Il reclamo ex art. 36 l.fall. nel contesto della vendita ex art. 107 l.fall.

Mariacarla Giorgetti
17 Gennaio 2023

Un commento ad un provvedimento del Tribunale in tema di vendite effettuate dal curatore ai sensi dell'art. 107 l.fall. e sul diritto del curatore fallimentare di sospendere la gara ex art. 107, comma 4, l.fall., in presenza di un disciplinare di vendita che esclude tale possibilità, sebbene il piano programmatico che indica le condizioni di vendita autorizzato dal giudice delegato non disponga nulla in tal senso.
Le massime

In tema di vendite effettuate dal curatore ai sensi dell'art. 107 l.fall. (nel caso di specie affidate ad un notaio), la clausola che limita o esclude la possibilità di formulare offerte migliorative non inferiori al dieci per cento non può essere impugnata ai sensi dell'art. 36 l.fall. qualora non sia contenuta nel programma di liquidazione approvato dal giudice delegato.

Il caso

La decisione in esame si pone a valle del gravame promosso dal titolare di un'impresa individuale avverso il provvedimento reso dal giudice delegato del fallimento sul reclamo ex art. 36, comma 1, l.fall. e relativo alla decisione del curatore fallimentare di sospendere la procedura di vendita, ex art. 107, comma 4.

La questione prendeva le mosse da una procedura fallimentare nella quale la curatela, giusta quanto disposto dall'art. 107, comma 1, l.fall., aveva incaricato delle operazioni di vendita telematica un notaio, vendita nella quale, in un primo momento, risultava aggiudicatario il reclamante.

Una società in liquidazione, in relazione ad uno dei lotti in vendita, tuttavia, presentava un'offerta in aumento, di cui la curatela dava comunicazione al giudice delegato e non all'aggiudicatario; considerato che l'offerente in aumento aveva chiesto di decidere sulla sospensione delle operazioni di vendita ex art. 108 l.fall., la curatela disponeva pertanto la sospensione della vendita ex art. 107 l.fall. e la riapertura della gara in forma ristretta tra i due offerenti.

L'aggiudicatario presentava così reclamo ex art. 36, comma 1, l.fall., avverso al provvedimento del curatore, evidenziando che il disciplinare di vendita non consentiva in realtà offerte in aumento.

A fronte del rigetto del gravame, perché tardivo, il reclamante ricorreva ai sensi dell'art. 36, comma 2, deducendo la tempestività dell'impugnazione, l'illegittimità della sospensione della procedura e della sua riapertura ex art. 107, comma 4 e 108, comma 1, l.fall. da parte del curatore e la mancata adozione di alcun provvedimento al riguardo da parte del giudice delegato, poiché la decisione di sospendere la procedura era stata autonomamente presa dal curatore.

Chiedeva, quindi, l'annullamento della decisione con cui la curatela aveva sospeso la vendita e la conferma dell'aggiudicazione già avvenuta in suo favore.

La curatela, da parte sua, insisteva per la tardività del reclamo e chiedeva, comunque, dichiararsi l'infondatezza del gravame. Analoghe difese spiegava la società.

Il gravame è stato dichiarato ammissibile, perché tempestivo, ma è stato rigettato perchè infondato nel merito.

Il dies a quo del termine di impugnazione ex art. 36, comma 1, l.fall. decorre dalla effettiva conoscenza dell'atto

La prima questione sottoposta all'attenzione del Tribunale di Roma concerne la tempestività del reclamo proposto ai sensi dell'art. 36, comma 1, l.fall. avverso agli atti del curatore.

È bene ricordare che tale disposizione, così come modificata in esito alla riforma del 2006, non ammette più il reclamo contro gli atti del curatore (e del comitato dei creditori) per ragioni di merito, ma solo per violazione di norme procedurali.

Essa fissa in otto giorni dalla “dalla conoscenza dell'atto” (o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere) il termine entro il quale il fallito e gli interessati sono legittimati a ricorrere al giudice delegato contro gli atti di amministrazione del curatore, contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori e i relativi comportamenti omissivi.

