Concordato di gruppo, conferimento di rami d'azienda e responsabilità solidale ai fini della valutazione dello stato d'insolvenza

Luigi Amerigo Bottai
10 Gennaio 2023

Una vicenda processuale piuttosto articolata e singolare ha condotto la Corte d'appello di Bologna ad affrontare una serie di questioni di diritto in sede di reclamo avverso i decreti di inammissibilità di tre concordati preventivi proposti da un gruppo di società e a confermare le dichiarazioni di fallimento delle stesse proponenti.
Le massime

La qualità di imprenditore agricolo, ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 228/2001 (norma che consente di qualificare come agricola una cooperativa, anche a mutualità prevalente, che si limiti ad acquistare beni per poi rivenderli a società da essa controllate o partecipate, al fine di consentire a queste ultime di collocarli sul mercato), necessita di dimostrazione tramite elementi probatori concreti. Laddove, per effetto di conferimento di ramo d'azienda in società controllate, l'impresa rimanga priva di impianti produttivi e cessi di svolgere ogni funzione economica riconducibile all'art. 2135 c.c. e al d.lgs. n. 228/2001, per esercitare l'attività di direzione e coordinamento di imprese certamente commerciali, la stessa diviene assoggettabile alla disciplina del fallimento.

Costituisce motivo di inammissibilità del concordato la carenza motivazionale dell'attestazione, che si traduce in insufficiente informazione dei creditori, allorché le verifiche dell'attestatore non permettano di riscontrare le difformità emerse sia in punto di contratti di locazione e dei relativi “atti integrativi” di aumento del canone, sia in tema di risoluzione di diversi contratti di leasing, pure intervenuti durante il concordato e non esplicitati; sia, infine, quanto all'adeguatezza del fondo rischi per le passività potenziali derivanti da revoca dei contributi regionali.

Nell'atto di conferimento di ramo d'azienda in una società non si ravvisa alcuna deroga al criterio civilistico di cui all'art. 2560, comma 2, c.c.; ne consegue che dei debiti risultanti dalle scritture contabili del conferente, rientranti nel ramo d'azienda oggetto di trasferimento, risponde solidalmente anche la società conferitaria. In difetto di esplicita esclusione di taluni debiti bancari, considerata l'originaria unitarietà dell'impresa e dell'azienda, essi non possono non ritenersi “inerenti” al ramo gestito dalla conferente e successivamente conferito. Inoltre, essendo la norma sull'accollo ex lege dettata a tutela dei creditori, la delimitazione della responsabilità a quanto risultante dai libri contabili obbligatori cede di fronte all'assenza sostanziale di alterità soggettiva delle parti titolari dell'azienda nella vicenda circolatoria (Cass. S.U. 5054/2017) e segnatamente quando la finalità di protezione debba prevalere per evitare artificiose scissioni delle responsabilità e dei cespiti attivi dal passivo (Cass. 32134/2019).

Il caso

Una vicenda processuale piuttosto articolata e singolare ha condotto la Corte d'appello di Bologna ad affrontare una serie di questioni di diritto in sede di reclamo avverso i decreti di inammissibilità di tre concordati preventivi proposti da un gruppo di società e a confermare le dichiarazioni di fallimento delle stesse proponenti. In estrema sintesi (imposta dai 15 motivi di reclamo) qui si può anticipare come la Corte felsinea, in diversa composizione per ciascuna sentenza, abbia dovuto dapprima esaminare le eccezioni di rito in tema di ricusazione e competenza, per poi dedicare ai profili di merito le più interessanti considerazioni.

I fatti possono così delinearsi: nel corso del 2020 un consorzio di cooperative agricole (OPOE), attivo nella raccolta e trasformazione della materia prima agricola (pomodori) per la realizzazione di prodotti agroalimentari confezionati e rivenduti all'ingrosso, aveva costituito due newco - l'una controllata dall'altra, “a cascata” -, conferendo ad esse gran parte dei beni aziendali (impianti industriali di trasformazione) e divenendone la holding operativa, anche quale soggetto coordinatore degli approvvigionamenti provenienti dalle proprie consorziate; la diretta partecipata (Cento Food srl), disponendo dello stabilimento di trasformazione, avrebbe assunto il ruolo produttivo e la sub-controllata (Italia Food Factory srl) avrebbe dovuto provvedere alla commercializzazione dei prodotti. Successivamente, perdurando la crisi del gruppo, quest'ultima società e la holding OPOE avevano concesso in affitto a Cento Food le rispettive aziende allo scopo di ricercare soluzioni “unitarie” per assicurare la continuità operativa dell'intero complesso, sotto la guida di un diverso operatore, in vista della campagna di raccolta 2021. Infine, la Cento Food, all'esito di procedura competitiva privata, aveva ceduto a sua volta in affitto ad una quarta società (Conserve Italia Coop., esterna al gruppo) l'originario complesso aziendale della OPOE per almeno due campagne di raccolta dei pomodori.

Nel frattempo il Tribunale di Roma, davanti al quale erano state presentate, nei primi mesi del 2021, tre istanze di fallimento nei confronti della capogruppo OPOE, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore di quella del Tribunale di Ferrara, anche sul ricorso prenotativo di concordato nelle more presentato da OPOE.

