Adozione e maternità surrogata: la CEDU restringe ancora il margine di discrezionalità degli Stati

Paolo Bruno
19 Gennaio 2023

La pronuncia in commento aggiunge un altro capitolo alla nutrita serie delle decisioni con cui i giudici di Strasburgo hanno analizzato – da diversi punti di vista – la tematica del riconoscimento dei legami familiari derivanti da accordi di maternità surrogata.
Massima

Tenuto conto del principio essenziale secondo il quale, ogni volta che la situazione di un minore è in questione, l'interesse superiore di quel minore è preminente, e considerato che al riguardo due fattori hanno un peso particolare: l'interesse primario del minore, e il conseguente ridotto margine di discrezionalità dello Stato, la Corte non ritiene che le autorità dello Stato convenuto, impedendo che il secondo e il terzo ricorrente fossero adottati dalla prima ricorrente, abbiano trovato un giusto equilibrio tra – da un lato – l'interesse specifico dei figli a ottenere un rapporto giuridico di filiazione con la madre intenzionale, e – dall'altro – i diritti altrui, vale a dire quelli che, in linea generale ed astratta, rischiano di essere lesi da accordi commerciali di maternità surrogata

Il caso

Nel dicembre 2013 nasceva in Ucraina una coppia di gemelli a seguito di un accordo di maternità surrogata stipulato tra i genitori intenzionali (di nazionalità danese) e la madre biologica (ucraina). Le autorità ucraine rilasciavano alla coppia un certificato di nascita in cui entrambi erano indicati quali genitori. Al rientro in Danimarca, tuttavia, la coppia presentava domanda di adozione da parte della madre (essendo, il marito, genitore biologico dei bambini) che tuttavia veniva rigettata dalle autorità danesi in quanto il periodo da lei trascorso con i figli al momento della domanda era inferiore a quanto prescritto dalla legge; una successiva domanda di stepchild adoption da parte della donna veniva parimenti rigettata in quanto la surrogazione di maternità era stata conclusa a titolo oneroso e come tale violava la legge danese sulle adozioni. La decisione delle autorità amministrative veniva successivamente confermata dalla Corte Suprema, che tuttavia in motivazione sottolineava come il diveto assoluto di adozione nel caso specifico ponesse un problema di violazione del diritto dei minori al rispetto della loro vita privata ai sensi dell'art.8 CEDU di cui il legisltore danese avrebbe dovuto farsi carico.

La questione

La Corte EDU ha affrontato il tema della compatibilità del rifiuto della stepchild adoption di minori nati da accordi di maternità surrogata con l'art.8 della Convenzione. In particolare i giudici di Strasburgo hanno esaminato l'impatto delle decisioni nazionali, che hanno applicato il rigido divieto di adozione in caso di accordo a titolo oneroso, rispetto al diritto al riconoscimento giuridico di un legame parentale tanto del genitore d'intenzione che dei minori. In questo senso, l'analisi giuridica è stata condotta dalla duplice prospettiva della violazione del diritto al rispetto della vita familiare dei ricorrenti e del diritto al rispetto della loro vita privata.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha innanzitutto rilevato che le circostanze del caso di specie non consentivano di apprezzare una violazione del diritto al rispetto della vita familiare dei ricorrenti. Ed invero, non solo essi stessi non avevano allegato di aver incontrato particolari ostacoli né inconvenienti dal punto di vista della dimensione familiare del loro legame, ma ciò era pure evincibile dal fatto che essi avevano vissuto insieme ininterrottamente dal 2014, che i minori avevano ottenuto la nazionalità danese e che i genitori avevano ottenuto la custodia congiunta dei figli.

Per quanto invece attiene al profilo del diritto al rispetto della vita privata, la Corte ha richiamato i propri precedenti in materia – segnatamente le sentenze Mennesson e Paradiso e Campanelli – con i quali aveva chiarito che in una materia così delicata, e nella quale non vi era consenso tra gli Stati parte del Consiglio d'Europa, il margine di discrezionalità riconosciuto a questi ultimi era particolarmente ampio e che tuttavia esso andava scrutinato alla luce del superiore interesse del minore (da considerarsi preminente).

Sulla scorta di tali premesse, i giudici di Strasburgo hanno quindi ritenuto insussistente la violazione dell'art.8 CEDU con riguardo al diritto al rispetto della vita privata azionato dalla madre di intenzione, in quanto controbilanciato dall'opposto interesse generale volto ad evitare che la genitorialità possa essere ottenuta mediante accordi commerciali in danno di madri portatrici vulnerabili.

A diversa conclusione – seppure con una ristretta maggioranza di quattro voti contro tre – la Corte è invece pervenuta rispetto alla lamentata violazione del diritto al rispetto della vita privata dei minori. Da questa prospettiva essa ha infatti rilevato che le proprie precedenti pronunce (tra cui il parere consultivo reso il 10.04.2019 su domanda della Corte di Cassazione francese) avevano preso in considerazione situazioni in cui o l'adozione non era stata chiesta oppure non era possibile, mentre nel caso di specie essa non era stata consentita dalle autorità nazionali e non esistevano nell'ordinamento giuridico danese percorsi alternativi di riconoscimento del legame familiare.