Ebbene, nella specie, il gravame è stato dichiarato tardivo, in quanto sarebbe stato proposto oltre il termine predetto.

Il caso di specie offre quindi al Tribunale l'occasione per soffermarsi sulla più specifica questione relativa al dies a quo a partire dal quale deve ritenersi inizi a decorrere il termine di impugnazione del provvedimento, in altre parole, di stabilire il momento effettivamente coincidente con quello della legale conoscenza dell'atto oggetto di impugnazione da parte del ricorrente.

Ponendosi in senso diametralmente opposto rispetto a quanto ritenuto dal g.d., il Tribunale osserva infatti come il dies a quo del termine di impugnazione coincida non con la data in cui il notaio aveva ricevuto l'informativa dall'aggiudicatario (con cui lo si notiziava della riapertura della gara), ma con quella in cui il curatore aveva effettivamente comunicato al ricorrente la sospensione della vendita ai sensi dell'art. 107 l.fall.

In effetti, la soluzione appare ragionevole, tanto più se si considera che lo stesso giudice delegato, nel motivare la censura di tardività del reclamo faceva esso stesso riferimento al momento in cui non il ricorrente, ma il notaio incaricato delle operazioni di vendita era venuto a conoscenza dell'offerta in aumento presentata dalla società concorrente.

Al contrario, la riforma del provvedimento del giudice adito, da parte del Tribunale, risulta orientata dalla superiore esigenza di garantire il rispetto del principio di effettiva conoscibilità dell'atto, nonché ispirata da una lettura che riporta “a sistema” la disciplina fallimentare nel contesto delle impugnazioni più in generale e della tutela costituzionalmente garantita.

Più esattamente, la necessità di assicurare il rispetto del principio di effettivitàdella tutela giurisdizionale, in uno con la tutela costituzionale del diritto di agire e difendersi in giudizio ex art. 24 Cost., porta il Tribunale a disattendere una lettura “superficiale” della disposizione, che faccia coincidere il momento della decorrenza del termine con quella della conoscibilità dell'atto, per preferire, invece, la effettiva conoscenza del provvedimento impugnato.

È invero da condividersi quanto osserva al riguardo il Tribunale, ossia che la previsione oggetto di interesse postula, piuttosto, l'esistenza dei presupposti in presenza dei quali la statuizione ritenuta lesiva possa essere concretamente conosciuta di modo da consentire, al destinatario ovvero a qualunque soggetto ad essa passivamente interessato, di poter operare le proprie valutazioni per l'eventuale impugnativa (non sembrerebbe porsi nella stessa direzione la decisione di Trib. Trento, 7 novembre 2017, secondo cui “una ricostruzione ermeneutica dell'art. 36 l. fall., che equipara la conoscenza effettiva ed integrale dell'atto da impugnare alla sua conoscibilità con l'uso dell'ordinaria diligenza, non comporta alcuna compromissione del diritto di difesa della parte legittimata al reclamo e realizza un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco: non pare, infatti, ragionevole che le esigenze di speditezza della procedura, rispondenti ad un interesse pubblico, possano soccombere pur quando l'onere di diligenza richiesto alla parte si presenti minimo, consistendo nella semplice presentazione di una tempestiva istanza di accesso agli atti. Al tempo stesso, questa ricostruzione appare coerente col disposto dell'art. 26 l.fall., ove l'esigenza di consolidamento degli atti della procedura è talmente avvertita che tale effetto consegue, ‘in ogni caso', al decorso del termine di novanta giorni dal compimento dell'atto, e quindi anche a prescindere dalla sua conoscenza o conoscibilità”).

Gli atti del curatore difformi rispetto al disciplinare di vendita (e non al programma di liquidazione) non sono impugnabili

Come si è accennato, sebbene sia stato dichiarato ammissibile in punto di rito, il reclamo avverso al decreto del giudice delegato, ex art. 36, comma 2, l.fall., è stato rigettato perchè ritenuto infondato nel merito.

