La corposa sentenza in esame – ben 25 pagine – si snoda intorno alla corretta interpretazione dell'art. 4-ter, D.l. n. 44/2021, considerato il pomo della discordia nella vicenda sottoposta al vaglio giudiziale.
La Corte d'Appello di Torino accoglie il ricorso dell'ASL, perché l'interpretazione letterale della disposizione normativa e la sua ratio non consentono di avallare la tesi sostenuta in primo grado dal Tribunale.
Come evidenzia la Corte, la norma fa riferimento al personale che lavora nella struttura – intesa nel suo complesso – e non in sue singole sedi o articolazioni interne. Inoltre, la scelta del legislatore di estendere l'obbligo vaccinale anche agli operatori non sanitari – mediante il D.l. n. 172/2021, che ha introdotto l'art. 4-ter in questione – è proprio funzionale ad ampliare il più possibile la platea dei lavoratori coinvolti. E l'estensione riguarda, appunto, il personale delle strutture sanitarie che svolge mansioni “non” sanitarie, come il lavoratore di cui si tratta.
Ai sensi dell'art. 4-ter non rileva la collocazione fisica dell'ufficio a cui è assegnato il lavoratore, ossia il fatto che sia ubicato all'esterno dei luoghi in cui viene erogata l'attività sanitaria, perché la disposizione normativa non fa, al riguardo, alcuna distinzione.
Secondo la Corte d'Appello, la scelta del legislatore è “ragionevole”, in quanto, in un ente che eroga servizi sanitari, non è possibile tenere completamente e costantemente separato il personale a contatto con l'utenza da quello che svolge mansioni d'ufficio. E la finalità è quella di proteggere, da un lato, il personale più esposto al contagio e, dall'altro, gli utenti dei servizi sanitari.