Riassunto il procedimento concordatario dinanzi al tribunale competente, OPOE e le altre due società del gruppo depositavano tre richieste di assegnazione di termine ex art. 161, comma 6, l.fall. e, di poi, separatamente le rispettive proposte concordatarie con i relativi piani - strutturati nella ricostituzione unitaria, tramite fusione, dell'azienda in precedenza parcellizzata, in vista della sua futura cessione a terzi -, con previsione, nel frattempo, della continuazione del contratto di affitto di azienda con Conserve Italia.

I tre procedimenti venivano riuniti per evidenti ragioni di connessione, trattandosi di un concordato di gruppo i cui piani erano tra loro inscindibilmente collegati, e il giudice delegato, attesa la presenza di numerose criticità nella proposta e nei piani depositati, assegnava alle richiedenti i termini per chiarimenti e integrazioni con comunicazione della nuova udienza al PM ex art. 162 l.fall.

A detta udienza il P.M. chiedeva a verbale il fallimento di tutte le società, ma i difensori comunicavano che era stato loro revocato il mandato, era stato altresì revocato l'amministratore delle proponenti e nominato un soggetto diverso e che l'assemblea delle società aveva deliberato di promuovere azione di responsabilità verso il precedente amministratore per aver richiesto il concordato senza che ve ne fossero i presupposti. Non solo: venivano addirittura promosse due istanze di ricusazione del G.D. (rigettate dal Tribunale) e sollevata l'eccezione di incompetenza del Tribunale di Ferrara in favore di quello di Roma. Ma quel che rileva è che, all'esito dell'ultima udienza sull'inammissibilità dei concordati, il nuovo difensore avesse ribadito l'intenzione di coltivare la domanda di concordato sia pure con una proposta migliorativa per i creditori, in tal guisa contraddicendo la precedente affermazione sull'insussistenza dei presupposti della crisi.

Il decreto di rigetto dei concordati (siccome riuniti) e le contestuali sentenze di fallimento sono poi stati confermati dalle due sentenze della Corte d'appello di Bologna in commento, che, reputando di non dove riunire gli autonomi reclami per non rendere “più gravoso il processo ex art. 103 c.p.c.”, hanno respinto i numerosi motivi di reclamo sulla base di puntuali argomentazioni e dei principi di diritto riportati in apertura.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Non potendo qui ripercorrere (per ragioni di spazio e di interesse) ogni singolo motivo di gravame (rispettivamente sette e otto nei due reclami), è possibile tuttavia enucleare almeno quattro questioni di rilievo, che non sono frequentemente rinvenibili in un unico caso. Esse vertono in sostanza:

  • nella qualificazione di un comportamento processuale del proponente che, revocando il proprio legale rappresentante e i propri difensori, ritiene di poter contestare i presupposti di fatto (i.e. lo stato di crisi) su cui si fondava la domanda di accesso al concordato e, comunque, “preannuncia” di proporre una nuova domanda di concordato, a termini ex art. 162 l.fall. scaduti, basata su un piano diverso dal precedente;
  • nella configurazione come agricola di un'attività di raccolta e trasformazione della materia prima agricola, con rivendita del prodotto lavorato sul mercato;
  • nella possibilità o meno di riunione delle proposte di concordato e dei relativi procedimenti, in presenza di piani inscindibilmente collegati elaborati da tre società (aventi sedi distinte, ma) costituenti un gruppo unitario di imprese, con conseguenti possibili conflitti d'interesse fra curatori fallimentari;
  • nella rilevanza della solidarietà ex art. 2560, comma 2, c.c. in ipotesi di conferimento di rami d'azienda, anche ai fini della sussistenza dello stato d'insolvenza, peraltro contestato per via di stime ritenute errate e inattendibili dal nuovo difensore.

Le ulteriori tematiche discusse nel decreto d'inammissibilità e/o nelle sentenze di fallimento, e respinte come eccezioni inammissibili o del tutto infondate (anche grazie alla puntuale confutazione “documentale” offerta dai fallimenti convenuti), attenevano:

i) alla reiterazione di motivi di ricusazione del giudice delegato (per aver notiziato il PM dell'insolvenza e, in precedenza, dato suggerimenti “pratici” e di mero buon senso al debitore),

ii) alla competenza territoriale (v. subito appresso),

iii) alla legittimità di un'istanza di fallimento presentata oralmente dal Pubblico Ministero in udienza ex art. 162 l.fall.,

iv) alla responsabilità del precedente organo gestorio e dei precedenti difensori nell'aver depositato piani e proposte di concordato costruiti su dati intenzionalmente “gonfiati” (secondo la prospettazione del nuovo difensore) e

v) alla richiesta di condanna dei precedenti difensori, del loro studio associato e dei precedenti amministratore delegato e presidente della società proponente, alla luce dell'abusività della domanda concordataria per le dolosamente errate valutazioni delle aziende, con conseguenti perdite patrimoniali (a vantaggio di Conserve Italia) e, così, per responsabilità processuale aggravata ex artt. 96 c.p.c., 22 l.fall. e 2059 c.c. nell'aver causato “l'ingiusto fallimento” di OPOE.

