido è amministratore della persona giuridica o membro di un organo amministrativo della stessa;

– la persona ritenuta responsabile in solido ha effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, oppure ha ceduto tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato;

– gli atti compiuti in malafede hanno avuto l'effetto di rendere la persona giuridica incapace di pagare in tutto o in parte l'IVA di cui è debitrice;

– a responsabilità solidale è limitata all'importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede, e

– tale responsabilità solidale scatta solo in subordine, quando si rivela impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti.

In dissenso dalle conclusioni dell'Avvocato generale, nel caso di specie, la CGEU ha ritenuto che sia compatibile con la disciplina comunitaria la previsione, quale quella del diritto bulgaro, della responsabilità solidale dell'amministratore, che abbia avuto una condotta pregiudizievole per la società, determinando in tal modo l'omesso pagamento dell'IVA dovuta all'Erario (7).

Alle riportate conclusioni la Corte è pervenuta muovendo dal rilievo che <<un meccanismo di responsabilità solidale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, non eccede quanto è necessario per assicurare l'esatta riscossione dell'IVA ed evitare l'evasione.

Più precisamente, tenuto conto delle sue caratteristiche, un tale meccanismo non può essere assimilato ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti da 74 a 76 della presente sentenza, che sarebbe incompatibile con il principio di proporzionalità.

In primo luogo, la persona designata come responsabile in solido deve avere la qualità di amministratore o di membro di un organo amministrativo della persona giuridica debitrice degli importi IVA non versati, e può quindi essere considerata come partecipante all'adozione di decisioni in seno a quest'ultima.

In secondo luogo, la persona designata come responsabile in solido deve aver effettuato, in malafede, pagamenti a partire dal patrimonio della persona giuridica che possono essere qualificati come distribuzione dissimulata di utili o dividendi, o deve aver ceduto l'integralità o una parte di tale patrimonio a titolo gratuito o a un prezzo nettamente inferiore al prezzo di mercato.

In terzo luogo, deve sussistere un nesso di causalità tra gli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido e l'incapacità in cui si trova la persona giuridica di pagare l'IVA di cui è debitrice.

In quarto luogo, la portata della responsabilità solidale è limitata alla riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti commessi in malafede.

Infine, e in quinto luogo, tale responsabilità sussiste solo in via subordinata, qualora risulti impossibile recuperare dalla persona giuridica gli importi IVA dovuti" (8).

La CGUE ritiene, dunque, che un meccanismo di responsabilità solidale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, contribuisca al recupero degli importi IVA, che non sono stati versati da una persona giuridica soggetto passivo nei termini imperativi stabiliti dalle disposizioni della direttiva IVA, assicurando l'esatta riscossione dell'IVA e/o ed evitando le evasioni, conformemente a quanto previsto dall'articolo 273, primo comma, della direttiva IVA e dall'articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

Pertanto, secondo la Corte, un siffatto meccanismo rientra, in linea di principio, nel margine discrezionale di cui godono gli Stati membri nell'ambito dell'attuazione dell'articolo 273 della direttiva IVA e non eccede quanto è necessario per assicurare l'esatta riscossione dell'IVA ed evitare l'evasione.

Seconda questione pregiudiziale.

Con la seconda questione il giudice del rinvio ha chiesto se l'articolo 273 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che ostino a una normativa nazionale che prevede un meccanismo di responsabilità solidale, come quello in precedenza descritto, che si estende agli interessi moratori dovuti dalla persona giuridica a causa del mancato pagamento dell'IVA entro i termini imperativi stabiliti dalle disposizioni di tale direttiva.

Il meccanismo di responsabilità solidale in esame è, di per se', limitato all'importo della riduzione del patrimonio subita dalla persona giuridica a causa degli atti compiuti in malafede.

Tuttavia, la normativa bulgara prevede che il recupero di imposte non pagate entro i termini previsti sia maggiorato degli interessi e il giudice del rinvio ha chiesto alla CGUE se tale dispositivo possa essere applicato in via accessoria alla responsabilità solidale.

Al riguardo la Corte ha dichiarato che tali maggiorazioni possono costituire una sanzione adeguata in caso di tardivo pagamento, purché essa non ecceda quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo, consistente nell'assicurare l'esatta riscossione dell'Iva.

