Va preliminarmente osservato che, in recenti decisioni, la Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 12422/2021) ha affermato che “Il meccanismo del deposito di un atto giudiziario tramite PCT genera invero quattro distinte PEC di ricevuta, in cui la prima, la "Ricevuta di accettazione", attesta che l'invio è stato, appunto, accettato dal sistema per l'inoltro all'ufficio destinatario. La seconda, invece, la cd. "Ricevuta di consegna", attesta che l'invio è intervenuto con consegna nella casella di posta dell'ufficio destinatario e rileva ai fini della tempestività del deposito che si considera perfezionato in tale momento (Art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 221/2012); introdotto dall'art. 1, comma 19, l. n. 228/2012), il tutto con effetto anticipato e provvisorio rispetto all'ultima PEC, cioè subordinatamente al buon fine dell'intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva.
Le successive PEC, la terza e la quarta, attestano, rispettivamente, la terza: l'esito dei controlli automatici del deposito, sull'indirizzo del mittente, che deve essere censito in ReGIndE; il formato del messaggio, che deve essere aderente alle specifiche; la dimensione del messaggio, che non deve eccedere quella massima consentita (30 MB). La quarta PEC attesta poi l'esito del controllo manuale del Cancelliere, ovvero se il deposito è stato accettato o meno dalla Cancelleria. Con tale accettazione, e solo a seguito di essa, si consolida l'effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC e, inoltre, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo così visibile alle controparti”. In sostanza, se è vero che, ai fini della tempestività del deposito rileva la ricezione della seconda PEC, è comunque necessario che il procedimento notificatorio si perfezioni con la ricezione della quarta PEC. La rilevanza della ricevuta di consegna (seconda PEC) per la tempestività presuppone, infatti, che il deposito sia andato a buon fine, non avendo al contrario rilievo - ai fini della tempestività - in quale data il mittente abbia ricevuto la terza o la quarta PEC. Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte con la decisione in commento, la terza PEC ricevuta dal legale conteneva già delle informazioni relative all'esistenza di una problematica nel deposito. Ciò cui viene dato rilievo dai giudici di legittimità è la tipologia di anomalia segnalata dalla Cancelleria. Si legge, infatti, in sentenza che “Il d.m. 44/2011, sulle regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, rinvia (all'art. 34, comma 1) a "specifiche tecniche", stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.
Queste ultime (all'art. 14, comma 7) prevedono e codificano la seguente tipologia di possibili anomalie riscontrate dal gestore dei servizi telematici all'esito dei controlli automatici (formali) sulla busta telematica: a) warn (warning): anomalia non bloccante: si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo); b) error: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto); c) fatal: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione)”. Secondo la Suprema Corte la tipologia di errore segnalato dalla Cancelleria (“l'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna" è stata accompagnata dalla previsione che sono "necessarie verifiche da parte della cancelleria”) non avrebbe potuto far pensare al rifiuto del deposito da parte del sistema per errore irrimediabile (Fatal) e, dunque, avrebbe ingenerato nel legale della società opponente la convinzione incolpevole che il deposito sarebbe, comunque, andato a buon fine. A sostegno della conclusione in questione, i giudici di legittimità valorizzano anche il contenuto delle indicazioni informali fornite all'avvocato, recatosi in cancelleria per chiedere dei chiarimenti in ordine al deposito.
Sia l'informazione contenuta nella terza PEC che le “rassicurazioni” ricevute dalla Cancelleria, in quanto provenienti dall'amministrazione della giustizia (in senso lato), sono fonte di “affidamento qualificato e pertanto meritevole di essere preso in considerazione nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2, c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove - a cagione dei loro difetti - s'inseriscano con ruolo determinante nella catena causale che sfocia nella decadenza, fermo rimanendo che l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto è riservato al giudice del merito”. Né, secondo la Suprema Corte, il Giudice del merito può valutare, con riferimento alla rimessione in termini, quale avrebbe dovuto essere il comportamento più “diligente” da parte dell'avvocato. Secondo i giudici di legittimità “Il tuziorismo può essere scelto liberamente dall'avvocato, giammai essere imposto dal giudice, tanto meno ex post come criterio di giudizio di autoresponsabilità, ancora meno quando l'esito è la privazione del giudizio di merito sul diritto fatto valere in giudizio, come invece accadrebbe nel caso di specie”.