Esecuzione forzata indiretta

Antonio Lombardi
06 Gennaio 2023

Con la recente novella introdotta dal d.lgs. n. 149/2022, in vigore a partire dal 28 febbraio 2023, il legislatore ha provveduto ad una nuova revisione dell'istituto, specificando da un lato alcuni aspetti controversi in sede di attuazione e provvedendo, dall'altro, ad un sostanziale ampliamento dello spettro di applicazione dello stesso.
Inquadramento

L'istituto disciplinato dall'art. 614-bis c.p.c., originariamente rubricato «attuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fare», rappresenta una delle principali novità della riforma del codice di rito ex lege n. 69/2009, con la precipua funzione di garantire effettività all'esecuzione di obblighi di fare o non fare i quali, per la sussistenza di una significativa quota di infungibilità dell'obbligo, presentavano un evidente margine di incoercibilità ed ineffettività della pronuncia giudiziale.

Con la riforma del d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, sono state apportate significative modifiche, con l'evidente fine di potenziarne la sfera applicativa, ampliando il novero di controversie nelle quali la misura può essere adottata. Ciò risulta evidente dal mutamento della rubrica legis, («misure di coercizione indiretta»), che ha indotto a ritenere superata la limitazione ai soli obblighi infungibili di fare e non fare. Pertanto, fatti salvi i provvedimenti di condanna al pagamento di somme di danaro e le controversie in materia di lavoro, la norma ha potuto trovare generalizzata applicazione alle obbligazioni di facere, non facere e dare, diverse dal pagamento di una somma di danaro.

Con la recente novella introdotta dal d.lgs. n. 149/2022, attuativo della legge delega n. 206/2021, il legislatore ha provveduto ad una nuova revisione dell'istituto, in vigore a partire dal 28 febbraio 2023, specificando da un lato alcuni aspetti controversi in sede di attuazione e provvedendo, dall'altro, ad un sostanziale ampliamento dello spettro di applicazione dello stesso, attraverso la previsione della facoltà di adozione della misura ad opera del giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, successivamente alla notificazione del precetto.

Il campo di applicazione della norma

Come anticipato, la ratio alla base dell'originario impianto normativo era quella di sopperire all'ineffettività dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., in ragione dell'esistenza di prestazioni infungibili e, per ciò stesso, incoercibili (in questo senso, Trib. Livorno, 15 novembre 2011, in Foro it., 2014, n. 6, 1980, con nota di Mondini).

Se, dunque, l'eventuale inottemperanza spontanea da parte del destinatario dell'obbligo di demolizione, conseguente alla violazione di una servitù altius non tollendi, poteva esclusivamente dar luogo allo strumento esecutivo di cui all'art. 612, comma 2, c.p.c., ad esempio autorizzando l'ausiliario nominato ai sensi dell'art. 68 c.p.c. a provvedere alla demolizione avvalendosi di impresa specializzata, negli obblighi di facere in cui lo spontaneo adempimento dell'obbligato non risultava in alcun modo surrogabile - come la condanna di un attore ex art. 1453 c.c. all'esecuzione di uno spettacolo teatrale – interveniva lo strumento di coazione indiretta all'adempimento di cui all'art. 614-bis c.p.c..

La limitazione della sfera di applicazione agli obblighi di fare e non fare contrassegnati da una quota di infungibilità della prestazione, per altro non in linea con la tradizione delle astreintes e l'esplicita esclusione delle controversie laburistiche hanno determinato, nei primi anni di vita della norma, una scarsa fortuna della norma nella prassi giudiziale. L'opportuno intervento di riforma del 2015 ha, come detto, ampliato il novero delle controversie applicative, eliminando le preclusioni determinate dalla natura della prestazione e dalla sua infungibilità.

L'ambito applicativo risulta significativamente ampliato a seguito della novella ex d.lgs. n. 149/2022. Se, difatti, al 1° comma, viene conservato il testuale riferimento alla “condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro” ed al nuovo 5° comma si ritrovano inalterate le preclusioni relative alla natura laburistica delle controversie, al 2° comma si prevede la possibilità di richiedere la misura in sede esecutiva, non soltanto al cospetto di un provvedimento di condanna, laddove la richiesta non sia stata precedentemente proposta in sede di cognizione, ma anche di un titolo esecutivo diverso dal provvedimento di condanna, per la cui nozione occorre, dunque, rifarsi all'elencazione residuale contenuta nell'art. 474 c.p.c. n. 3. Il nuovo alinea si chiude con il rinvio alle disposizioni di cui all'art. 612 c.p.c., in quanto compatibili.

