Illegittima, ma non illegale, la pena risultante dall'erronea applicazione del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee
16 Gennaio 2023
La fattispecie concreta e l'errore sulla pena finale inflitta. Il Tribunale di Trieste, in accoglimento dell'avanzata richiesta di patteggiamento, condannava un uomo, imputato di furto aggravato, ritenuta la continuazione esterna con altri reati giudicati separatamente in via definitiva da altro tribunale, alla pena di anni quattro di reclusione e seicento euro di multa, così determinata: pena base anni cinque e mesi tre di reclusione ed euro seicento di multa per il reato di furto aggravato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti con la contestata recidiva alla luce della confessione dell'accusato; pena aumentata ad anni sei e mesi tre di reclusione per i reati di ricettazione e associazione a delinquere separatamente giudicati; ridotta per il rito ad anni quattro e mesi due di reclusione ed euro seicento di multa.
Adita la Suprema Corte. Il difensore dell'imputato interponeva tempestivo ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'art. 69 c.p. e conseguente applicazione di una pena illegale perché eccedente il massimo edittale previsto per il furto semplice (punito fino a tre anni). Il Tribunale, chiamato a bilanciare una serie di circostanze eterogenee concorrenti, avrebbe computato le circostanze aggravanti speciali del furto senza bilanciarle con le riconosciute attenuanti generiche, i cui effetti sarebbero stati limitati al solo annullamento della solo recidiva contestata, quindi con giudizio di equivalenza (da qualificarsi in recidiva semplice non essendo specificamente contestata alcuna forma di recidiva qualificata, e conseguente possibilità di accedere al patteggiamento allargato, escluso soltanto per i recidivi reiterati).
La remissione della quaestio alle Sezioni Unite. La Quinta sezione di legittimità, cui era stato assegnato il ricorso, con ordinanza n. 9523/2022, prendeva atto che sul punto vi era un contrasto interpretativo, e chiamava in causa il Supremo Collegio sul seguente quesito: configura una pena illegale, ai fini del sindacato di legittimità sul patteggiamento, quella fissata sulla base di un'erronea applicazione del bilanciamento tra circostanze eterogenee, in violazione al criterio unitario del giudizio in sede di concorso eterogeneo, previsto dall'art. 69, comma 3, c.p.?
I due diversi orientamenti di Cassazione. Secondo una prima posizione interpretativa seguita in sede di legittimità, nel patteggiamento, la legalità, in relazione all'osservanza dei limiti edittali, della pena applicata va valutata considerando non soltanto la pena complessivamente determinata, ma anche i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione. Così, ad esempio, è stata annullata la pena patteggiata: 1) per il delitto di rissa aggravata, la quale al seguito del riconoscimento delle circostanze generiche con giudizio di prevalenza rispetto alle aggravanti speciali ex art. 588 c.p., avrebbe dovuto essere applicata la pena pecuniaria e non, come al contrario avvenuto, quella detentiva (Cass. pen., n. 5018/2000); 2) che aveva computato la pena base minima nella misura di 90 giorni di reclusione, a fronte di un minimo edittale pari a sei mesi.
Altro orientamento sostiene invece che l'illegalità della pena va determinata avendo riguardo alla pena finale applicata, non anche ai passaggi intermedi che portano alla sua determinazione, poiché soltanto il risultato finale delle predette operazioni di computo della pena costituisce espressione ultima e definitiva dell'incontro delle volontà delle parti; di conseguenza non sarebbe illegale, nel senso richiesto dall'art. 448, comma 2-bis c.p.p., se non eccedente per specie o quantità, il limite legale, la pena determinata dal giudice non operando simultaneamente il giudizio di bilanciamento tra le circostanze eterogenee concorrenti bilanciabili, in quanto essa pur illegittima (in quanto erroneamente determinata) corrisponde pur sempre, per specie e quantità, a quella astrattamente prevista dalla fattispecie incriminatrice (stessa soluzione viene riconosciuta anche per il concordato di pena in appello: ex multis, Cass. pen., n. 19983/2020).