Ciò in quanto la riscossione di interessi moratori consente di compensare il pregiudizio causato all'erario dall'indisponibilità dell'imposta dalla data di scadenza del pagamento fino alla data del versamento, al tempo stesso incentivando il rispetto dei termini stabiliti dalle disposizioni della direttiva Iva (o l'effettuazione del versamento il più rapidamente possibile dopo il superamento degli stessi) e contribuendo in tal modo alla lotta contro il mancato versamento, entro i termini stabiliti, dell'Iva dichiarata.

L'estensione della responsabilità solidale alla riscossione degli interessi moratori è, dunque, coerente con l'obbligo incombente sugli Stati membri, in forza dell'articolo 273 della direttiva Iva e dell'articolo 325, paragrafo 1, TFUE, di adottare tutte le misure legislative e amministrative, idonee a garantire la riscossione integrale dell'imposta nei rispettivi territori e a combattere l'evasione.

Inoltre, l'inclusione di interessi moratori in un meccanismo di responsabilità solidale, è conforme al principio di proporzionalità, in quanto dovuti dalla persona giuridica debitrice a causa degli atti compiuti in malafede dalla persona designata come responsabile in solido.

Osservazioni finali

In conclusione si impongono alcune riflessioni.

In primo luogo deve rilevarsi come la Corte, pur ritenendo conforme al diritto dell'Unione la normativa bulgara in esame, ha inteso precisare, in linea con i propri precedenti, che, al di fuori delle specifiche condizioni più volte descritte, un provvedimento nazionale che dia luogo, de facto, a un sistema di responsabilità solidale oggettiva, eccede quanto necessario per preservare i diritti erariali. L'esercizio della facoltà degli ordinamenti nazionali di individuare un debitore in solido diverso dal debitore d'imposta, al fine di garantire la riscossione della stessa, deve trovare giustificazione adeguata nei rapporti di fatto e/o di diritto tra le due persone interessate, alla luce dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità.

Tale giustificazione, nel caso del diritto bulgaro all'esame della Corte, si rinviene in modo particolare nella previsione di alcune specifiche condizioni, quali la condotta in mala fede dell'amministratore, che ha agito in danno della società, soggetto passivo dell'Iva, determinando proprio con il suo comportamento l'impossibilità della società di adempiere, in tutto o in parte, al debito d'imposta.

Infatti, come già precisato, il principio di proporzionalità deve essere interpretato nel senso che osta a che un soggetto diverso dal debitore dell'Iva sia considerato responsabile della perdita di introiti fiscali causata dalla condotta di un terzo sulla quale egli non ha alcuna influenza.

Nel diritto italiano, salvo il caso in cui la società sia uno strumento artificioso ai fini illeciti dell'amministratore (non pagare imposte, la classica “cartiera”), il legale rappresentante non risponde delle sanzioni e dei debiti tributari della persona giuridica.

In materia di imposte dirett e, la responsabilità degli amministratori per i debiti tributari della società è espressamente prevista dall' art. 36, commi 1 e 2, d.P.R. n. 602/1973, che recitano: «1. I liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. 2. La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori».

Si tratta evidentemente di un'ipotesi del tutto particolare, attinente alla fase di liquidazione delle società soggette ad IRES per l'imposta dovuta in quel periodo e nei periodi precedenti, nella quale gli amministratori vengono chiamati a rispondere dei mancati versamenti di cui al comma 1 solo nel caso in cui non si sia provveduto a nominare il liquidatore e siano state effettuate assegnazioni ai soci o agli associati.

Diversa è l'ipotesi di cui al comma 4 della medesima disposizione, che prevede la responsabilità in capo agli amministratori che «hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili». Gli amministratori rispondono in solido nei limiti delle imposte non versate qualora nel corso dei due anni precedenti la messa in liquidazione della società la causa del mancato versamento sia stata un'operazione di liquidazione oppure l'occultamento di attività sociali od omissioni nelle scritture contabili. Si tratta, dunque, tendenzialmente di condotte con finalità distrattive, anche con mezzi fraudolenti, che, al di là di configurare uno specifico delitto tra quelli previsti dal d.lgs. n. 74/2000, consentono di instaurare una responsabilità solidale per le imposte non versate. La ragione giustificatrice di tale responsabilità si rinviene nella violazione dei doveri del liquidatore/amministratore, in grado di far sorgere una specifica fattispecie, non fondata sulla capacità contributiva del soggetto, bensì sul comportamento illecito.