Pertanto, dopo la notificazione del precetto, l'avente diritto potrà presentare un ricorso al giudice dell'esecuzione competente, che – sentite le parti – provvederà a determinare la misura esecutiva. Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l'opposizione agli atti esecutivi, mentre l'opposizione all'esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all'art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell'opposizione a precetto.

In evidenza

A seguito della riforma di cui al d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, le misure di coercizione indiretta (astreintes) trovano applicazione generalizzata a tutte le tipologie di obbligazione, fatte salve le obbligazioni al pagamento di una somma di danaro e quelle oggetto di accertamento nell'ambito delle controversie di lavoro.

Il campo di applicazione risulta ulteriormente ampliato dal d.lgs. n. 149/2022, in vigore dal 30 giugno 2023, che ha previsto la facoltà di chiedere la misura con ricorso al giudice dell'esecuzione, in virtù di un provvedimento di condanna o di un titolo esecutivo, ferma restando l'esclusione delle obbligazioni di natura pecuniaria

Per quanto riguarda le obbligazioni infungibili di facere o non facere, il rimedio dell'art. 614-bis c.p.c. costituisce strumento esclusivo di coercizione indiretta all'adempimento, mentre, nel caso di obblighi di facere o non facere fungibili (es. obbligo di demolizione di un'opera, rimessione in pristino di un immobile), nonché di dare diversi dal pagamento di una somma di danaro, il mezzo di coercizione indiretta all'adempimento si affiancherà agli ordinari strumenti esecutivi, rafforzando la capacità di induzione allo spontaneo adempimento dell'ordine giudiziale.

Con riferimento alla categoria dei “provvedimenti di condanna” cui può accedere l'astreinte, appare opportuno aderire ad una tesi ampia, non limitata alle sentenze pronunciate in primo o secondo grado, ma estesa agli altri provvedimenti di condanna ad un facere o non facere, ivi inclusi quelli resi in sede cautelare (Trib. Bari, 10 maggio 2011, n. 356, in www.giurisprudenzabarese.it).

Che ciò corrisponda alle intenzioni del legislatore lo si evince con chiarezza dalla circostanza che, a differenza che nell'art. 612 c.p.c., in cui si parla di esecuzione forzata di una “sentenza” di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, l'art. 614-bis c.p.c., collocato nel medesimo titolo, utilizza la diversa e più ampia locuzione di “provvedimento di condanna”, con questo lasciando intendere la sua applicabilità a provvedimenti quali le ordinanze cautelari di condanna, ivi incluso il provvedimento adottato al termine del nuovo procedimento semplificato di cognizione, introdotto dal d.lgs. 149/2022 agli artt. 281 decies e ss. c.p.c., i decreti emessi inaudita altera parte ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., nonché i provvedimenti presidenziali o dell'istruttore nei giudizi di separazione e divorzio.

Non può escludersi, alla stregua della nuova previsione di cui al 2° comma, la possibilità di richiedere in sede esecutiva l'applicazione dell'astreinte sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale, che può essere astrattamente previsto dalle parti stesse già in sede di conciliazione, per il caso di inadempimento di una o più obbligazioni da esso contemplate.

Quanto all'applicabilità della norma al giudizio arbitrale, se, da un lato, ai sensi dell'art. 824-bis c.p.c., dalla data della sua ultima sottoscrizione il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, dall'altro, l'applicazione della norma sembra trovare ostacoli sotto il profilo soggettivo, non appuntandosi, in capo al collegio, la qualifica di organo giurisdizionale al quale, secondo la lettera della norma («Con il provvedimento di condanna, il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo»), sembrerebbe riservata in via esclusiva la possibilità di adozione della misura. In senso affermativo si registra, in giurisprudenza, App. Perugia, 14 ottobre 2019, laddove vi sia una concorde richiesta delle parti al collegio arbitrale.