Ci si trova, dunque, al cospetto di una sorta di “antologiadi questioni giuridiche, condensate in un'unica vicenda processuale, che si possono analizzare partitamente.

Sgombrato il campo dalla pregiudiziale ricusatoria (davvero pretestuosa), il decreto di inammissibilità dei concordati così come le sentenze di fallimento hanno ribadito la competenza territoriale ferrarese sia perché già stabilita dal Tribunale capitolino inizialmente adito, sia perché ammessa e argomentata dalle medesime società ricorrenti, avendo le tre società sede solo fittizia a Roma (presso lo studio di un commercialista) ma effettiva in Cento ove era altresì situato l'impianto di trasformazione del pomodoro.

Per le due società controllate da OPOE tutti gli atti successivi alla costituzione erano collocabili a Cento (il centro direttivo degli affari, gli uffici amministrativi e i dipendenti, le stipule degli affitti d'azienda, le delibere ex art. 152 l.fall. del legale rappresentante ivi residente) e, d'altro canto, mancava un qualunque elemento contrastante tale conclusione.

L'unico profilo dubbio avrebbe potuto riguardare la competenza territoriale per la capogruppo OPOE, il cui trasferimento della sede legale da Roma a Ferrara era avvenuto ad aprile 2021, quindi nell'anno anteriore alla domanda di concordato e alla dichiarazione di fallimento, come tale irrilevante ex artt. 9, comma 2, e 161 l.fall.

Ancorché il rilievo fosse astrattamente corretto (cfr. Cass. sez. VI, 16 dicembre 2021, n.40476; Cass. sez. VI, 3 febbraio 2020, nn. 2336 e 2337, per le quali l'art. 9, comma 2, l.fall. stabilisce un criterio di collegamento la cui applicazione prescinde totalmente dall'accertamento del carattere fittizio dello spostamento della sede, presupponendo che, in quanto avvenuto nell'anno anteriore, esso abbia avuto luogo al mero scopo di ritardare la dichiarazione di fallimento o di determinare l'incardinazione del relativo procedimento presso un ufficio giudiziario diverso), tuttavia le curatele fallimentari e i giudici d'appello hanno avuto agio di replicare, citando Cass. sez. VI, 10 giugno 2021, n. 16336 e altre conformi, come la competenza ferrarese per OPOE fosse ormai divenuta definitiva per mancata impugnazione del provvedimento romano che l'affermava (per giunta con adesione della medesima società), mentre per le due controllate – neppure mai trasferite da Roma - l'eccezione di incompetenza fosse stata sollevata ben oltre la prima udienza di concordato e prefallimentare, dunque tardivamente ai sensi dell'art. 38 c.p.c.

Per esse valeva comunque il criterio generale della sede effettiva – oggi ribadito dall'art. 27, commi 2 e 3, CCI, che introduce il concetto di “centro degli interessi principali” di derivazione eurounitaria (il c.d. COMI) - e, nella specie, la presunzione juris tantum della coincidenza con la sede legale era stata superata dalla prova che essa fosse a Ferrara e che quella legale fosse meramente fittizia.

Si aggiunga che Cass. sez. I, 9 novembre 2021, n. 32664, sottolinea come sia onere del debitore che conosce della pendenza dell'istruttoria prefallimentare, anteriormente introdotta, proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell'istanza di fallimento, anche quando lo ritenga incompetente, affinché i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale, e senza che una siffatta condotta determini acquiescenza ad una eventuale violazione dell'art. 9 l.fall. E qui OPOE aveva in effetti presentato la domanda prenotativa a Roma, prima del trasferimento imposto da quest'ultimo tribunale.

Più interessante appare il motivo di impugnazione incentrato sulla pretesa natura agricola dell'attività svolta dalla capogruppo OPOE, la quale era un consorzio di cooperative agricole e, diversamente da quanto affermato dal Tribunale (che aveva omesso di sentire l'autorità governativa di vigilanza ai sensi dell'art. 195 l.fall.), avrebbe avuto natura di impresa agricola (a mutualità prevalente), iscritta come tale al registro imprese e pertanto non sarebbe stata assoggettabile a fallimento.

La curatela deduceva che OPOE, insistendo sino all'ultimo per il concordato, avesse rinunciato all'eccezione della sua qualifica “agricola”, comunque mai avanzata prima del cambio di difensore, incorrendo nella decadenza sancita con l'udienza ex art. 162 l.fall.