Di recente, la Corte di cassazione ha precisato che il credito dell'Amministrazione finanziaria che agisce contro questi soggetti non sarebbe strettamente tributario, bensì civilistico, e troverebbe titolo autonomo rispetto all'obbligazione fiscale vera e propria costituente, invece, mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché detta responsabilità debba essere accertata dall'ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del d.P.R. n. 600/1973 (9).

Infine, un'ultima considerazione merita il richiamo, nella sentenza oggetto di esame, alla decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell'Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), ed alla circostanza che le risorse proprie dell'Unione comprendono, in particolare, le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo le norme dell'Unione.

Nella decisione in esame, la Corte evidenzia come sussista un nesso diretto tra la riscossione delle entrate provenienti dall'IVA, nell'osservanza del diritto dell'Unione applicabile, e la messa a disposizione del bilancio dell'Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione delle prime determina potenzialmente una riduzione delle seconde.

Dunque, l'obbligo degli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale dell'Iva risponde anche alla finalità, non secondaria, di assicurare la tutela degli interessi finanziari dell'Unione, cioè delle risorse proprie costituite dalle entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati.

Note

(*) Andreina Giudicepietro

(1) Danachno – osiguritelen protsesualen kodeks (codice di procedura del contenzioso tributario e previdenziale della Repubblica di Bulgaria).

(2) V. sentenza in esame, punti da 57 a 59 e giurisprudenza ivi citata.

(3) V. la sentenza in commento, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata. Nel caso di specie, secondo la Corte, un meccanismo di responsabilità solidale, come quello previsto dal diritto interno bulgaro, non ha lo scopo di designare una persona debitrice dell'imposta su una determinata operazione imponibile, ai sensi dell'articolo 205 della direttiva IVA. La Corte ritiene, invece, che nella fattispecie venga in rilievo l'articolo 273, primo comma, della suddetta direttiva, secondo cui gli Stati membri possono stabilire gli obblighi che ritengono necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitare le evasioni, e l'articolo 325, paragrafo 1, TFUE, che impone agli Stati membri di combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione mediante misure dissuasive ed effettive.

(4) V. la sentenza in commento, punto 72 e la giurisprudenza ivi citata (v., in particolare, sentenze del 21 novembre 2018, Fontana, C‑648/16, EU:C:2018:932, punto 35, e del 15 aprile 2021, Grupa Warzywna, C‑935/19, EU:C:2021:287, punto 26).

(5) V. la sentenza in commento, punto 73 e la giurisprudenza ivi citata (sentenze del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij, C‑499/10, EU:C:2011:871, punti 21 e 22, e del 20 maggio 2021, ALTI, C‑4/20, EU:C:2021:397, punto 33).

(6) V. la sentenza in commento, punto 74 e la giurisprudenza ivi citata (sentenza del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij, C‑499/10, EU:C:2011:871, punto 24).

(7) La Corte ha disatteso le conclusioni dell'Avvocato generale, presentate il 2 giugno 2022, secondo cui tale vincolo solidale non costituisce oggetto della direttiva IVA e non ricade nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione.

(8) V. sentenza in esame, punti da 79 a 83.

(9) Ex multis, v. Cass. nn. 11968/2012, 17020/2019, 8811/2021, 29474/2021; in tal senso, in dottrina v. Luca Sabbi, “La responsabilità fiscale di amministratori, sindaci e revisori”.

Infine, in tema di sanzioni conseguenti a violazioni tributarie, la Suprema Corte ha affermato che "la deroga al principio della responsabilità personale dell'autore della violazione di cui all'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, prevista in caso di riferibilità della sanzione alla persona giuridica ex art. 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. dalla l.n. 326 del 2003), si applica soltanto quando la persona fisica che ha realizzato la violazione abbia agito nell'interesse ed a vantaggio della persona giuridica, effettiva beneficiaria della condotta, ma non anche quando abbia operato nel proprio esclusivo interesse, poiché, in tal caso, viene meno la "ratio" che giustifica l'applicazione della disposizione di cui all'art. 7" (Cass. n. 25757/2020).