Danno non patrimoniale da lesione della salute: i criteri per un ristoro integrale
11 Gennaio 2023
Massima
Ai fini dell'unitaria liquidazione del danno biologico, quale lesione dell'integrità psico-fisica della persona, comprensiva sia delle alterazioni fisio-psichiche sia della loro incidenza sullo svolgimento delle funzioni della vita e sugli aspetti personali dinamico-relazionali, da valutarsi in punti percentuali in base a un accreditato baréme medico-legale, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da inabilità temporanea e quello da invalidità permanente, mentre per la liquidazione complessiva del danno non patrimoniale occorre tener conto, altresì, delle eventuali sofferenze morali soggettive patite dalla persona in ciascuno dei suddetti periodi. Il caso
Un'anziana donna, scesa di casa per gettare la spazzatura, era investita da un'autovettura che, nell'effettuare un'imprudente manovra di retromarcia al buio, non si avvedeva della sua presenza, invadendo il marciapiede ove la stessa si trovava, travolgendola.
Trasportata al pronto soccorso del vicino ospedale, erano refertate plurime gravi lesioni fisiche, con conseguenti vari ricoveri. Dimessa dal nosocomio, la donna necessitava di assistenza continuativa.
In mancanza di indennizzo da parte dell'assicuratore del proprietario e conducente del veicolo investitore, la donna agiva in giudizio assumendo di aver perso completamente ogni autonomia, la capacità di deambulare e di mantenere la stazione eretta. Chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno biologico, da inabilità temporanea e da invalidità permanente.
Il giudizio – proseguito dai figli e unici eredi dell'attrice, deceduta nelle more per cause indipendenti dall'incidente – era istruito mediante prove testimoniali e una consulenza tecnica. Il giudice chiedeva all'ausiliario di integrare la perizia con la valutazione e la quantificazione globale del danno biologico da invalidità permanente, che tenesse conto sia del danno cd. statico (stimato al 12%), sia di quello cd. dinamico (sotto il profilo della perdita della funzione deambulatoria). Effettuata l'integrazione richiesta, tale danno era quantificato nella misura del 30%.
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale di Tivoli rigettava integralmente la domanda attorea, in difetto di dimostrazione dell'an. La Corte d'appello di Roma riformava la sentenza, ritenendo provata l'esclusiva responsabilità del proprietario e conducente del veicolo investitore, con condanna solidale degli appellati al risarcimento dei danni, liquidando il danno biologico da invalidità permanente nella misura del 12% e incrementando l'importo di circa un terzo a titolo di personalizzazione, stante la perdita definitiva della capacità di deambulazione dell'anziana signora.
Proponevano ricorso per cassazione i figli della vittima. Per quanto qui maggiormente rileva, con il primo e terzo motivo, i ricorrenti censuravano i criteri utilizzati dalla Corte territoriale per liquidare i danni subiti dalla madre, giungendo a una quantificazione a loro parere gravemente errata, perché troppo esigua e inidonea a fornirne un risarcimento integrale. In particolare, pur avendo dichiarato di far proprie le conclusioni del CTU, la Corte d'appello non aveva tenuto conto della consulenza integrativa, disposta dal giudice di prime cure affinché venisse fornita una valutazione unitaria del danno biologico, che tenesse conto sia della menomazione fisica sia della diminuzione funzionale che questa aveva comportato. La questione
Come procedere a una valutazione e liquidazione unitaria del danno biologico, che tenga conto di tutte le sue componenti? In particolare, la componente cd. dinamico-relazionale va apprezzata separatamente da quella cd. statica e in sede di personalizzazione del danno? Le soluzioni giuridiche
La Corte di legittimità ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione per la rinnovazione della liquidazione del danno non patrimoniale spettante alla donna defunta e, per essa, ai suoi eredi, nella sua completezza.
Viene enucleato da questi motivi di ricorso il quesito: “se le conseguenze anatomo-fisiologiche della lesione della salute costituiscano fattori di cui tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (i.p.), o della personalizzazione del risarcimento”.
Si osserva in sentenza che la distinzione, oltre che sotto il profilo teorico, rileva nelle sue ricadute pratiche, in quanto: “- il grado di invalidità permanente si determina in base ai barémes, mentre la personalizzazione si effettua in via equitativa; - l'individuazione del grado di i.p. è di competenza del medico legale, la personalizzazione è di competenza del giudice; - il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità, mentre la personalizzazione non è governata da un criterio progressivo di proporzionalità con la gravità della lesione”.