La Corte, anche volendo ritenere tempestiva l'eccezione e non implicitamente rinunciata con la richiesta di nuovo termine per il deposito di un diverso concordato (post udienza di inammissibilità), ha giudicato la questione “palesemente infondata”, per concomitanti ragioni. Nell'inconferenza del richiamo all'art. 195, comma 3, l.fall. in tema di procedimento per l'accertamento dello stato di insolvenza della cooperativa nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa – OPOE era formalmente un consorzio con attività esterna -, si è appurato che la reclamante non avesse allegato, a suffragio della propria tesi, alcun elemento concreto; fermo restando che tra i consorziati di OPOE erano presenti imprenditori non agricoli, i giudici bolognesi hanno osservato come essa, prima del conferimento dell'azienda in Cento Food e IFF, ricevesse “dalle consorziate e anche da terzi la materia prima, la lavorava nel proprio impianto e la commercializzava. Successivamente alle operazioni di riorganizzazione aziendale mediante parcellizzazione del complesso aziendale tra le due società di nuova costituzione, l'odierna reclamante, rimasta priva di impianti produttivi, fino a tutta la primavera del 2021 ha acquistato la materia prima (anche e) soprattutto da terzi” (dall'esame dei partitari luglio 2020-giugno 2021, prodotti dal fallimento, si ricava come l'entità degli acquisti di materia prima dai soci fosse pari ad appena il 28% del complessivo) e l'ha venduta alle società partecipate per la lavorazione e commercializzazione.

Ergo, dopo i conferimenti effettuati all'inizio del 2020 e, poi, con gli affitti di azienda del 2021, il consorzio ebbe a cessare ogni attività di carattere latamente “agricolo” riconducibile all'art. 2135 c.c. e al d. lgs. n. 228/2001, proseguendo lo svolgimento di attività commerciale. Non si poteva più considerare imprenditore agricolo, infatti, il consorzio di cooperative che non utilizzasse per lo svolgimento delle attività di cui all'art. 2135, comma 3, c.c., in misura prevalente i) prodotti dei soci, ii) ovvero attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola, ovvero che iii) non fornisse prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico.

E' noto, in proposito, che ai fini dell'esonero dal fallimento delle società cooperative fra imprenditori agricoli e dei consorzi di produttori che commercializzano i prodotti degli associati, occorre procedere alla verifica:

a) della forma sociale e della qualità dei soci, anche attraverso le clausole statutarie e il loro tenore;

b) dello svolgimento di attività agricole in senso proprio o di attività “connesse” alle prime, anche in via esclusiva, da parte della società o del consorzio, ai sensi dell'art. 2135, comma 3, c.c.;

c) dell'apporto prevalente dei soci o della destinazione prevalente a questi ultimi di beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico, ai sensi dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 228/2001 (Cass. sez. I, 16 gennaio 2018, n. 831; v. anche Cass. sez. VI, 12 maggio 2016, n. 9788).

Va peraltro rimarcato che la qualifica di imprenditore agricolo non può essere ricondotta allo svolgimento delle sole attività connesse a quelle agricole, in assenza di queste ultime (Cass. sez. VI, 10 novembre 2016, n. 22978).

A seguito delle operazioni straordinarie di costituzione delle due società controllate e di conferimento ad esse del ramo d'azienda produttivo, invero, OPOE divenne di fatto la holding del gruppo, con ruolo di direzione e coordinamento di imprese certamente commerciali e di ausilio alle stesse.

Peculiare è risultato, invece, il motivo di reclamo (il terzo per OPOE, il secondo per IFF) con cui si lamentava come il Tribunale avesse oltrepassato la sua funzione di mero controllo della completezza e regolarità della documentazione e della fattibilità giuridica del concordato, dichiarandone l'inammissibilità sulla base di una motivazione apparente. Su ciò la Corte felsinea evidenzia “l'insanabile contrasto non solo logico, ma anche fattuale, tra la nuova posizione assunta dalla società, tramite il suo difensore, e la precedente proposta, sottintendente (per lo meno) lo stato di crisi di OPOE”, dal momento che OPOE, al pari delle altre società, ha solo da ultimo negato di versare in tale stato (anche solo di crisi), assumendo di trovarsi in una situazione alquanto “liquida” e del tutto difforme da quella descritta nella proposta concordataria. Il nuovo difensore ha, infatti, “criticato aspramente il piano e i relativi presupposti, contestando l'esistenza di debiti scaduti verso le banche e spingendosi ad addebitare ai precedenti professionisti l'indicazione di debiti inesistenti, al fine di aumentare il passivo e convincere dell'insolvenza, e lo svilimento dell'attivo allo scopo di assecondare la cessione dell'azienda a un soggetto predeterminato”.

Se, in concreto, siffatta motivazione rappresenta (per chi legge dall'esterno) l'unica spiegazione logica del revirement effettuato dalle proponenti, sotto il profilo processuale un tale ripensamento, oltre a non ritenersi ammissibile – posto che si confutano fatti ormai acquisiti al procedimento e fino allora non contestati a termini dell'art. 115 c.p.c. -, obbliga il giudicante a valutare se permanga la fattibilità giuridica del piano o se, in forza delle sconfessate valutazioni dell'azienda nel suo complesso, dei crediti e delle disponibilità liquide, possa configurarsi “il disegno fraudolento della domanda abusiva” (ché smentisce l'impianto concordatario), come sancito dal primo giudice.

Nella prospettiva della (tardiva) contestazione del proprio stato di crisi, viceversa affermato nella domanda di accesso, giova ricordare che il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non riguarda le conclusioni desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. sez. III, 5 marzo 2020, n. 6172; Cass. sez. VI, 21 dicembre 2017, n. 30744), sicché, nella specie, il nuovo difensore avrebbe dovuto confutare per tabulas lo stato di crisi e, per converso, dimostrare documentalmente la situazione di non insolvenza delle società.