Oltre che i provvedimenti di condanna ad una somma di danaro, rispetto ai quali si è ritenuto di escludere ex professo l'applicazione dell'art. 614-bis c.p.c., in ragione della pacifica esecutabilità del relativi obblighi e del rischio di rendere eccessivamente gravosa la prestazione economica richiesta al debitore, permane, anche a seguito della recente riforma, l'esclusione degli obblighi accertati nelle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c.

Le valutazioni che, in sede legislativa, hanno portato a tale esclusione riposano, verosimilmente, nelle peculiarità della materia giuslavoristica e di quella, affine, dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché nella necessità di evitare applicazioni distorsive o poco tutelanti della disposizione, in ragione delle caratteristiche connaturate alla materia.

L'esclusione appare, tuttavia, a molti ingiustificata, e passibile di censura dinanzi alla Corte costituzionale per violazione dei precetti di cui agli artt. 3 e 24 Cost., trattandosi, per altro, di settore denso di obbligazioni di facere connotate da una significativa quota di infungibilità della prestazione (si pensi, ad esempio, alla reintegrazione del lavoratore licenziato ed all'adibizione del lavoratore demansionato alle mansioni per le quali è stato assunto). Da un lato, difatti, non si rilevano profili di astratta incompatibilità logico giuridica tra l'istituto e la materia giuslavoristica posto che uno dei rari esempi di astreinte settoriali, esistenti in positivo iure, è quella prevista dall'art. 18, ult. comma, St. lav.. Sotto il profilo teleologico, inoltre, l'introduzione di un incentivo all'ottemperanza di un ordine giudiziale, quale quello di reintegrazione del lavoratore licenziato, appare vieppiù opportuna nella misura in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa costituisce fondamentale momento di esplicazione della personalità dell'individuo, tutelata dagli artt. 1, 2 e 3 della Costituzione.

Segue: casistica

CASISTICA : Obbligazioni di fare o non fare infungibili

Diritto di visita

Attuazione delle prescrizioni dettate dal giudice della famiglia in materia di diritto di abitazione e visita del genitore non affidatario o collocatario. Trib. Firenze, 11 novembre 2011, in Foro it., 2012, n. 6, 1941; Trib. Milano, sez. IX, 2 maggio 2019, n. 4202; contra Cass. civ., sez. I, 06 marzo 2020, n. 6471; App. Milano, sez. V, 21 aprile 2021, n. 1274.

Divieto di concorrenza

Divieti di svolgere attività concorrenziale nei cinque anni successivi alla cessazione di azienda in violazione dell'art. 2557 c.c., obblighi imposti a prestatori d'opera intellettuale, nella sostituzione di un collettore fognario ad opera di un condominio.Trib. Matera, 1 dicembre 2012

Consumatori

Obblighi di informazione ed attivazione delle compagnie telefoniche Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, 21 aprile 2015; App. Bari, sez. II, 9 febbraio 2021.

Condominio

Violazioni ex art. 1102 e 1117 del c.c. , nonché inosservanza di disposizioni del regolamento di condominio, Trib. Brescia, sez. III, 24 marzo 2021, n. 807

Obblighi del gestore telefonico

Violazioni ex art. 1102 e 1117 del c.c. , nonché inosservanza di disposizioni del regolamento di condominio, Trib. Brescia, sez. III, 24 marzo 2021, n. 807

Il procedimento

La pronuncia del provvedimento di cui all'art. 614-bis c.p.c. è espressamente condizionata ad una richiesta di parte, sia in sede di cognizione che in sede di esecuzione. Laddove la richiesta sia stata già avanzata dinanzi al giudice della cognizione la stessa, per espressa previsione del 2° comma, non potrà essere reiterata in sede esecutiva. Il giudice non può provvedervi d'ufficio, allo scopo di rafforzare l'ordine impartito attraverso la pronuncia di condanna anche se, come si vedrà, residuano significativi poteri discrezionali in ordine alla sussistenza dei presupposti ed alla misura della condanna.