La decisione impugnata risulta viziata nella motivazione “per insanabile contraddittorietà di essa che la priva totalmente di logica” e per “violazione di legge, in riferimento alla corretta nozione del danno biologico, che conduce ad una errata ed incompleta liquidazione del danno stesso”.
Più in dettaglio, la Corte d'appello, dichiarando una piena condivisione degli esiti della consulenza tecnica espletata in primo grado, “afferma correttamente il principio per cui, essendo deceduta l'attrice in corso di causa, l'ammontare del danno biologico cui hanno diritto gli eredi iure successionis va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima ma alla sua durata effettiva” (sul c.d. danno da premorienza, tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 2021, n. 41933; Trib. Milano, sez. X, 16 novembre 2022, n. 9042).
Nel procedere, quindi, alla sua quantificazione, la Corte territoriale fa propria la valutazione iniziale dell'ausiliario, “fondata su una nozione frammentata e di conseguenza errata del danno biologico, da liquidarsi a punto percentuale solo in riferimento al suo profilo statico, ovvero alla alterazione o menomazione fisica riportata dalla vittima del sinistro, senza considerare l'incidenza di essa sulla vita della persona e sulla sua capacità di attendere alle normali occupazioni, che rileverebbe solo in sede di personalizzazione del danno”.
E così, pur muovendo dalla corretta premessa che occorre procedere a una valutazione del danno non patrimoniale subito dalla defunta “sia nella sua componente statica sia nella sua componente dinamica”, la perduta capacità di deambulare è stata tenuta in considerazione dai giudici del gravame ai soli fini della personalizzazione, non già come limitazione funzionale.
Ecco, dunque, il duplice errore di diritto in cui è incorsa la Corte d'appello: 1. “nell'aver scisso la componente cosiddetta statica del danno alla persona dalla sua componente dinamico-relazionale, ritenendo che quest'ultima possa essere apprezzata solo sotto un profilo di personalizzazionedel danno”; 2. “nell'aver identificato la liquidazione della componente del danno morale all'interno della più ampia categoria del danno non patrimoniale alla salute, con la personalizzazione del danno biologico”.
Quanto al primo profilo, è priva di fondamento giuridico e scientifico “la scissione della componente statica del danno alla persona da quella cosiddetta dinamico-relazionale in caso di invalidità permanente”.
Si osserva che “la medicina legale da decenni esprime una nozione unitaria dell'invalidità permanente, definendola come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona, espressa in termini percentuali e comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali e della di essa incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti”.
Oltre a ciò, questa divisione è “del tutto immotivata” ed è stata operata discostandosi dalle emergenze finali delle indagini peritali, “in cui il medico legale, sollecitato dal giudice di prime cure, che aveva chiesto per questo una integrazione della c.t.u., al rispetto della nozione unitaria di danno biologico, [...] aveva, superando la prima versione contenente solo la valutazione medico legale della componente statica del danno, esaminato anche le ricadute della componente dinamica sullo svolgimento della vita della persona aumentando la percentuale originariamente stimata di invalidità permanente”.
Rebus sic stantibus, è stato disatteso il “principio di diritto fondamentale secondo il quale al danno biologico corrisponde una nozione unitaria, che tiene conto sia delle alterazioni nella fisiologia della persona riportate a seguito del sinistro sia delle conseguenze che queste alterazioni determinano nel compiere gli atti della vita quotidiana e quindi in particolar modo gli esiti di una frattura o come in questo caso di un trauma molto complesso, che comportano la perdita addirittura della capacità di stare in piedi e di camminare, devono essere valutate unitariamente e confluire nella quantificazione della percentuale di invalidità permanente, che si fonda su un apprezzamento medico degli esiti fisici permanenti e sulle conseguenti limitazioni nella vita della persona”.
Quanto al secondo profilo, i giudici del gravame hanno erroneamente “recuperato la rilevanza della componente dinamico-relazionale del danno attraverso la personalizzazione, appiattendola all'interno della liquidazione del danno morale, ovvero prendendo in considerazione la diminuita (in effetti, cessata) capacità di deambulazione della signora a causa dell'incidente solo come fonte di dolore e sofferenze psicologiche rilevanti”.