Il solo annuncio di voler presentare una nuova proposta di concordato, a termini scaduti ai sensi dell'art. 162 l.fall., è stato chiaramente sanzionato da Cass. sez. I, 31 marzo 2016, n. 6277, con la decadenza e la connessa inammissibilità della domanda, attesa la natura perentoria del termine, prorogabile solo in presenza di giustificati motivi che devono essere allegati dal richiedente e valutati dal giudice.

Il presupposto fattuale dell'intero reclamo sarebbe stato addirittura quello dell'“impugnazione incidentale” per nullità delle delibere assembleari 14 aprile 2021 di (ri)trasferimento della sede di OPOE da Roma a Cento e di sostituzione/modifica dei componenti del cda per una presunta mancata convocazione di soci; domanda valutata come inammissibile in sede di reclamo ex art. 18 l.fall., neppure essendo state fatte valere concrete conseguenze sul processo in corso, e comunque (quand'anche considerata come semplice eccezione) carente “di ogni specifica allegazione e tanto meno dimostrazione”. Tutto questo – conclude la Corte d'appello – “appare in effetti radicalmente incompatibile con il permanere della domanda di concordato, mai revocata, e persino con l'intento solo dichiarato di presentare una proposta “migliorativa” per i creditori (…) il cui contenuto non è mai stato prospettato, e che presuppone pur sempre la crisi ex art. 160, comma 1, l.fall.: mancando la quale, manca un fondamentale presupposto giuridico dell'ammissibilità della procedura”.

Di qui l'interruzione della procedura concordataria in limine, stante la conclamata assenza del requisito di fattibilità (se si vuole giuridica, in realtà, ancor prima, logica e di senso comune). Proseguendo la disamina, poi, la Corte apprezza le censure della difesa della curatela in ordine “all'insufficienza e carenza motivazionale dell'attestazione, che si traduce in insufficiente informazione dei creditori e quindi in autonomo motivo di inammissibilità del concordato”, sia in merito alle omissioni sugli “atti integrativi” dei contratti di locazione, che avrebbero determinato ingenti aumenti del canone (rilevanti per i contratti d'affitto d'azienda), sia in tema di risoluzione di diversi contratti di leasing, intervenute durante il concordato e non dichiarate, sia infine quanto all'adeguatezza del fondo rischi per le passività potenziali derivanti dalla revoca dei contributi regionali.

In ultimo, le sentenze affrontano il tema centrale della responsabilità solidale da conferimento di ramo d'azienda, contestata dalle reclamanti vuoi sotto l'aspetto della riunione delle tre domande di concordato in unico procedimento, “esulandosi dal concetto di continenza di cause e dall'ipotesi di procedimento prefallimentare e di concordato riguardanti unico soggetto”, vuoi per la trattazione unitaria di “situazioni confliggenti per soggetti diversi, e solo per applicare in modo illegittimo l'art. 2560 c.c.”.

Il coordinamento fra le tre procedure di concordato, oggettivamente ed evidentemente connesse per le questioni sottese, pur dovendo lasciare separate le relative masse attive e passive (solo di fatto “concordato di gruppo”), era “auspicabile ed è stato materialmente operato nella forma, non obbligata né vietata, della riunione, in sé effettivamente discrezionale e insindacabile” (p. 24 sent. OPOE). Il procedimento è poi sfociato in un unico decreto di inammissibilità, ma le sentenze dichiarative di fallimento, come le conseguenti procedure, sono rimaste distinte, con separazione delle masse e dei curatori. Quanto infine alla nomina di tre curatori diversi per i tre fallimenti, essi secondo le reclamanti, appartenendo al medesimo studio, opererebbero “in conflitto di interessi”, ma i giudici di secondo grado rilevano che il conflitto deve ricorrere in concreto, per circostanze specifiche non ravvisabili a priori ove siano nominate persone fisiche diverse, ancorché presso lo stesso studio; e che se anche fosse stato nominato un unico curatore-persona fisica, sarebbe ben possibile la nomina di curatore speciale ex art. 78 c.p.c. ove detto conflitto si configuri (ad es. nella verifica del passivo), e anche solo con riguardo a determinati e specifici affari o questioni.

Per quanto concerne la perdurante insolvenza delle tre debitrici è la sentenza n. 1303/2022 (relativa a IFF) ad illustrare con dovizia di argomenti l'erroneità del gravame, in cui la si nega asserendo che le singole masse passive debbono rimanere separate, con conseguente depurazione di gran parte dei debiti rivenienti dai conferimenti dei rami d'azienda.

