L'approvazione del progetto di partenariato pubblico-privato tra discrezionalità e tutela della concorrenza

Giacomo Biasutti
17 Gennaio 2023

La scelta della proposta di project financing maggiormente rispondente all'interesse pubblico non è censurabile se non nei ristretti limiti della macroscopica irrazionalità, inattendibilità o incongruenza. In ogni caso, alla fase di selezione della proposta non si applicano le regole di confronto competitivo dell'appalto pubblico, non trattandosi di una procedura competitiva ....
Massime

La fase di selezione della migliore proposta di Partenariato Pubblico Privato ai sensi dell'art. 183, comma 15, d.lgs. n. 50/2016, è caratterizzata da un'ampia discrezionalità amministrativa. Essa non è da intendersi come una procedura di affidamento poiché attiene più propriamente alla valutazione in concreto del pubblico interesse. Ne consegue, sul piano processuale, che l'impugnazione dei relativi atti sconta il rito ordinario e non quello di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a.

Non è censurabile la scelta dell'amministrazione di restringere progressivamente il numero dei partecipanti al confronto competitivo sulle proposte di partenariato, invitando se del caso a modificare a mano a mano le relative proposte per renderle maggiormente rispondenti al pubblico interesse.

La scelta della proposta di project financing maggiormente rispondente all'interesse pubblico non è censurabile se non nei ristretti limiti della macroscopica irrazionalità, inattendibilità o incongruenza. In ogni caso, alla fase di selezione della proposta non si applicano le regole di confronto competitivo dell'appalto pubblico, non trattandosi di una procedura competitiva.

Il caso

Oggetto de contendere è un procedimento esitato nella dichiarazione di fattibilità e pubblico interesse della proposta di Partenariato Publico-Privato – P.P.P. volta alla riqualificazione del servizio di pubblica illuminazione e, più in generale, alla realizzazione di interventi smart city.

L'amministrazione interessata, il Comune di Gorizia, aveva proceduto a confrontare diverse proposte di partenariato formulate da alcune società e, in esito, aveva ritenuto una di queste, quella di Enel Sole, maggiormente rispondente al pubblico interesse. Le altre ditte venivano quindi escluse dal procedimento, il quale proseguiva con una sola ditta. Valutata quindi la fattibilità del progetto in esito alle relative modifiche emerse del confronto con il privato, l'amministrazione qualificava la società proponente come promotrice nell'ambito di una procedura di project financing, così preludendo alla futura messa a gara del progetto.

A ricorrere avanti al T.A.R. era dunque uno degli altri proponenti, che era risultato escluso dal prosieguo del confronto comparativo sui progetti.

Diversi i motivi di diritto ad assistere il gravame principale e, a seguito del sopravvenire di ulteriori atti della procedura, i relativi motivi aggiunti. In sintesi, però, la ricorrente censurava essenzialmente la violazione delle disposizioni in materia di P.P.P. del Codice dei contratti pubblici, l'eccesso di potere per illogicità nella valutazione delle proposte di partenariato e la violazione dei principi concorrenziali nell'ambito del confronto competitivo instaurato dall'amministrazione, primo fra tutti quello della par condicio competitorum.

Si confrontavano con le censure la P.A. intimata e la società che aveva formulato la proposta poi ritenuta maggiormente rispondente al pubblico interesse. Queste ultime eccepivano quindi la tardività del ricorso in applicazione del c.d. rito appalti e, nel merito, sostenevano che la discrezionalità amminsitrativa nella procedura di verifica della fattibilità del progetto di P.P.P. era talmente ampia da essere impermeabile ai rilievi che si potrebbero operare nel caso di un vero un confronto competitivo disciplinato dal Codice dei contratti pubblici.

