La responsabilità penale di un amministratore di fatto di una società attiene soltanto ai reati societari disciplinati dal codice civile o si estende anche ai reati fallimentari?
La responsabilità penale di un amministratore di fatto di una società comprende non solo i reati societari disciplinati dal codice civile ma anche, se commessi in tale veste, i reati fallimentari. La soluzione trova l'avallo di consolidati principi giurisprudenziali.
L'art. 2639 c.c. prevede che, per i reati disciplinati dal Titolo XI del Libro V del codice civile, al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Da tale norma si evince che amministratore di fatto è colui il quale, pur non avendo un ruolo formale nell'amministrazione di una società, ne esercita concretamente e sistematicamente i poteri. Colui cioè che esercita realmente i poteri tipici di una determinata funzione o qualifica senza esserne stato investito. Come ha precisato la Corte di Cassazione, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.
Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Cass. pen., sez. V, sent., 22 agosto 2013 n. 35346. Dello stesso tenore Cass. pen., sez. V, sent., 6 novembre 2019 n. 45134 e, per i reati fallimentari, Cass. pen., sez. V, sent., 22 febbraio 2017 n. 8479).
Va da sé che, ricorrendone le circostanze, l'amministratore di fatto è chiamato a rispondere non come estraneo in concorso con gli organi legali della società bensì nella sua qualità di diretto destinatario della norma di cui all'art. 2639 c.c. (Cass. pen., 13 dicembre 2019, n. 2727).
In giurisprudenza, quindi, si è giustamente posto l'accento non sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome) ma sul criterio funzionalistico, o dell'effettività, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale (così Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2022 n. 20553). Sempre la medesima giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'amministratore di fatto, oltre ai reati societari di cui all'art. 2639 c.c., risponde anche di altri reati commessi in tale veste (Cass. pen. n. 20553/2022 cit.).
La risposta al quesito se l'art. 2639 c.c. possa estendersi anche ad altri tipi di reato diversi da quelli previsti dal codice civile (Titolo XI del Libro V), visto il richiamo espresso ad essi fatto dalla norma, è quindi senz'altro positiva.
Anche per i reati fallimentari, infatti, valgono la norma dell'art. 2639 c.c. e le interpretazioni giurisprudenziali che su essa sono state elaborate (si veda, quanto alla prova della posizione di amministratore di fatto, Cass. pen., n. 8479/2017 cit., la quale postula espressamente per i reati fallimentari l'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società). La giurisprudenza di legittimità ha anche voluto precisare nel dettaglio l'applicazione dell'art. 2639 c.c. ai reati fallimentari chiarendo per esempio che nei reati fallimentari la previsione di cui all'art. 2639 cod. civ. non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali - in tempi successivi o anche contemporaneamente - esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cass. pen., sez. V, sent., 24 aprile 2020 n. 12912). Ancor più di recente, sempre in tema di reati fallimentari, la Suprema Corte ha trattato il caso di una società deprivata di una reale autonomia da operazioni di trasformazione societaria e di cessione del principale ramo di azienda senza corresponsione del prezzo, per avviare la stessa al fallimento, ed ha precisato che la prova della posizione di amministratore di fatto non può desumersi da elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno dell'ente solo formalmente operante, ma può evincersi dal compimento anche di una singola operazione distrattiva, quando questa sia ideata per attuare il predetto disegno fraudolento di dismissione della fallita (Cass. pen., sent. V, 2 agosto 2021, n. 30197). Nessun dubbio, dunque, circa l'applicabilità dell'art. 2639 c.c. ai reati fallimentari.
In conclusione, la giurisprudenza è concorde nell'estendere la disciplina dell'art. 2639 c.c. anche ai reati fallimentari, ed a non limitarne l'efficacia esclusivamente ai reati societari disciplinati dal codice civile (Titolo XI del Libro V) nonostante il richiamo espresso ad essi da parte della norma.
Riferimenti normativi - Art. 2639 c.c.
Riferimenti giurisprudenziali - Cass. pen., sez. V, sent., 22 agosto 2013 n. 35346; Cass. pen., sez. V, sent., 22 febbraio 2017 n. 8479; Cass. pen., sez. V, sent., 6 novembre 2019 n. 45134; Cass. pen., 13 dicembre 2019, n. 2727; Cass. pen., sez. V, sent., 24 aprile 2020 n. 12912; Cass. pen., sent. V, 2 agosto 2021, n. 30197; Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2022, n. 20553.