Può discutersi se la richiesta di applicazione della misura di cui all'art. 614-bis c.p.c., avanzata nel giudizio ordinario, sia soggetta alle preclusioni processuali, alla stregua delle ordinarie domande giudiziali, ovvero se la richiesta possa essere avanzata in qualsiasi stato e grado del procedimento. Tale ultima soluzione appare maggiormente in linea con la tradizione dell'istituto e con la natura meramente accessoria della misura alla pronuncia di condanna, in quanto mezzo di coazione indiretta finalizzata ad incentivarne l'esecuzione, che fa sì che la stessa non si presti ad alterare sostanzialmente l'oggetto della lite.

Le predette caratteristiche di strumentalità ed accessorietà producono, inoltre, l'ulteriore effetto che l'eventuale quantificazione ad opera dell'istante della somma, unica o progressiva, al pagamento della quale si chiede che controparte venga condannata, in caso di inadempimento o ritardato adempimento dell'obbligazione principale, non importa modificazione del valore della causa ai fini della determinazione della competenza ex artt. 7 e ss. c.p.c..

Del pari, l'applicazione della misura in sentenza non comporterà una variazione del valore della condanna, ai fini, ad esempio, dell'applicazione degli scaglioni per la liquidazione delle spese legali né pare immediatamente assoggettabile al pagamento dell'imposta di registro trattandosi, per di più, di condanna provvisoriamente comminata, e suscettibile di esecuzione condizionatamente all'inadempimento dell'obbligazione principale.

L'ampia discrezionalità che caratterizza l'applicazione della misura si traduce, innanzitutto, nella previsione che il giudice, pur in presenza di richiesta di parte, possa decidere di non disporla ove ritenga che l'applicazione della stessa risulti, secondo quanto previsto dalla disposizione, manifestamente iniqua.

In linea generale, può sostenersi che la richiesta di applicazione della misura possa essere rigettata dal giudice laddove, sulla base di una valutazione prognostica e prudenziale, sia prevedibile che il destinatario dell'ordine giudiziale non sia in condizioni di ottemperarvi per causa non imputabile.

Secondo altra tesi, la clausola della manifesta iniquità varrebbe ad escludere l'applicazione della sanzione laddove l'ordinamento contempli già misure connotate da efficacia simile o analoga, come nel caso dell'art. 2932 c.c., o delle specifiche astreintes previste in materie settoriali, di cui si è detto innanzi.

Più discutibile è, invece, l'applicazione della clausola di esclusione della manifesta iniquità in situazioni in cui l'adozione della misura sia passibile di avere ripercussioni di natura economica o patrimoniale sul destinatario della stessa che, in ipotesi, versi in gravi difficoltà economiche o, nei casi limite, in situazioni di indigenza. Appare preferibile ritenere, tuttavia, che tali situazioni non giustifichino la reiezione della misura, essendo, difatti, consentito al giudice quantificare liberamente la somma di danaro, anche in relazione alle condizioni patrimoniali delle parti fissando un importo che preservi l'efficacia di incentivazione dell'adempimento dell'obbligo non risultando, al contempo, eccessivamente sanzionatorio, avuto riguardo alle condizioni economiche e patrimoniali dell'obbligato.

In un risalente precedente giurisprudenziale, la manifesta iniquità è stata ravvisata nella manifestata intenzione di provvedere all'adempimento della prestazione (Trib. Livorno, 4 novembre 2011, in Foro it., 2014, n. 6, 1980, con nota di Mondini).

Il provvedimento di condanna

In virtù dell'ultima parte della norma, modificata dal legislatore del 2022, il giudice determina l'ammontare della somma di cui al 1° comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del danno quantificato o prevedibile, del vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento, e di ogni altra circostanza utile.

L'esistenza di una pluralità di parametri di ancoraggio, soltanto alcuni dei quali agevolmente desumibili dagli elementi conoscitivi a disposizione del giudice (ad. es., valore della controversia, natura della prestazione), avrebbe reso necessario, dinanzi ad una richiesta di applicazione della misura, l'approfondimento di talune circostanze (ad. es. condizioni personali e patrimoniali delle parti) al fine di delineare la consistenza del maggior numero possibile di indici di quantificazione della somma.

L'inclusione, tra i parametri di quantificazione della misura, del «danno quantificato o prevedibile» e, da ultimo, del «vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento», apre la questione della natura della misura di cui all'art. 614-bis c.p.c. Ci si domanda, in altri termini, se essa debba ritenersi esclusivamente un mezzo di coazione di natura pecuniaria, facente parte della più ampia categoria delle pene private, ovvero se sia informata, quantomeno in via concorrente, da una natura indennitaria o risarcitoria.

