Principi in materia di concessione di beni demaniali marittimi

Giusj Simone
17 Gennaio 2023

L'affidamento in concessione di beni demaniali marittimi si caratterizza per un'ampia discrezionalità riconosciuta all'autorità amministrativa nell'esercizio della propria attività provvedimentale. Ne consegue che la P.A. possa legittimamente scegliere di non rinnovare la concessione in scadenza e destinare il bene a finalità istituzionali, sulla scorta dell'interesse pubblico alla cui cura è preposta, senza alcun ulteriore onere motivazionale e senza che il Giudice amministrativo possa sindacare nel merito l'opportunità di tale scelta amministrativa. Va esclusa, peraltro, la sussistenza in capo al privato di aspettative al mantenimento della disponibilità del bene pubblico, suscettibili di tutela, a maggior ragione dopo l'abrogazione dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 37 cod. nav., per effetto dell'art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, convertito con modifiche in L. n. 25/2010, in forza del quale è definitivamente venuto meno un diritto di insistenza del concessionario uscente.

La questione. Viene in rilievo, nel caso di specie, la legittimità del mancato rinnovo di concessione di bene demaniale marittimo da parte dell'Autorità Portuale competente con destinazione del bene medesimo a finalità istituzionale.

La sentenza di primo grado. L'adito TAR respingeva il ricorso e i motivi aggiunti con sentenza n. 397 del 27 aprile 2015 richiamando l'amplissima discrezionalità che connota i provvedimenti dell'amministrazione in materia e il carattere eccezionale dell'affidamento in concessione rispetto all'uso istituzionale del bene, rilevando contestualmente l'inesistenza di un affidamento tutelabile in capo al privato in ordine al mantenimento della concessione, nonché la palese inammissibilità delle personali valutazioni del ricorrente circa il miglior utilizzo del bene che avrebbe potuto farne rispetto all'amministrazione.

Il Consiglio di Stato, investito della questione, preso atto del manifestato venir meno dell'interesse dell'appellante all'annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado per intervenuta radicale trasformazione del bene ad opera dell'Autorità Portuale nelle more del giudizio, procede all'accertamento della pretesa illegittimità degli stessi ai soli fini risarcitori.

I giudici di Palazzo Spada ritengono prive di pregio: i) le considerazioni dell'appellante in merito alle presunte diseconomie imputabili alla condotta dell'Autorità Portuale, finalizzate all'affermazione di un ipotetico e del tutto generico profilo di danno erariale il cui sindacato esula dalla propria giurisdizione; ii) la dedotta violazione del diritto di insistenza, dovendo escludersi la sussistenza in capo al privato di aspettative, suscettibili di tutela, al mantenimento della disponibilità del bene pubblico, a seguito dell'abrogazione dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 37 cod. nav., per effetto dell'art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, convertito con modifiche in L. n. 25/2010, in forza del quale è definitivamente venuto meno un diritto di insistenza del concessionario uscente: ciò del tutto coerentemente con i principi comunitari di libera circolazione dei servizi, par condicio, imparzialità e trasparenza che, anche nell'ipotesi in cui il bene non fosse stato destinato ad un utilizzo in proprio, indurrebbero l'Autorità ad indire una procedura selettiva per l'affidamento della concessione in luogo dell'invocato rinnovo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3377); e, ancora, iii) il dedotto vizio del contraddittorio, risalendo ad almeno un anno prima all'adozione dei provvedimenti di cui è causa la comunicazione all'interessato da parte dell'Autorità Portuale della intenzione di non rinnovare la concessione de qua.

Rileva, altresì, il Collegio l'estrema sinteticità e genericità delle doglianze di parte appellante, basate su petizioni di principio e non supportate da alcuna prova concreta, avverso una valutazione di opportunità dell'Autorità Portuale (e la sentenza che ne riconosceva la legittimità) in merito alla quale tuttavia è inammissibile il sindacato giurisdizionale richiesto, essendo pacifico in giurisprudenza che «le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti dei riscontri di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservato alla P.A., compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e della convenienza dell'atto» (Cass. civ. Sez. un., 3 marzo 2020, n. 5905).

Il principio. L'istituto della concessione (di beni demaniali nel caso di specie), a differenza degli atti autorizzativi della Pubblica amministrazione fondati su un puntuale riscontro circa la sussistenza di presupposti predeterminati, si connota per una più ampia discrezionalità che esclude la configurabilità di una aspettativa tutelata a mantenere la disponibilità del bene pubblico, anche in capo al concessionario uscente: deve, pertanto, ritenersi sufficiente a sorreggere la legittimità della scelta dell'Amministrazione di non rinnovare la concessione, la prospettata intenzione di gestire in proprio il bene per realizzarvi una struttura (foresteria) destinata al soddisfacimento di esigenze proprie dell'Amministrazione medesima.

In conclusione, l'appello viene dichiarato in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ed in parte infondato, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.