La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, accoglie il ricorso della danneggiata e cassa, con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, la decisione impugnata.
Osserva, anzitutto, la Suprema Corte, richiamando la propria recente decisione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., ordinanza 30 giugno 2022, n. 20943), come la responsabilità ex art. 2051 c.c. abbia natura oggettiva e discenda dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale, dal fatto di un terzo o dal fatto della stessa vittima.
Tale essendo la struttura della responsabilità ex art. 2051 c.c., l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella sola dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando, a carico del custode, l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito.
Pertanto, nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto ruota attorno ad un accertamento di tipo causale (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura “insidiosa” o la circostanza che l'insidia fosse o meno “percepibile ed evitabile” da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.).
Infatti, al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno, e ciò si veridica quando è sia colposa che oggettivamente imprevedibile e imprevenibile tanto da determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell'evento di danno).
Del resto, come più volte affermato (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 16/2/2021, n. 4035; Cass. Civ., Sez. III, sentenza 20/11/2020, n. 26524; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837) la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità della sua condotta da parte del custode“ ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basti, di per sé, ad escludere la responsabilità del custode; questa è, infatti, esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che “praevideri non potest”.
L'esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c., pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento:
a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente;
b) che quella condotta non fosse prevedibile da parte del custode.
Stabilire, poi, se una certa condotta della vittima di un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui sia imprevedibile (in quanto eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata) è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito il quale non può astenersi dal compierlo limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.
Nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può, evidentemente, sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente) sicché deve, allora, ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione potenzialmente pericolosa della cosa e l'agire umano.
Ciò non significa, peraltro, che tale condotta (ancorché non integrante il fortuito) non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma questo non può avvenire all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, comma 1, c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, comma 2, c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte.
Conseguentemente, va ribadito il principio di diritto secondo cui “ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1° o 2° co. C.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno”.
Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte territoriale è incorsa in plurimi errori di diritto che l'hanno condotta a prescindere del tutto dalla normativa applicabile (quella appunto di cui all'art. 2051 c.c.) che avrebbe comportato, una volta accertata la dinamica prospettata dalla danneggiata (in termini di caduta conseguente alla perdita di equilibrio determinata dalla buca), la necessità di verificare se il custode (il Supercondominio) avesse fornito la richiesta prova del fortuito.
Invero, la Corte d'Appello, dopo avere correttamente evidenziato l'onere del custode “di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale”, ha, tuttavia, “virato” su un tema diverso, affermando che, “per la prova del nesso causale, occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno”, per giungere, poi, ad escludere che il sinistro si fosse verificato “a causa di una situazione di obiettiva pericolosità” (e ciò sull'assunto che la buca, data anche la situazione di piena luce naturale, era ben visibile da parte della danneggiata che, peraltro, conosceva i luoghi e che, scendendo dal marciapiede, era tenuta a particolare attenzione nel regolare il passo), concludendo che il sinistro si era verificato per una “colpevole distrazione” della vittima.
Da ciò emerge come la Corte territoriale “non ha compiuto alcun accertamento sulla ricorrenza del fortuito” (quale elemento estraneo alla serie causale riferibile al modo di essere della cosa, imprevedibile ed inevitabile e tale, quindi, da elidere il nesso causale con la stessa), “ma si è limitata a valutare se la cosa presentasse una situazione di obiettiva pericolosità, con ciò compiendo un accertamento (costituente una riedizione della superata teorica della “insidia o trabocchetto”) che è del tutto inconferente nella cornice dell'art. 2051 c.c.”.
Tant'è che, nella fattispecie regolata dall'art. 2051 c.c. “rilevano esclusivamente il riscontro dell'incidenza causale del modo di essere della cosa” (ad esempio, l'esistenza della buca) “nel determinismo del danno” (ad esempio, le lesioni conseguite alla caduta) “e l'indagine su eventuali elementi esterni, imprevedibili e inevitabili, che abbiano sviluppato un'autonoma ed esclusiva incidenza causale“ (ad esempio, la condotta della vittima abnorme, anormale, insensata, irragionevole, mai vista prima, estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto) “tale da elidere o rendere irrilevante ogni nesso con la presenza della buca”.
Inoltre, nel caso di specie, la Corte territoriale “ha mostrato (implicitamente) di aderire ad una nozione di caso fortuito comprendente anche la condotta colposa del danneggiato, senza tuttavia tener conto della necessità di verificare se detta condotta presentasse anche i requisiti della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del custode”.
È pacifico, infatti, che il consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia possa escludere la responsabilità del custode solo “ove sia colposa ed imprevedibile” (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837), ossia “quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo” (Cass. Civ., Sez. III, 18/9/2015, n. 18317), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente” carattere di imprevedibilità ed eccezionalità” (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 5/2/2013, n. 2660).
Peraltro, in tal senso sono orientati anche i più recenti arresti di legittimità, che, pur affermando che “il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 1°c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno”, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire “quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 03/04//2019, n. 9315; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 01/02/2018, n. 2480).
In conclusione, non rilevano, dunque, la pericolosità della cosa e la correlata prevedibilità del danno, quanto, piuttosto, il fatto che la cosa abbia (in concreto) avuto incidenza causale nella sua produzione, mentre i profili della non prevedibilità e non prevenibilità assumono rilevanza in relazione a un diverso elemento, ossia al fatto esterno (naturale o di un terzo o della stessa vittima) che il custode abbia individuato come caso fortuito, dovendosi, peraltro, escludere che il mero rilievo di una condotta colposa della vittima possa valere, se non connotato da imprevedibilità e inevitabilità, a integrare il fortuito (potendo, al più, rilevare ai fini dell'applicazione dell'art. 1227 c.c.).
Orbene, nella caso di specie, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi sottesi alla norma di cui all'art. 2051 c.c. avendo ritenuto assorbente, ai fini dell'integrazione del caso fortuito, il mero accertamento della condotta colposa della danneggiata senza, nel contempo, accertare se detta condotta presentasse anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno ovvero potesse ritenersi un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.