La questione è densa di risvolti pratici. In caso di perdurante inesecuzione della prestazione di fare o non fare infungibile, ad esempio, il rimedio di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c. si rivela inefficace, e l'unico rimedio per il creditore insoddisfatto è costituito dal risarcimento del danno. La situazione non muta nel caso di applicazione della misura di cui all'art. 614-bis c.p.c. la quale, pur rappresentando un mezzo di coazione all'adempimento, non offre alcuna garanzia che il risultato ultimo, cui la stessa tende, venga effettivamente perseguito.

Potrebbe, dunque, prospettarsi l'ipotesi del creditore di una prestazione di fare o non fare, rimasta inadempiuta nonostante la comminatoria della misura ex art. 614-bis c.p.c. che agisca, in autonomo giudizio, nei confronti del debitore inadempiente svolgendo domanda di risarcimento del danno. In quel giudizio il debitore potrebbe costituirsi chiedendo la reiezione della domanda, sull'assunto che il risarcimento è già coperto dalla somma applicata ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., ed eventualmente svolgere domanda riconvenzionale per la restituzione dell'eccedenza.

La preminente natura di mezzo di coazione non elimina il fatto che la stessa, nella sostanza, si traduca in una pronuncia di condanna anticipata del debitore al pagamento di una somma di danaro in favore del creditore, che diviene attuale all'atto dell'inadempimento del primo. Se a ciò si aggiunge che tra i parametri di quantificazione il legislatore ha previsto quello del danno quantificato o prevedibile, non può negarsi che essa rivesta una concorrente funzione indennitaria o, più correttamente, risarcitoria, di cui deve tenersi conto nell'eventuale giudizio risarcitorio intentato dal creditore insoddisfatto.

Se, da un lato, è ragionevole concludere nel senso che la somma di danaro già applicata ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. debba essere calcolata a scomputo dall'importo del risarcimento del danno, al fine di evitare ingiustificate locupletazioni, non può, nel caso in cui la misura dell'astreinte applicata ecceda quella del danno provato nel giudizio risarcitorio, darsi accoglimento alla riconvenzionale restitutoria del debitore. La somma versata è, difatti, per la quota che eccede il danno patito, giustificata e sostenuta dalla prevalente funzione di mezzo di coazione, quale parte della più ampia categoria delle pene private, che si appunta in capo al rimedio in commento.

Tale tesi appare, tuttavia, in contrasto con un obiter dictum della Cassazione (Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2015, n. 7613) la quale, nel concludere per la compatibilità della misura con l'ordine pubblico italiano, delinea una differenza ontologica tra il risarcimento del danno e l'astreinte, evidenziandone la diversità di funzioni (reintegrativa e di induzione all'adempimento) ed escludendo che l'astreinte possa avere funzione di riparazione del danno.

Natura dell'astreinte e regime giuridico: orientamenti a confronto

La misura partecipa di una funzione risarcitoria o indennitaria

L'importo dell'astreinte versata andrà scomputata dall'eventuale risarcimento del danno in favore del creditore

La misura non ha alcuna funzione risarcitoria o indennitaria ma svolge unicamente la funzione di induzione all'adempimento (Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2015, n. 7613)

L'importo dell'astreinte versata non andrà scomputata dall'eventuale risarcimento del danno in favore del creditore

Sotto il profilo strutturale la misura è congegnata quale forma di condanna futura o condizionata, oltre che strumentale ed accessoria, divenendo attuale ed esecutiva al verificarsi della condizione dell'inesecuzione della condanna all'obbligazione di fare, non fare e dare diversa dal pagamento di somma.

Essa può essere variamente modellata. Può, difatti, consistere nella fissazione di una determinata somma di danaro per ogni giorno di ritardo nell'adempimento ovvero, in casi particolari, per ogni ora di ritardo. L'importo della somma può essere progressivamente crescente (ad es. 100 dopo il primo giorno di ritardo, 110 dopo il secondo e così via).