Il Collegio decidente, oltre a rammentare come lo stesso reclamo avesse descritto l'origine delle difficoltà finanziarie del gruppo (risalente al 2019 per il rifiuto delle banche di rilasciare le fideiussioni necessarie a garantire gli acquisti della materia prima), enuncia i principi generali in tema di trasferimento d'azienda, pacificamente applicabili al sottotipo “conferimento” in altra società alla luce dell'inesistenza di deroghe al criterio civilistico dettato dall'art. 2560 c.c. Né quegli specifici atti di conferimento avevano previsto eccezioni o discipline particolari derogatorie. Anzi, è proprio l'atto di conferimento da CF a IFF (entrambe neocostituite) ad individuare nella perizia allegata ingenti debiti verso fornitori evidentemente rivenienti dal conferimento della capogruppo OPOE. Del pari, i debiti bancari, sorti tutti in capo alla holding, risultano trasferiti “a cascata” secondo le quantità corrispondenti ai rami conferiti siccome inerenti agli stessi. Le rispettive quote di debiti generali sono rilevate dalle perizie valutative allegate alle proposte di concordato e asseverate dall'attestatore.

E' piuttosto la “non inerenza” di essi ad un ramo a dover essere dimostrata dal debitore – prova nella specie mancata -, considerando che i rami non preesistevano al conferimento e l'azienda era unitariamente gestita dalla capogruppo. In ordine ai debiti tributari è il contribuente a dover provare, tramite esibizione dei libri contabili nonché del certificato di cui all'art. 14 D.lgs. 472/1997, che quelli dei quali viene richiesto il pagamento non ineriscano al ramo trasferito (così Cass. sez. trib., 11 aprile 2022, n. 11678).

Non si può obliterare inoltre che, per Cass. sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5054, deve sussistere un'effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell'azienda affinché operi la separazione di responsabilità con riferimento ai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento che risultino dai libri contabili obbligatori; altrimenti il principio solidaristico fissato dall'art. 2560, comma 2, deve essere applicato tenendo conto della "finalità di protezione" della disposizione ogniqualvolta venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall'altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato (Cass., sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32134).

Nel caso di una newco avente la conferente nella compagine sociale, come nella fattispecie in commento, “è certa la continuità e non alterità soggettiva e oggettiva all'atto dei conferimenti (…) che congiunta all'unitarietà del compendio aziendale fa in effetti ritenere gli atti volti all'esigenza di frazionare soprattutto il passivo in modo da proseguire l'attività nonostante la crisi in atto, come la successiva giuridica riunificazione (eseguita o prospettata) induce pure a concludere” (così sent. IFF, p. 21).

Ne consegue che la mole di debiti derivanti dalla capogruppo e accollati ex lege alle conferitarie per le ragioni dette ha determinato uno squilibrio tra attivo e passivo di tutte e tre le società che non poteva in alcun modo essere colmato dai soli flussi previsti in entrata. Di talché la manifesta infattibilità del concordato (giuridica o economica non cambia) emergeva anche per questa via.

Osservazioni

Muovendo da quest'ultimo profilo, ossia dal principio per cui il conferimento di un'azienda commerciale nel capitale sociale di una società (di capitali o di persone) costituisce una fattispecie di cessione d'azienda e ad essa sono applicabili gli artt. 2558 e 2560 c.c., si può affermare come esso rappresenti un'acquisizione pacifica in giurisprudenza e in dottrina (cfr., e pluribus, Cass. sez. trib., 28 febbraio 2022, n.6599; Cass. sez. III, 5 luglio 2019, n. 18070; Cass. sez. II, 26 settembre 2019, n. 24101; Cass. sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5054; Cass. sez. II, 28 settembre 2004, n. 19454; Cass. Sez. I, 16 maggio 1997, n. 4351. In dottrina, cfr., da ultimo, L. Mandrioli, La responsabilità della società conferitaria per i debiti dell'azienda conferita, in giustiziacivile.com, 16 settembre 2022; G. Palumbo, Conferimento di ramo di azienda e responsabilità solidale delle parti, in IUS societario, 23 marzo 2022; in generale si v. G.B. Portale, Conferimenti in natura ed effettività del capitale nella “società per azioni in formazione”, in Riv. soc., 1994, 1 ss.; N. Abriani, Il nuovo regime dei conferimenti in natura senza relazione di stima, in Riv. not., 2009, 296 ss.; F. Corsi, Conferimenti in natura senza stima: prime valutazioni, in Giur. comm., 2009, I, 12 ss.; G. Ferri jr., La nuova disciplina dei conferimenti in natura in società per azioni: considerazioni generali, in Riv. soc., 2009, 253 ss.; C. Ibba, Osservazioni sulla stima dei così detti conferimenti senza stima, in Giur. comm., 2009, I, 929 ss.; A. Guaccero, Conferimento d'azienda bancaria e successione processuale: le vicende dell'impresa, in Riv. soc., 1999, 1021 ss.).