La questione

Il primo nucleo di questioni sottoposte al Tribunale riguardava anzitutto la qualificazione sostanziale del procedimento oggetto del contenzioso. Gli atti gravati, infatti, attenevano tutti alla fase di individuazione della migliore proposta di partenariato e, pertanto, erano antecedenti alla valutazione competitiva dei concorrenti propriamente intesa (ossia la c.d. fase di gara). Per questa ragione, si confrontavano da un lato le tesi dell'amministrazione resistente e della controinteressata, che sostenevano la tardività del ricorso in applicazione del c.d. rito appalti (artt. 119 e 120 c.p.a.), assumendo che in realtà ci si trovasse già in un procedimento competitivo, dall'altra quella della ricorrente, che riteneva invece applicabile al gravame il rito ordinario, sulla scorta del fatto che il procedimento non fosse preordinato alla selezione di una controparte contrattuale.

Il T.A.R. nel rigettare l'eccezione di tardività ha ritenuto che la fattispecie non rientrasse all'interno delle ipotesi di “procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”. La vicenda, di contro, è stata, infatti, qualificata come procedimento di valutazione discrezionale della fattibilità del progetto proposto dal privato e di apprezzamento in ordine alla sussistenza di un pubblico interesse alla relativa realizzazione. Si tratta di un esame di carattere preliminare a qualsivoglia gara e, come tale, del tutto autonomo rispetto ai successivi procedimenti di confronto pubblico tra diverse offerte, tanto da non impegnare in alcun modo l'amministrazione a bandire una procedura di affidamento.

La qualificazione in questi termini del procedimento implica pertanto che all'impugnativa dei relativi atti trovi applicazione il rito ordinario.

Nel merito dei motivi di ricorso, il giudice ha anzitutto preso atto di come il Comune, all'interno di un procedimento connotato da discrezionalità di tipo tecnico, si fosse autovincolato, indicando nell'invito agli operatori economici i requisiti definiti “imprescindibili” per le relative proposte. È quindi nel rispetto di questi parametri che doveva essere selezionata la migliore ipotesi di partenariato; cosa che la deliberazione giuntale impugnata ha fatto, indicato con sufficiente chiarezza il grado di soddisfacimento delle esigenze della P.A. Tale valutazione, a dire del T.A.R., non si è manifestata ictu oculi irrazionale o inattendibile e, pertanto, ad una tale verifica estrinseca ci si deve fermare.

Particolare attenzione è stata dedicata al tema dell'allocazione dei rischi, definita dal Tribunale come il vero cuore del partenariato, dunque elemento imprescindibile anche all'interno della valutazione preliminare sulla fattibilità di una proposta di P.P.P. ancora da mettersi a gara. Un particolare elemento messo in luce nella sentenza in tale ambito riguarda la durata del partenariato: nell'ambito di una valutazione di convenienza del progetto rispetto all'interesse pubblico che è indubbiamente complessa, si è data particolare rilevanza al fatto che una minore durata della concessione è funzionale a garantire la libera concorrenza ed il ricambio naturale degli operatori economici nella erogazione del servizio.

Di rilievo, inoltre, il fatto che la motivazione dei provvedimenti sia stata positivamente apprezzata anche per la parte attinente alla rispondenza del progetto selezionato quanto alle prospettive di sviluppo urbano dell'ente, così da dimostrane la maggiore utilità anche su di un piano meno tecnico e più puramente amministrativo-discrezionale. Tale aspetto, infatti, è stato rinsaldato con la componente più propriamente tecnica della decisione oggetto di gravame onde comprovarne la non manifesta irrazionalità.

Alla luce di tali rilievi, inoltre, non è stato ritenuto censurabile il modus operandi della P.A., che, in esercizio del potere riconosciutole dall'art. 183, comma 15, d.lgs. n. 50/2016, ha progressivamente escluso i partecipanti e proseguito il dialogo con la sola Enel, che aveva formulato la migliore proposta, invitandola ad apportare le modifiche ritenute necessarie al progetto. A dire del T.A.R., infatti, all'amministrazione è consentito ogni più ampio margine di modifica della proposta che consenta il maggiore soddisfacimento possibile dell'interesse pubblico sotteso (T.A.R. Milano, Lombardia, sez. IV, 19 aprile 2022, n. 879). Queste notevoli possibilità di manovra incidono dunque anche sulla gestione del procedimento di confronto, certamente più libera rispetto ad una gara. È però interessante notare come, pur nell'ambito di tali -ampi- margini discrezionali, il Tribunale sottolinei ulteriormente come sussista una sostanziale continuità tra la proposta iniziale ed il risultato del suo affinamento progressivo. In tal modo, si può escludere che quanto alfine approvato rappresenti in effetti qualcosa di radicalmente diverso da quanto inizialmente sottoposto al confronto tra i diversi operatori.