Precisamente, il giudice del gravame ha ritenuto di dover disattendere la ricostruzione proposta dal ricorrente, secondo il quale la decisione della curatela di riaprire la gara e di sospendere la vendita (nella quale il ricorrente medesimo era già risultato aggiudicatario) sarebbe risultata in contrasto con quanto previsto dal disciplinare di vendita dell'immobile (in ogni caso solo una volta che sia stato versato il prezzo di acquisto del bene segue l'effetto traslativo della proprietà dello stesso in capo all'aggiudicatario.

Vale la pena segnalare, sul punto, un caso nel quale la Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato inammissibile il reclamo proposto dalla fallita avverso il provvedimento del giudice delegato sull'istanza di sospensione ex art. 108 l. fall., proposta quando la vendita si era ormai perfezionata a seguito del pagamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario.

La Cassazione ha infatti osservato che “in tema di liquidazione dell'attivo fallimentare, la vendita di beni mobili a regime competitivo disposta ai sensi dell'art. 107 l.fall., nel testo novellato dal d.lgs. n. 5 del 2006, anche in mancanza di un decreto di trasferimento del giudice delegato non può equipararsi a quella volontaria, sicché l'effetto traslativo del bene non dipende dal consenso del curatore (che non assume il ruolo di parte), ma, in ragione della natura di vendita coattiva, si verifica esclusivamente con l'integrale pagamento del prezzo”. Cass., 25 ottobre 2017, n. 25329).

Quest'ultimo rappresenta, com'è noto, il documento, allegato al bando di gara, che disciplina le modalità della vendita e che, nella specie, non prevedeva alcuna possibilità di riapertura della gara per offerte in aumento in seguito all'aggiudicazione.

Il Tribunale perviene in questo caso ad una pronuncia di rigetto del reclamo proposto sulla scorta dell'interpretazione degli artt. 104 ter e 107 l.fall.

Si osserva che l'attività di gestione della procedura fallimentare presuppone la preventiva redazione, da parte della curatela (entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario e, in ogni caso, non oltre centottanta dalla sentenza dichiarativa di fallimento, pena la revoca del curatore nel caso in cui non sia rispettato senza giustificato motivo), di un piano programmatico nel quale deve essere resa specifica indicazione anche delle condizioni di vendita dei singoli cespiti.

Giova ricordare che, in base all'art. 104 ter l.fall. , introdotto nel 2007, il programma di liquidazione deve indicare l'opportunità di disporre l'esercizio provvisorio o l'affitto dell'impresa o di singoli rami di essa, la eventuale esistenza di proposte di concordato e il loro contenuto, le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare ed il possibile esito, le possibilità di cessione unitaria dell'azienda, di singoli rami di essa o di suoi di beni o rapporti giuridici, le condizioni della vendita dei singoli cespiti e il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell'attivo.

Tale programma deve essere approvato dal comitato dei creditori o dal g.d. e la sua attuazione autorizzata dallo stesso giudice ex art. 104 ter l.fall.

Tale disposizione ha invero introdotto ex novo nella legge fallimentare l'istituto del piano di liquidazione che il curatore deve presentare al comitato dei creditori, strumento, questo, che mira ad una maggiore speditezza e semplificazione della procedura fallimentare.

D'altra parte, l'art. 107, comma 4, l.fall. , autorizza il curatore a sospendere la vendita nel caso pervenga un'offerta irrevocabile di acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto.

La disposizione, in altre parole, consente una sorta di deformalizzazione della procedura, rispetto a quanto stabilito nel programma di liquidazione, a patto che ciò risulti comunque rispettoso dei principi di pubblicità e competitività che informano la procedura.

Sul punto, Cass. 5 marzo 2014, n. 5203, ha chiarito che “l'art. 107, quarto comma, l.fall., così come riformato dall'art. 94 d.gs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dall'art. 7 d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nello stabilire che il curatore fallimentare “può” e non “deve” sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto, gli attribuisce per ciò stesso un potere discrezionale con riguardo alla valutazione dell'effettiva convenienza della sospensione (e del conseguente, necessario, rinnovo della procedura adottata per la liquidazione dei beni), che non si basa su di un mero calcolo matematico, ma ben può sorreggersi sulla considerazione di elementi di natura non strettamente economica (quale, nella specie, l'opportunità di procedere ad una rapida chiusura della procedura fallimentare), con la conseguenza che, ove non appaia fondato su presupposti palesemente errati o su motivazioni manifestamente illogiche o arbitrarie, si sottrae al sindacato giurisdizionale”.