L'ambito applicativo dell'art. 2560 cpv. c.c., che si riferisce al trasferimento dell'intera struttura aziendale o di parti (o rami) di essa idonee a costituire autonome unità organizzative e produttive (intese, quindi, come entità economiche organizzate in maniera stabile rispetto alla azienda principale, dotate di una loro autonomia funzionale: Cass. sez. I, 23 dicembre 2016, n. 26953; Cass. civ. 13319/2015), incontra solo il limite - ritenuto evidente e sopra menzionato anche nella decisione in commento - della carenza di un'effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell'azienda, come nell'ipotesi di trasformazione, anche eterogenea, della forma giuridica del soggetto (art. 2498 c.c. e ss., stante la continuità dei rapporti giuridici pendenti) e in quella di conferimento dell'azienda di un'impresa individuale in una società unipersonale (che non costituisce una trasformazione in senso tecnico) in cui, pure, è ravvisabile una perdurante identità soggettiva sostanziale e significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell'azienda, sottesa all'art. 2560 c.c. (Cass. sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5054). Proprio le Sezioni Unite hanno enunciato un altro principio rilevante in tema, qual è la responsabilità solidale del cessionario/conferitario soltanto per i debiti effettivamente risultanti dalle scritture contabili, non essendo sufficiente a)che le sopravvenienze passive siano semplicemente riconducibili a rapporti giuridici risultanti dai libri contabili obbligatori, né b) che si verta in una situazione non già di debito, bensì di soggezione ad una successiva azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del solvens.

Ciò in quanto l'iscrizione dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente dell'azienda - la prova che il debito non inerisce al ramo d'azienda ceduto spetta a chi lo contesti: Cass. sez. trib., 11 aprile 2022, n. 11678 - e, data la natura eccezionale della norma (art. 2560 c.c.) che prevede tale responsabilità, non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza dei debiti era comunque conosciuta da parte dell'acquirente medesimo (Cass. sez. III, 10 novembre 2010, n. 22831; Cass. sez. lav., 3 aprile 2002, n.4726). La ratio della norma risiede non solo nell'esigenza di tutelare i terzi creditori dell'impresa (sufficientemente garantiti pure dal primo comma del medesimo art. 2560), ma anche nel consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti, specificità che va esclusa nell'ipotesi in cui i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e carenti nell'indicazione del soggetto titolare del credito, non potendosi in alcun modo integrare un'annotazione generica delle operazioni mediante ricorso a elementi esterni di riscontro (Cass. sez. II, 3 settembre 2021, n. 23881).

E' dunque onere di chi voglia far valere i crediti contro l'acquirente dell'azienda provare, fra gli elementi costitutivi del proprio diritto, anche l'iscrizione nei libri contabili (Cass. Sez. VI-3, 26 settembre 2017, n. 22418); la prova, tuttavia, può essere offerta anche attraverso altri riscontri e mediante presunzioni (Cass. n. 23881/2021 cit.). Peraltro, in caso di mancanza di scritture contabili occorre tener conto della "finalità di protezione" della disposizione, finalità che consente all'interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall'altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato (Cass. sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32134, cit.)

L'essenza del fenomeno traslativo determina nell'alienante l'acquisto della posizione di socio della società conferitaria, ma, salvo che non risulti il consenso dei creditori, egli non è liberato dai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, rimanendo, quindi, ancora legittimato a contestarne l'esistenza; invece la corresponsabilità del cessionario nei confronti dei creditori aziendali postula l'annotazione dei debiti nei libri contabili obbligatori, ai sensi dell'art. 2560, comma 2, c.c. (Cass. sez. II, 26 settembre 2019, n. 24101).

Naturalmente, per l'applicazione dell'art. 2560 si deve trattare di debiti in sé soli considerati e non anche quando essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. In tal caso la responsabilità si inserisce nell'ambito della più generale sorte del contratto (purché non già del tutto esaurito: Cass. sez. II, 3 dicembre 2021, n. 38356).

L'altro aspetto delle due sentenze in commento meritevole di approfondimento è sulla gestione unitaria della fase prenotativa delle tre procedure di concordato (peraltro neppure aperte) a carico di tutte le società del gruppo (c.d. procedural consolidation, su cui v. A. La Malfa, Note in merito al consolidamento processuale nelle procedure di gruppo, in I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2020, 93;C. Ravina, Concordato di gruppo: inammissibile la confusione delle masse attive e passive, in questo portale, 18 novembre 2015).

Fermo il principio della distinzione tra le masse attive e passive delle singole società che accedettero alla procedura, i giudici di prime cure si limitarono a riunire i tre procedimenti e a disporre un coordinamento di carattere esclusivamente procedurale.

La legge fallimentare, com'è noto, non prevede norme sul concordato di gruppo – ora finalmente inserite negli artt. 284 ss. CCI (cfr. ora L. Panzani, Il concordato di gruppo, in Fall., 2020, 1342; F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo Correttivo, Milano, 2022, 707; S. Pacchi, S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, II ed., Bologna, 2022, 314; S. Sanzo, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, Bologna, 2022, 562 -, di conseguenza l'unico “consolidamento” ammissibile avrebbe potuto essere sul piano gestionale/procedimentale, contrariamente ad altri ordinamenti ove, ricorrendo determinate condizioni, si può procedere al consolidamento anche sul piano patrimoniale delle masse attive e passive delle singole società (substantive consolidation: cfr. D. Vattermoli, Gruppi insolventi e “consolidamento” di patrimoni (substantive consolidation), in Riv. Soc., 2010, 586 ss. Nella fattispecie in commento la riunione dei procedimenti disposta dal tribunale è stata ritenuta ammissibile anche da Cass. sez. I, 20 febbraio 2020, n.4343, secondo cui la domanda di concordato preventivo e il procedimento prefallimentare debbono essere coordinati in modo da garantire che la soluzione negoziale della crisi, ove percorribile, sia preferita al fallimento.

