Secondo il giudice di merito, a fronte di quanto previsto dal d.lgs. n. 150/2011, l'opposizione all'ingiunzione di pagamento degli onorari spettanti all'avvocato, qualora venga proposta con citazione, anziché con ricorso, è da considerarsi tardiva, se depositata in cancelleria oltre il termine di cui all'art. 641 c.p.c.
Al riguardo, come noto, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, di cui alla l. n. 794/1942, art. 28, può essere introdotta – salva la possibilità di promuovere a tal fine ricorso per ingiunzione ordinario ex artt. 633 e ss. c.p.c. – mediante ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c.
In quest'ultimo caso, la proposizione dell'opposizione darà luogo ad un procedimento sommario speciale regolato dagli artt. 3, 4 e 14 del sopracitato decreto, nel secondo, invece, la successiva eventuale opposizione dovrà essere proposta ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. e ss. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con l'applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c., e, quindi, nella forma del ricorso (cfr. Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4485).
Per altro verso, occorre altresì ricordare, come il d.lgs. n. 150/2011, art. 4, con riferimento alle controversie come quelle oggetto dell'ordinanza in commento, preveda che quando una causa venga promossa in forme diverse da quelle previste dal decreto di cui sopra, il giudice disponga il mutamento del rito con ordinanza, e che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, restando ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Pertanto, ove la domanda giudiziale sia proposta in forma non corretta, quindi con citazione anziché ricorso e viceversa, essa produce i suoi effetti propri, da valutare secondo il modello concretamente seguito, ancorché difforme da quello legale.
Vi è dunque che dal richiamato ordito normativo deriva una sorta di “principio di fungibilità” tra i riti a differenza di quanto stabilito dalle norme codicistiche, in base alle quali la riconduzione al rito voluto dalla legge non incontra barriere preclusive (artt. 426 e 427 c.p.c.) ed è consentita anche in appello (art. 439 c.p.c.), dato che, anche nella loro diversità e nonostante l'attribuzione ad ognuno di essi di un ambito applicativo preferenziale, ciascuno assicura il giusto processo ex art. 111 Cost. (sul punto cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 21 febbraio 2022, n. 5659).
Ciò premesso, nel caso dell'ordinanza che qui si annota, il Tribunale aveva dato atto che solo il deposito della citazione in opposizione era stato tardivamente effettuato rispetto al termine previsto per l'opposizione, mentre tale termine risultava essere stato rispettato in relazione al diverso momento della notifica; da qui la pronuncia di inammissibilità.
Tuttavia, recentemente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2022, n. 758), hanno rimarcato il carattere innovativo dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, per aver ammesso una sanatoria piena degli effetti processuali e sostanziali prodotti dalla domanda originariamente proposta (secondo il rito erroneo concretamente applicato). La S.C., infatti, da un lato, ha ricordato come l'articolo de quo abbia escluso che l'errore sulla forma dell'atto introduttivo possa riflettersi sulla tempestività dell'opposizione stessa, tranne quando siano maturate decadenze e preclusioni (che “restano ferme”) secondo le norme seguite precedentemente e, dall'altro, che la sua ratio consiste nell'esigenza di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo.
Di conseguenza, le norme che disciplinano il rito seguito prima del mutamento rilevano come parametro di valutazione di legittimità dell'atto introduttivo del giudizio e gli effetti sostanziali e processuali della domanda vanno delibati secondo il rito (erroneo) concretamente applicato fino a quel momento, e non in base al diverso rito che avrebbe dovuto essere invece seguito, senza possibilità di applicare a ritroso preclusioni riconducibili al nuovo rito da seguire nel successivo corso del procedimento. Pertanto, nell'ipotesi in cui intervenga l'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, essa avrà una rilevanza esclusivamente pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che esso avrebbe dovuto assumere. Per tali ragioni, quindi, bisognerà guardare alla data di notifica della citazione effettuata nelle ipotesi in cui la legge prescriva il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando sia, al contrario, previsto l'atto di citazione.
Nella vicenda in esame, quindi, la decisione che era stata impugnata non si era conformata ai principi espressi dalla S.C. che, ribadendo il proprio orientamento, ha annullato la stessa.