Vale la pena ricordare che l'art. 107 suddetto è applicabile soltanto nel caso in cui in sede di programma di liquidazione sia stata scelta una modalità di alienazione alternativa a quelle previste dal codice di rito.

Secondo la giurisprudenza, la sua funzione è infatti quella di consentire alla procedura la massimizzazione delle utilità percepibili dalla dismissione dei cespiti rientranti nel proprio compendio attivo per la successiva devoluzione al ceto creditorio, in coerenza con le tipiche finalità del fallimento (Cass., 11 aprile 2018, n. 9017).

Ebbene, prendendo le mosse dalla lettura combinata di tali disposizioni, il Tribunale evidenzia come il programma di liquidazione rappresenti il fulcro della procedura di liquidazione, con la conseguenza che in tanto il reclamo avverso agli atti del curatore potrebbe dirsi legittimo, in quanto l'agire del professionista abbia effettivamente integrato una violazione delle norme stabilite all'interno del programma stesso.

In effetti, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'omessa impugnazione del programma di liquidazione approvato ex art. 104 ter l.fall. non preclude all'interessato l'impugnazione dei provvedimenti attuativi del medesimo, considerata la natura di pianificazione ed indirizzo generale del detto programma.

Ciò in quanto il programma, in sé considerato, è inidoneo ad incidere immediatamente su specifiche situazioni di diritto soggettivo, dunque è privo dell'attitudine al giudicato.

Ciò nondimeno (e pertanto) eventuali impugnazioni devono essere dirette nei confronti degli atti attuativi dello stesso (Cass. 6 settembre 2019, n. 22383.

In senso analogo, la giurisprudenza esclude anche la ricorribilità per cassazione del provvedimento adottato sul reclamo da parte del giudice delegato, sul presupposto che sia anch'esso priva di efficacia decisoria. Cfr. in particolare, Cass. 3 luglio 2019, n. 17835, che ha escluso la natura decisoria “degli atti che sono espressione dei poteri ordinatori del tribunale e del giudice delegato, in quanto le decisioni del tribunale sulle corrispondenti tipologie di reclami attengono esclusivamente alla individuazione delle modalità ritenute più opportune per amministrare in modo appropriato e utile alla massa il patrimonio del fallito, atteso che di siffatta amministrazione il fallito è stato spogliato con la dichiarazione di fallimento.
I relativi provvedimenti non assumono dunque carattere decisorio, perché non è previsto un diritto del fallito di determinare le decisioni gestionali degli organi della procedura; e non possiedono neppure carattere definitivo, poiché la corrispondente scelta gestoria è sempre suscettibile di modificazione, salva l'eventuale maturazione medio tempore di incompatibili diritti di terzi (…).

Non è pertanto impugnabile per cassazione il provvedimento adottato dal tribunale a seguito di reclamo proposto avverso il decreto del giudice delegato di autorizzazione alla derelizione di un compendio aziendale, comprensivo di sito di discarica e connessi impianti”).

Ebbene, ciò non è però quanto accaduto nel caso sottoposto all'attenzione del Tribunale: il ricorrente lamentava la contrarietà dell'operato della curatela non al programma di liquidazione, ma al regolamento allegato, cioè nel disciplinare, che è tutt'altra cosa rispetto al primo e che non riveste una importanza equiparabile a quella del primo nel contesto della procedura.

Il giudice del gravame ha dunque (opportunamente) osservato che “in tema di vendite effettuate dal curatore ai sensi dell'art. 107 l.fall. (nel caso di specie affidate ad un notaio), la clausola che limita o esclude la possibilità di formulare offerte migliorative non inferiori al dieci per cento non può essere impugnata ai sensi dell'art. 36 l.fall. qualora non sia contenuta nel programma di liquidazione approvato dal giudice delegato”.

Ciò in quanto non potrà considerarsi un atto attuativo del programma stesso.

Sommario