Pertanto, ove siano contemporaneamente pendenti dinanzi ad uno stesso ufficio giudiziario, gli stessi possono essere riuniti ex art. 273 c.p.c., anche d'ufficio, consentendo una siffatta riunione di raggiungere l'obiettivo della gestione coordinata. E tale soluzione deve valere, a fortiori, per procedimenti solo concordatari riguardanti tre società l'una controllata dall'altra ex art. 2359 c.c. e aventi ad oggetto la destinazione (tramite affitto e successiva vendita unitaria) dell'unica azienda.

Orbene, è vero che l'istituto del concordato cd. di gruppo resta avvinto al fenomeno societario corrispondente, quale appunto il gruppo di società, oggetto di riconoscimento solo indiretto, senza formule definitorie, da parte dell'artt. 2497 ss. c.c. (v. Cass. sez. I, 31 luglio 2017, n. 19014), ma la mancanza fino ad oggi di una disciplina positiva – lacuna colmata, come visto, con il Codice della crisi e dell'insolvenza – non avrebbe dovuto impedire la trattazione congiunta di procedure obiettivamente unite (sotto il profilo soggettivo) dal vincolo del controllo diretto delle rispettive società e dall'esistenza di un unico piano di ristrutturazione. Purché resti indefettibile il mantenimento del principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. per ciascuna società del gruppo, con necessaria separazione delle masse attive e passive e con votazioni separate (v., ex multis, Cass. sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26005; C. App. Roma, 5 marzo 2013; Trib. Palermo 4 giugno 2014, n.5513; Trib. Ferrara 8 aprile 2014; Trib. Roma 18 aprile 2013; Trib. Terni, 30 dicembre 2010, in unijuris.it; App. Genova 23 dicembre 2011, in ilcaso.it; Trib. Crotone 28 maggio 1999, in Dir. prat. soc., 1999, 17, 84). Anche sul versante del potenziale “conflitto di interessi” fra i curatori dei tre fallimenti, in quanto appartenenti allo stesso studio, la cui posizione avrebbe dovuto indurre il tribunale a separare le procedure e nominare organi distinti, vige il principio per cui il conflitto di interessi non può rimanere ipotesi astratta, bensì deve tradursi in un concreto e specifico contrasto tra un centro autonomo di interessi, ancorché non dotato di personalità giuridica, ed il suo rappresentante, sicché esso s'applica anche quando il conflitto di interessi sorga tra il fallimento ed il suo curatore (come nell'ipotesi in cui si controverta sulla misura del compenso), con la conseguenza che il curatore ove intenda impugnare un provvedimento in tale situazione deve richiedere previamente - al giudice adito - la nomina di un curatore speciale per il fallimento, nei cui confronti va proposto il gravame, a pena di inammissibilità (Cass. sez. I, 3 marzo 2022, n. 7070).

Nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza il concordato preventivo di gruppo e la liquidazione giudiziale di gruppo ricevono un'esaustiva regolamentazione negli artt. 284 ss. Anzitutto per la competenza territoriale, individuata ora nel centro degli interessi principali delle imprese coinvolte (art. 27 CCI); ove esse si trovino in circoscrizioni giudiziarie diverse la competenza è determinata in relazione al COMI della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista dall'art. 2497 bis c.c., esercita l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all'ultimo bilancio approvato (art. 286 CCI); per la liquidazione giudiziale il tribunale competente è quello dinanzi al quale sia stata depositata la prima domanda di liquidazione giudiziale, ma qualora la domanda di accesso alla procedura sia presentata contemporaneamente da più imprese dello stesso gruppo la competenza resta individuata come per il concordato (art. 287, comma 4, CCI).

Anche la disciplina processuale chiarisce che 1) nel concordato il tribunale nomina un unico giudice delegato e un unico commissario giudiziale per tutte le imprese del gruppo e dispone il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia; 2) i costi della procedura sono ripartiti fra le imprese del gruppo in proporzione delle rispettive masse attive; 3) la domanda di accesso al concordato preventivo può essere unica, con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti (e il ricorso deve illustrare le ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti invece di un piano autonomo per ciascuna impresa), restando ferma l'autonomia delle rispettive masse attive e passive. Sulle lacune nella disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo si rimanda alle osservazioni di A. Nigro, I gruppi nel Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza: notazioni generali, in I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, cit., 30.

La vera importante novità si incontra all'art. 284, comma 4, laddove viene precisato che il piano o i piani di ristrutturazione – i quali devono essere idonei a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna - quantificano il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo, anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo e possono altresì prevedere operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, purché un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo, tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese ​(sulle implicazioni della norma si v. M. Spiotta, La solidarietà dei “vantaggi compensativi” alla luce della normativa emergenziale e della L. n. 147/2021, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 29 novembre 2021; G. Ferri jr., Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2020, 35).

Come si vede, tanto la disciplina processuale quanto quella sostanziale hanno reso assai più fluida la gestione delle procedure, lasciando tuttavia ai creditori tutti i rimedi per tutelare le rispettive aspettative.