Così facendo, non hanno tenuto conto che “per provvedere all'integrale risarcimento del danno non patrimoniale da lesione della salute, all'interno del quale si colloca il danno biologico senza esaurire le possibili conseguenze non patrimoniali di un evento dannoso, il danno morale soggettivo deve essere oggetto di autonoma valutazione e liquidazione, in quanto pregiudizio ontologicamente diverso dal danno biologico, consistente in uno stato d'animo di sofferenza interiore che non si identifica con le vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (per quanto ne possa essere influenzato) ed insuscettibile di accertamento medico-legale, non potendo la considerazione della sofferenza interiore patita dal danneggiato incidere unicamente sulla personalizzazione del risarcimento del danno biologico” (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27482; id. 12 marzo 2021, n. 7126; id., 21 marzo 2022, n. 9006).
È, quindi, richiamato il noto indirizzo giurisprudenziale, sancito quattordici anni or sono dalle Sezioni Unite, secondo cui il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce categoria ampia e omnicomprensiva, nella cui liquidazione occorre tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, rifuggendo dall'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), orientamento sviluppatosi nel tempo “mantenendo il necessario rigore volto ad evitare la creazione di duplicazioni risarcitorie, ma recuperando le varie componenti del danno non patrimoniale nelle loro autonome caratteristiche, cui corrispondono distinti criteri risarcitori”.
Conclusivamente, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata viene cassata, con enunciazione dei seguenti principi di diritto:
“Il danno biologico è la lesione della integrità psico-fisica subita da una persona, comprensiva delle alterazioni fisio-psichiche, temporanee o permanenti, e della loro incidenza sullo svolgimento delle funzioni della vita e sugli aspetti personali dinamico-relazionali.
Esso va accertato con criteri medico-legali e valutato in punti percentuali in base ad un accreditato baréme medico-legale in cui il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità.
Ai fini della sua unitaria liquidazione, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l'aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), e quello da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi).
Ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi”.
Osservazioni
Tralasciati gli aspetti propriamente medico-legali della questione, per i quali si rinvia ai contributi specialistici pubblicati in questo portale, dal punto di vista strettamente giuridico la sentenza si colloca nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, ricordando che il danno biologico, rappresentato dall'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, va liquidato unitariamente, tenendo conto della lesione temporanea e permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale (cfr. comma 2, artt. 138 e 139 cod. ass.).
Così inteso, il danno biologico – corrispondente alla componente dinamico-relazionale del pregiudizio alla salute e liquidabile con il metodo cd. tabellare in relazione a un accreditato baréme medico-legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona – si configura come un pregiudizio ontologicamente distinto dal cd. danno morale, inteso come uno stato d'animo di sofferenza soggettiva interiore che prescinde dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato (che pure può influenzare) e che, come tale, non è suscettibile di accertamento medico-legale (cfr. Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513).
Anche la sofferenza morale della vittima, non rientrante nella liquidazione del danno biologico/ dinamico-relazionale, va ristorata; sul punto, ancor più recentemente, la Corte di legittimità: “il positivo riconoscimento e la concreta liquidazione, in forma monetaria, dei pregiudizi sofferti dalla persona a titolo di danno morale mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l'incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale” (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2022, n. 32935, in dirittoegiustizia.it 2022, 11 novembre, nota di Alagna).
Può operarsi un incremento del quantum risarcitorio rispetto ai valori tabellari “standard” solo in presenza di “conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili”, purché tempestivamente allegate e provate dal danneggiato (ord. n. 7513/2018 cit.).
In mancanza di allegate e comprovate circostanze personalizzanti, che non possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche, si procederà alla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari (tra le più recenti, App. Genova, sez. II, 13 luglio 2022, n. 828; Trib. Rieti, sez. I, 6 luglio 2022, n. 329; Trib. Pisa, sez. I, 21 giugno 2022, n. 819; Trib. Modena, sez. II, 8 giugno 2022, n. 728).
Sulla personalizzazione del danno non patrimoniale nella sua dimensione omnicomprensiva, e non con riferimento alla sola componente biologica (per tutte, Cass. civ, sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164), si rinvia a Trib. Milano, 5 ottobre 2022, n. 7670, con nota di Ziviz.
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