La Corte di legittimità ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione per la rinnovazione della liquidazione del danno non patrimoniale spettante alla donna defunta e, per essa, ai suoi eredi, nella sua completezza.
Viene enucleato da questi motivi di ricorso il quesito: “se le conseguenze anatomo-fisiologiche della lesione della salute costituiscano fattori di cui tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (i.p.), o della personalizzazione del risarcimento”.
Si osserva in sentenza che la distinzione, oltre che sotto il profilo teorico, rileva nelle sue ricadute pratiche, in quanto:
“- il grado di invalidità permanente si determina in base ai barémes, mentre la personalizzazione si effettua in via equitativa;
- l'individuazione del grado di i.p. è di competenza del medico legale, la personalizzazione è di competenza del giudice;
- il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità, mentre la personalizzazione non è governata da un criterio progressivo di proporzionalità con la gravità della lesione”.
La decisione impugnata risulta viziata nella motivazione “per insanabile contraddittorietà di essa che la priva totalmente di logica” e per “violazione di legge, in riferimento alla corretta nozione del danno biologico, che conduce ad una errata ed incompleta liquidazione del danno stesso”.
Più in dettaglio, la Corte d'appello, dichiarando una piena condivisione degli esiti della consulenza tecnica espletata in primo grado, “afferma correttamente il principio per cui, essendo deceduta l'attrice in corso di causa, l'ammontare del danno biologico cui hanno diritto gli eredi iure successionis va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima ma alla sua durata effettiva” (sul c.d. danno da premorienza, tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 2021, n. 41933; Trib. Milano, sez. X, 16 novembre 2022, n. 9042).
Nel procedere, quindi, alla sua quantificazione, la Corte territoriale fa propria la valutazione iniziale dell'ausiliario, “fondata su una nozione frammentata e di conseguenza errata del danno biologico, da liquidarsi a punto percentuale solo in riferimento al suo profilo statico, ovvero alla alterazione o menomazione fisica riportata dalla vittima del sinistro, senza considerare l'incidenza di essa sulla vita della persona e sulla sua capacità di attendere alle normali occupazioni, che rileverebbe solo in sede di personalizzazione del danno”.
E così, pur muovendo dalla corretta premessa che occorre procedere a una valutazione del danno non patrimoniale subito dalla defunta “sia nella sua componente statica sia nella sua componente dinamica”, la perduta capacità di deambulare è stata tenuta in considerazione dai giudici del gravame ai soli fini della personalizzazione, non già come limitazione funzionale.
Ecco, dunque, il duplice errore di diritto in cui è incorsa la Corte d'appello:
1. “nell'aver scisso la componente cosiddetta statica del danno alla persona dalla sua componente dinamico-relazionale, ritenendo che quest'ultima possa essere apprezzata solo sotto un profilo di personalizzazionedel danno”;
2. “nell'aver identificato la liquidazione della componente del danno morale all'interno della più ampia categoria del danno non patrimoniale alla salute, con la personalizzazione del danno biologico”.
Quanto al primo profilo, è priva di fondamento giuridico e scientifico “la scissione della componente statica del danno alla persona da quella cosiddetta dinamico-relazionale in caso di invalidità permanente”.
Si osserva che “la medicina legale da decenni esprime una nozione unitaria dell'invalidità permanente, definendola come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona, espressa in termini percentuali e comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali e della di essa incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti”.
Oltre a ciò, questa divisione è “del tutto immotivata” ed è stata operata discostandosi dalle emergenze finali delle indagini peritali, “in cui il medico legale, sollecitato dal giudice di prime cure, che aveva chiesto per questo una integrazione della c.t.u., al rispetto della nozione unitaria di danno biologico, [...] aveva, superando la prima versione contenente solo la valutazione medico legale della componente statica del danno, esaminato anche le ricadute della componente dinamica sullo svolgimento della vita della persona aumentando la percentuale originariamente stimata di invalidità permanente”.
Rebus sic stantibus, è stato disatteso il “principio di diritto fondamentale secondo il quale al danno biologico corrisponde una nozione unitaria, che tiene conto sia delle alterazioni nella fisiologia della persona riportate a seguito del sinistro sia delle conseguenze che queste alterazioni determinano nel compiere gli atti della vita quotidiana e quindi in particolar modo gli esiti di una frattura o come in questo caso di un trauma molto complesso, che comportano la perdita addirittura della capacità di stare in piedi e di camminare, devono essere valutate unitariamente e confluire nella quantificazione della percentuale di invalidità permanente, che si fonda su un apprezzamento medico degli esiti fisici permanenti e sulle conseguenti limitazioni nella vita della persona”.
Quanto al secondo profilo, i giudici del gravame hanno erroneamente “recuperato la rilevanza della componente dinamico-relazionale del danno attraverso la personalizzazione, appiattendola all'interno della liquidazione del danno morale, ovvero prendendo in considerazione la diminuita (in effetti, cessata) capacità di deambulazione della signora a causa dell'incidente solo come fonte di dolore e sofferenze psicologiche rilevanti”.
Così facendo, non hanno tenuto conto che “per provvedere all'integrale risarcimento del danno non patrimoniale da lesione della salute, all'interno del quale si colloca il danno biologico senza esaurire le possibili conseguenze non patrimoniali di un evento dannoso, il danno morale soggettivo deve essere oggetto di autonoma valutazione e liquidazione, in quanto pregiudizio ontologicamente diverso dal danno biologico, consistente in uno stato d'animo di sofferenza interiore che non si identifica con le vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (per quanto ne possa essere influenzato) ed insuscettibile di accertamento medico-legale, non potendo la considerazione della sofferenza interiore patita dal danneggiato incidere unicamente sulla personalizzazione del risarcimento del danno biologico” (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27482; id. 12 marzo 2021, n. 7126; id., 21 marzo 2022, n. 9006).
È, quindi, richiamato il noto indirizzo giurisprudenziale, sancito quattordici anni or sono dalle Sezioni Unite, secondo cui il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce categoria ampia e omnicomprensiva, nella cui liquidazione occorre tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, rifuggendo dall'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), orientamento sviluppatosi nel tempo “mantenendo il necessario rigore volto ad evitare la creazione di duplicazioni risarcitorie, ma recuperando le varie componenti del danno non patrimoniale nelle loro autonome caratteristiche, cui corrispondono distinti criteri risarcitori”.
Conclusivamente, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata viene cassata, con enunciazione dei seguenti principi di diritto:
“Il danno biologico è la lesione della integrità psico-fisica subita da una persona, comprensiva delle alterazioni fisio-psichiche, temporanee o permanenti, e della loro incidenza sullo svolgimento delle funzioni della vita e sugli aspetti personali dinamico-relazionali.
Esso va accertato con criteri medico-legali e valutato in punti percentuali in base ad un accreditato baréme medico-legale in cui il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità.
Ai fini della sua unitaria liquidazione, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l'aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), e quello da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi).
Ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi”.