La risposta delle Sezioni Unite: l'impianto delle fonti. Il Massimo Consesso aderisce a quest'ultimo orientamento. Gli ermellini premettono che la legalità della pena è valore garantito, oltre che dall'art. 1 c.p., anche dagli artt. 25, comma 2, Cost. e 27, comma 3, Cost., in quanto la corretta individuazione della pena irrogabile incide sulla corretta operatività dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalità della pena (art. 27, comma 3 Cost.), la quale incide sulla successiva ed eventuale adesione del condannato al percorso rieducativo. Alzando l'orizzonte interpretativo alle fonti di derivazione sovrannazionale, il principio della legalità della pena viene riconosciuto e garantito anche dall'art. 7 CEDU, ove si lega inscindibilmente con la prevedibilità del precetto penale in quanto una pena illegale risulterebbe, di per sé, non prevedibile, e quindi, convenzionalmente illegittima (Corte EDU, Grande Camera, 21/10/2013, Del Rio Prada e 12/02/2008, n. Kafkaris contro Cipro).
Qual è la pena legale e quale quella illegale? In continuità con il consolidato e aderito orientamento, che si pone in armonia con il principio di legalità della pena, le Sezioni Unite ribadiscono che la pena legale è quella: 1) del genere e della specie predeterminati dal legislatore entro limiti ragionevoli; 2) comminata da una norma (sostanzialmente) penale, vigente al momento della commissione del fatto-reato o, se sopravvenuta rispetto ad esso, più favorevole di quella anteriormente prevista; 3) determinata dal giudice nel rispetto della cornice legale, all'esito di un procedimento di individualizzazione che tenga conto del concreto disvalore del fatto e della necessità di rieducazione del reo.
“Pena illegale” è conseguentemente quella che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, perché diverse per genere, specie o quantità da quella positivamente prevista. L'elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite della casistica di pena illegale ricomprende: 1) le declaratorie di illegittimità costituzionale riguardanti i limiti edittali di norme incriminatrici (Cass. pen., sez. un., n. 33040/2015); 2) pene di specie diversa da quella legalmente prevista (Cass. pen., sez. un., n. 47766/2015); 3) fenomeni di successione di leggi penali nel tempo, caratterizzati dalla sopravvenienza di una lex mitior (Cass. pen., sez. un., n. 46653/2015).
Pena legale anche se illegittima. Non è pertanto illegale la pena conclusivamente corrispondente per genere, specie e quantità a quella legale, anche se determinato attraverso un percorso argomentativo viziato da una o più violazioni di legge: gli errori relativi ai singoli passaggi interni che conducono alla determinazione della pena risultano, infatti, privi di rilievi, ove non abbiano comportato la conclusiva irrogazione di una pena illegale nel senso prima indicato.
Per le Sezioni Unite devi quindi ritenersi che, sia pur nel rispetto dei limiti generali previsti dagli artt. 23 e ss. e 65 e ss. c.p. per il caso di concorso di circostanze, la contestazione di circostanze incida sulla determinazione della pena in astratto legale, a seconda dei casi aumentando o diminuendo (entro i predetti limiti) la pena edittale prevista dalla figura criminosa di volta in volta violata.
La pena con error sul giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee è solo illegittima. Ne consegue che, in caso di concorso di circostanze eterogenee, a prescindere dal concreto esito del giudizio di bilanciamento (disciplinato dall'art. 69 c.p.), i valori estremi astratti che connotano la legalità della pena, entro i quali il giudice può esercitare la sua concreta valutazione discrezionale, sono rappresentati dal minimo della pena per la fattispecie attenuata e per il massimo della pena prevista per la fattispecie aggravata. Diversamente le pena determinata risulterebbe meramente “illegittima”, ma non anche “illegale”.
Rilievi conclusivi. Non rilevano, in definitiva, anche nel patteggiamento, se non si traducono in una pena illegale, gli errori relativi ai singoli passaggi interni per la determinazione della pena concordata, tra i quali gli errori compiuti nell'iter di determinazione della pena base. Di recente, così, è stata esclusa l'illegalità della pena (irrogata per una contravvenzione) rientrante nei limiti edittali astratti, pur se in concreto determinata erroneamente da parte del giudice di merito nella misura della diminuente prevista per i reati contravvenzionale (la metà e non un terzo) giudicati con rito abbreviato (Cass. pen., sez. un., n. 47182/2022).
Il ricorso viene quindi dichiarato inammissibile in quanto la pena è illegittima ma non illegale, in quanto rispettosa dei limiti astrattamente previsti dagli artt. 23 e seguenti (da quindici giorni a ventiquattro anni per la reclusione e da cinquanta a cinquemila euro ex art. 24 per la multa) e rientrando nell'ambito della cornice edittale prevista dall'art. 625, comma 2, c.p. (reclusione da tre a dieci anni e multa da 206 a 1.549 euro).
*Fonte: DirittoeGiustizia |