In definitiva, pertanto, onde ritenere legittime le modalità confronto tra gli operatori (procedura non espressamente prevista dall'art. 183, comma 15, d.lgs. n. 50/2016), è sufficiente siano rispettati quei criteri minimi di trasparenza, imparzialità e pubblicità che presidiano ogni procedimento amministrativo.

Con riguardo ai vizi formali del procedimento, il T.A.R. ha ritenuto sussistere la competenza a decidere sulla proposta di P.P.P. la Giunta comunale, sulla scorta del fatto che è questa l'organo di vertice dell'ente cui è stata rivolta la pronuncia (T.A.R. Toscana, sez. II, 18 maggio 2007, n. 763). In ogni caso, la ventilata incompetenza sarebbe stata superata dal fatto che la proposta avrebbe in ogni caso successivamente trovato l'avallo del Consiglio – in disparte poi la circostanza che quest'ultimo ne avrebbe comunque dovuto deliberare l'inserimento nel piano triennale delle opere da approvare insieme al bilancio.

Gli ulteriori vizi, proposti in via derivata rispetto a quelli ora enumerati, ovvero ritenuti meramente ripetitivi o sovrapposti agli altri, sono stati ritenuti infondati. Ne è seguito, quindi, il rigetto del ricorso e del ricorso per motivi aggiunti.

Osservazioni

Il primo ordine di questioni per le quali la sentenza merita particolare attenzione riguarda la qualificazione della procedura di individuazione della proposta “maggiormente rispondente all'interesse pubblico” che prelude all'instaurazione del partenariato pubblico privato. Come visto, il T.A.R. afferma che questa valutazione non faccia parte di una procedura competitiva, deducendo da questo presupposto due ordini di conseguenze. In primo luogo, dal punto di vista processuale, ne deriva l'inapplicabilità del c.d. rito appalti. In secondo luogo, questa volta invece dal punto di vista sostanziale, ne consegue che non si possono applicare al procedimento de quo le regole stringenti dei pubblici affidamenti, ma quelle “più lasche” che governano le valutazioni discrezionali.

Il dato normativo da cui partire è costituito dall'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 50/2016. Vi si prevede, in effetti, che la -sola- scelta dell'operatore economico affidatario del contratto di partenariato avvenga attraverso procedure ad evidenza pubblica. Combinando questa disposizione con il successivo comma 15 dell'art. 183, si evince che la fase competitiva è successiva alla definizione dei contenuti del progetto messo a gara, posto che il bando viene emesso in esito al dialogo tra amministrazione e privato e, quindi, alla definizione dell'oggetto della confronto tra operatori economici. Proprio per questa ragione, la giurisprudenza, cui aderisce la pronuncia in parola, ritiene che con il termine “affidamento” si intenda solamente il provvedimento o il procedimento con il quale si seleziona il partner della P.A. (T.A.R. Venezia, sez. I, 7 marzo 2018, n. 257). Questa qualificazione fa leva sulla tassatività dell'eccezione di rito processuale di cui all'art. 119, comma 1, lett. a) e 120 c.p.a. ed è funzionale alla maggiore tutela di chi intende esperire ricorso, cui viene così garantito un più ampio termine ad impugnare.