Nulla impedisce, tuttavia, che in particolari fattispecie nelle quali il creditore, a seguito del primo inadempimento o ritardato adempimento, perda interesse all'adempimento (ad es., nel caso dell'attore teatrale condannato, in esecuzione di accordi contrattuali, a mettere in scena una determinata rappresentazione in cartellone), il giudice stabilisca una somma unica, forfettariamente determinata.

La novella di cui al d.lgs. n. 149/2022 chiarisce espressamente che il giudice debba stabilirne la decorrenza, evidentemente in modo da lasciare al debitore un termine congruo e ragionevole per l'adempimento spontaneo dell'obbligazione principale e possa fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile.

Il regime giuridico e le impugnazioni

Quanto al regime giuridico della misura, ed ai rapporti con la condanna principale, l'esecutività o meno della misura non può essere disgiunta da quella del provvedimento cui accede: la stessa sarà, pertanto, esecutiva negli stessi termini e limiti in cui è esecutiva la condanna principale. L'appello avverso la condanna principale si estenderà automaticamente anche all'astreinte, e così l'effetto sospensivo dell'impugnazione sull'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado; è concepibile, tuttavia, la proposizione di appello – o di reclamo, nel caso di misura comminata in sede cautelare - sulla sola astreinte, e non anche sulla condanna principale.

La revoca della condanna principale in sede di gravame determina, in via automatica, il venir meno della prestazione accessoria, ad essa avvinta da nesso di strumentalità, con la conseguenza che l'eventuale ottemperanza prestata all'ordine di pagamento della astreinte, indipendentemente dall'avvenuta esecuzione o meno della prestazione principale, determina l'insorgenza di un'obbligazione restitutoria in capo al debitore originario.

Il pagamento, anche a seguito di espropriazione forzata, dell'astreinte non fa venir meno l'obbligazione principale, non sussistendo alcun rapporto di alternatività tra condanna principale e condanna accessoria.

La particolare natura anticipatoria della misura fa sì che la stessa diventi esecutiva all'atto dell'inadempimento, o del ritardato adempimento, dell'obbligazione principale e, pertanto, in un momento posteriore ed eventuale rispetto a quello in cui la stessa è comminata.

L'iniziativa di richiedere il pagamento della somma, ed eventualmente intraprendere un'azione esecutiva con la notificazione del precetto e di un pignoramento mobiliare o immobiliare e, pertanto, la valutazione in ordine alla sussistenza dell'inadempimento dell'obbligazione principale è appannaggio del creditore. Il presupposto dell'inadempimento o ritardato adempimento dell'obbligazione principale potrebbe, tuttavia, formare oggetto di contestazione da parte del debitore che, a sua volta, potrebbe assumere di aver adempiuto correttamente e tempestivamente l'ordine giudiziale contenente l'obbligazione di facere.

Lo strumento nelle mani del debitore per avanzare contestazioni in ordine al presunto inadempimento dell'obbligazione principale, assunta dal creditore a base della richiesta di pagamento della somma comminata ex art. 614-bis c.p.c., è quello di un autonomo giudizio di accertamento negativo. Nel caso in cui il creditore abbia intrapreso le attività prodromiche all'esecuzione forzata, o abbia iniziato l'esecuzione, il mezzo di contestazione giudiziale sarà costituito, rispettivamente, dall'opposizione a precetto ex art. 615 comma 1, c.p.c., o dall'opposizione all'esecuzione (comma 2).

Si aprirà, in ciascuno di tali casi, un autonomo giudizio di cognizione avente ad oggetto l'accertamento negativo della sussistenza dell'inadempimento dell'obbligazione principale e, conseguentemente, della sussistenza dei fatti costitutivi dell'obbligazione accessoria, di natura pecuniaria, imposta al debitore ex art. 614-bis c.p.c. e divenuta attuale per effetto dell'inadempimento dell'obbligazione principale, al cui esito potrà essere riconosciuta anche la spettanza di una somma inferiore a quella richiesta o precettata.

Il richiamo previsto, con riferimento alla misura adottata in sede esecutiva, alle disposizioni di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., induce, come anticipato, a ritenere che avverso tale provvedimento sia proponibile l'opposizione agli atti esecutivi, mentre l'opposizione all'esecuzione otrà essere utilizzata nelle ipotesi di cui all'art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell'opposizione a precetto.