Come anticipato, la ratio alla base dell'originario impianto normativo era quella di sopperire all'ineffettività dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., in ragione dell'esistenza di prestazioni infungibili e, per ciò stesso, incoercibili (in questo senso, Trib. Livorno, 15 novembre 2011, in Foro it., 2014, n. 6, 1980, con nota di Mondini).
Se, dunque, l'eventuale inottemperanza spontanea da parte del destinatario dell'obbligo di demolizione, conseguente alla violazione di una servitù altius non tollendi, poteva esclusivamente dar luogo allo strumento esecutivo di cui all'art. 612, comma 2, c.p.c., ad esempio autorizzando l'ausiliario nominato ai sensi dell'art. 68 c.p.c. a provvedere alla demolizione avvalendosi di impresa specializzata, negli obblighi di facere in cui lo spontaneo adempimento dell'obbligato non risultava in alcun modo surrogabile - come la condanna di un attore ex art. 1453 c.c. all'esecuzione di uno spettacolo teatrale – interveniva lo strumento di coazione indiretta all'adempimento di cui all'art. 614-bis c.p.c..
La limitazione della sfera di applicazione agli obblighi di fare e non fare contrassegnati da una quota di infungibilità della prestazione, per altro non in linea con la tradizione delle astreintes e l'esplicita esclusione delle controversie laburistiche hanno determinato, nei primi anni di vita della norma, una scarsa fortuna della norma nella prassi giudiziale. L'opportuno intervento di riforma del 2015 ha, come detto, ampliato il novero delle controversie applicative, eliminando le preclusioni determinate dalla natura della prestazione e dalla sua infungibilità.
L'ambito applicativo risulta significativamente ampliato a seguito della novella ex d.lgs. n. 149/2022. Se, difatti, al 1° comma, viene conservato il testuale riferimento alla “condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro” ed al nuovo 5° comma si ritrovano inalterate le preclusioni relative alla natura laburistica delle controversie, al 2° comma si prevede la possibilità di richiedere la misura in sede esecutiva, non soltanto al cospetto di un provvedimento di condanna, laddove la richiesta non sia stata precedentemente proposta in sede di cognizione, ma anche di un titolo esecutivo diverso dal provvedimento di condanna, per la cui nozione occorre, dunque, rifarsi all'elencazione residuale contenuta nell'art. 474 c.p.c. n. 3. Il nuovo alinea si chiude con il rinvio alle disposizioni di cui all'art. 612 c.p.c., in quanto compatibili.
Pertanto, dopo la notificazione del precetto, l'avente diritto potrà presentare un ricorso al giudice dell'esecuzione competente, che – sentite le parti – provvederà a determinare la misura esecutiva. Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l'opposizione agli atti esecutivi, mentre l'opposizione all'esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all'art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell'opposizione a precetto.
In evidenza
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A seguito della riforma di cui al d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, le misure di coercizione indiretta (astreintes) trovano applicazione generalizzata a tutte le tipologie di obbligazione, fatte salve le obbligazioni al pagamento di una somma di danaro e quelle oggetto di accertamento nell'ambito delle controversie di lavoro.
Il campo di applicazione risulta ulteriormente ampliato dal d.lgs. n. 149/2022, in vigore dal 30 giugno 2023, che ha previsto la facoltà di chiedere la misura con ricorso al giudice dell'esecuzione, in virtù di un provvedimento di condanna o di un titolo esecutivo, ferma restando l'esclusione delle obbligazioni di natura pecuniaria
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Per quanto riguarda le obbligazioni infungibili di facere o non facere, il rimedio dell'art. 614-bis c.p.c. costituisce strumento esclusivo di coercizione indiretta all'adempimento, mentre, nel caso di obblighi di facere o non facere fungibili (es. obbligo di demolizione di un'opera, rimessione in pristino di un immobile), nonché di dare diversi dal pagamento di una somma di danaro, il mezzo di coercizione indiretta all'adempimento si affiancherà agli ordinari strumenti esecutivi, rafforzando la capacità di induzione allo spontaneo adempimento dell'ordine giudiziale.