Tuttavia, se sul piano processuale la soluzione irrobustisce la tutela, sul piano sostanziale limita molto la profondità del sindacato giurisdizionale. La giurisprudenza è, infatti, costante nel ritenere che il procedimento selettivo della proposta sia caratterizzato da una ampissima discrezionalità, tale da renderlo sostanzialmente impermeabile ad un sindacato che vada oltre la mera valutazione estrinseca di una non manifesta irrazionalità o contraddittorietà (T.A.R. Napoli, sez. II, 23 giugno 2017, n. 3441, nonché Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 843 e sez. V, 31 agosto 2015, n. 4035, oltre alla giurisprudenza citata nella stessa pronuncia in commento).

Di qui, insomma, il duplice risvolto della qualificazione “extra gara” della selezione del progetto: incrementa sul piano processuale la possibilità di difesa (ampliando i termini per la proposizione del ricorso), la indebolisce invece -e questo è forse più significativo- sul piano sostanziale, riducendo ad un più ristretto numerus clausus i vizi che possono essere fatti valere da chi agisca in giudizio.

Un ulteriore aspetto della pronuncia gravata che merita attenzione è il passaggio che affronta il tema della legittimità della progressiva modifica della proposta del privato lungo il corso del confronto con l'amministrazione procedente. Il T.A.R., infatti, ha affermato che la P.A. è dotata di un potere di modifica sostanzialmente illimitato del progetto, potendo imporre tutti gli eventuali aggiustamenti necessari alla sua migliore rispondenza al pubblico interesse. In ultimo, però lo stesso Tribunale corregge parzialmente questa potestà discrezionale, poiché comunque ritiene che, nel caso concreto, l'oggetto sostanziale della proposta di partenariato non si sia modificato nel suo nucleo fondamentale. Quindi -questo almeno pare potersi leggere tra le righe-, vi è comunque necessità un minimo di coerenza all'interno dei progressivi rimaneggiamenti operati al progetto, anche se tale minimo è difficilmente afferrabile, attenendo a requisiti essenziali di volta in volta variabili.

Nondimeno, occorre precisare che, con tutta probabilità, alla luce della discrezionalità riconosciuta alla P.A., un eventuale snaturamento dei caratteri essenziali della proposta potrebbe rilevare come elemento sintomatico di irrazionalità, a sua volta sfociante nell'eccesso di potere, non già come vizio che sic et simpliciter comporta l'illegittimità dei provvedimenti conseguenti.

Occorre peraltro aggiungere che questa possibilità di modifica, con le conseguenze che ne derivano sul piano della tutela giurisdizionale, risulta in effetti coerente con l'assenza di un obbligo giuridico che imponga all'amministrazione di indire la gara anche nel caso in cui il progetto venga in effetti approvato (Cons. Stato, sez. III, 13 marzo 2017, n. 1139). Al pari di quanto avviene nel caso dell'affidamento di un appalto, infatti, l'amministrazione conserva sempre il potere di non procedere.

Alla luce di quanto detto, pertanto, la pronuncia in commento correttamente individua come parametro positivo della scelta amministrativa il vincolo che la stessa P.A. si è imposta nel definire gli elementi base del progetto di partenariato. Vige infatti anche nei procedimenti che esulano dall'applicazione delle disposizioni in materia di pubblici incanti il principio per cui quando la P.A. nell'esercizio del proprio potere discrezionale decide di autovincolarsi stabilendo delle regole a disciplina della propria futura attività, la stessa amministrazione è tenuta al rispetto di tali regole, pena l'illegittimità degli atti conseguenti (Cons. Stato, sez. III, 30 settembre 2020, n. 5746 e 6 novembre 2019, n. 7595, sez. V, 17 luglio 2017, n. 3502). A questo principio, peraltro, fa da corollario la necessità di interpretazione letterale delle disposizioni di autovincolo, in un'ottica di migliore tutela dell'affidamento del privato (Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1148).

È quindi proprio in questi termini che l'affidamento del privato trova tutela nell'ambito del procedimento di approvazione del progetto di partenariato, ossia nella necessità del rispetto di quelle regole minime e di quei requisiti essenziali che l'amministrazione si è autoimposta nell'avviare la procedura.