Con riferimento alla categoria dei “provvedimenti di condanna” cui può accedere l'astreinte, appare opportuno aderire ad una tesi ampia, non limitata alle sentenze pronunciate in primo o secondo grado, ma estesa agli altri provvedimenti di condanna ad un facere o non facere, ivi inclusi quelli resi in sede cautelare (Trib. Bari, 10 maggio 2011, n. 356, in www.giurisprudenzabarese.it).
Che ciò corrisponda alle intenzioni del legislatore lo si evince con chiarezza dalla circostanza che, a differenza che nell'art. 612 c.p.c., in cui si parla di esecuzione forzata di una “sentenza” di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, l'art. 614-bis c.p.c., collocato nel medesimo titolo, utilizza la diversa e più ampia locuzione di “provvedimento di condanna”, con questo lasciando intendere la sua applicabilità a provvedimenti quali le ordinanze cautelari di condanna, ivi incluso il provvedimento adottato al termine del nuovo procedimento semplificato di cognizione, introdotto dal d.lgs. 149/2022 agli artt. 281 decies e ss. c.p.c., i decreti emessi inaudita altera parte ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., nonché i provvedimenti presidenziali o dell'istruttore nei giudizi di separazione e divorzio.
Non può escludersi, alla stregua della nuova previsione di cui al 2° comma, la possibilità di richiedere in sede esecutiva l'applicazione dell'astreinte sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale, che può essere astrattamente previsto dalle parti stesse già in sede di conciliazione, per il caso di inadempimento di una o più obbligazioni da esso contemplate.
Quanto all'applicabilità della norma al giudizio arbitrale, se, da un lato, ai sensi dell'art. 824-bis c.p.c., dalla data della sua ultima sottoscrizione il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, dall'altro, l'applicazione della norma sembra trovare ostacoli sotto il profilo soggettivo, non appuntandosi, in capo al collegio, la qualifica di organo giurisdizionale al quale, secondo la lettera della norma («Con il provvedimento di condanna, il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo»), sembrerebbe riservata in via esclusiva la possibilità di adozione della misura. In senso affermativo si registra, in giurisprudenza, App. Perugia, 14 ottobre 2019, laddove vi sia una concorde richiesta delle parti al collegio arbitrale.
Oltre che i provvedimenti di condanna ad una somma di danaro, rispetto ai quali si è ritenuto di escludere ex professo l'applicazione dell'art. 614-bis c.p.c., in ragione della pacifica esecutabilità del relativi obblighi e del rischio di rendere eccessivamente gravosa la prestazione economica richiesta al debitore, permane, anche a seguito della recente riforma, l'esclusione degli obblighi accertati nelle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c.
Le valutazioni che, in sede legislativa, hanno portato a tale esclusione riposano, verosimilmente, nelle peculiarità della materia giuslavoristica e di quella, affine, dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché nella necessità di evitare applicazioni distorsive o poco tutelanti della disposizione, in ragione delle caratteristiche connaturate alla materia.
L'esclusione appare, tuttavia, a molti ingiustificata, e passibile di censura dinanzi alla Corte costituzionale per violazione dei precetti di cui agli artt. 3 e 24 Cost., trattandosi, per altro, di settore denso di obbligazioni di facere connotate da una significativa quota di infungibilità della prestazione (si pensi, ad esempio, alla reintegrazione del lavoratore licenziato ed all'adibizione del lavoratore demansionato alle mansioni per le quali è stato assunto). Da un lato, difatti, non si rilevano profili di astratta incompatibilità logico giuridica tra l'istituto e la materia giuslavoristica posto che uno dei rari esempi di astreinte settoriali, esistenti in positivo iure, è quella prevista dall'art. 18, ult. comma, St. lav.. Sotto il profilo teleologico, inoltre, l'introduzione di un incentivo all'ottemperanza di un ordine giudiziale, quale quello di reintegrazione del lavoratore licenziato, appare vieppiù opportuna nella misura in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa costituisce fondamentale momento di esplicazione della personalità dell'individuo, tutelata dagli artt. 1, 2 e 3 della Costituzione.