Ciò posto, ha riscontrato una violazione dell'art.8 della Convenzione con riguardo al diritto dei minori al rispetto della loro vita privata, per non essere stato loro riconosciuto dal punto di vista giuridico il legame, esistente di fatto, con il genitore di intenzione.

Osservazioni

La pronuncia in commento aggiunge un altro capitolo alla nutrita serie delle decisioni con cui i giudici di Strasburgo hanno analizzato – da diversi punti di vista – la tematica del riconoscimento dei legami familiari derivanti da accordi di maternità surrogata: da un lato (tra le altre, Mennesson c. Francia, Labassee c. Francia, D. e altri c. Belgio) affermando che il diritto del minore al rispetto della vita privata esige che il diritto interno preveda la possibilità di riconoscere il rapporto giuridico tra un minore nato a seguito di un contratto di maternità surrogata concluso all'estero e il padre intenzionale, qualora egli sia il padre biologico; dall'altro (parere consultivo del 10.04.2019) ribadendo che il diritto del minore al rispetto della sua vita privata esige anche che la legislazione interna preveda la possibilità di riconoscere il rapporto giuridico di filiazione con la madre intenzionale quando egli sia stato concepito utilizzando gli ovuli di una donatrice terza, e la madre intenzionale sia designata quale madre legale nel certificato di nascita stabilito all'estero.

In particolare, per quanto attiene all'adozione quale mezzo di riconoscimento del legame di cui sopra, la Corte si è espressa tanto nel caso in cui la richiesta di adozione era stata successivamente ritirata (Valdís Fjölnisdóttir e altri c. Islanda) quanto nel caso in cui alla stessa non aveva acconsentito il padre biologico (A.M. c. Norvegia) ma non aveva ancora analizzato un caso di ricorso del minore a fronte del rifiuto opposto dalle autorità nazionali alla sua adozione da parte del genitore intenzionale (nella nota sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia la fattispecie era simile ma il minore non era ricorrente).

Nel caso in commento dunque i giudici hanno ritenuto che l'impossibilità assoluta di essere adottati dal genitore intenzionale costituisce violazione del diritto al rispetto della vita privata dei minori, alla luce del superiore interesse di costoro e del fatto che esso va considerato “preminente” rispetto agli altri interessi in gioco, specialmente quello generale a non consentire la mercificazione del corpo femminile ed il commercio di esseri umani. Ancora una volta, dunque, hanno ribadito che gli Stati – ferma restando la discrezionalità nel quomodonon hanno margini di apprezzamento nell'an e devono assicurare al minore un quadro legale entro cui incardinare il legame parentale.

Va tuttavia osservato che la decisione della Corte europea è stata adottata con la maggioranza più risicata (4 voti a 3) e che nell'opinione dissenziente la minoranza ha opposto argomentazioni dalle quali può evincersi la particolare difficoltà di trovare il giusto compromesso tra opposti interessi; a fronte di ciò la maggioranza ha deciso di dare prevalenza a quello del minore, sulla base di una interpretazione del concetto che è stata criticata a partire dal dato letterale. I giudici Kjølbro, Koskelo e Yüksel hanno invece attirato l'attenzione sul fatto che tanto nell'art.3(1) della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo quanto nell'art.24(2) della Carta dei diritti fondamentali dell'UE si afferma che all'interesse del minore va data una considerazione di primaria importanza (shall be a primary consideration) e non che esso è preminente (paramount): diversamente ragionando, qualunque altro diritto – anche fondamentale ed assoluto – sarebbe recessivo rispetto a quello del minore.

È anche vero, tuttavia, che la stessa Convenzione ONU all'art. 21 specificamente dettato in tema di adozione definisce a chiare lettere tale interesse come “di fondamentale considerazione” ma il termine andrebbe contestualizzato, per riportarlo piuttosto nel quadro di un auspicio a che l'adozione sia disposta con le dovute garanzie e controlli a tutela di interessi tanto generali quanto particolari.

Sullo sfondo di tali osservazioni resta un tema che ha a che fare con la latitudine del campo di indagine della Corte, che pare estendersi e comprimere sempre più il margine di apprezzamento che pure agli Stati essa riconosce. Non vi è dubbio che, a fronte della precisa scelta politica di uno Stato di contrastare con ogni mezzo una pratica medica giudicata intollerabile, stabilire per via giudiziaria che esso deve comunque offrire un quadro legale di riconoscimento dei legami da quella pratica derivanti (seppure lasciando ad esso la scelta dello strumento più appropriato) equivale a fare in modo che quello Stato debba sempre riconoscere, in un modo o nell'altro, detti legami e – come pure riconoscono i giudici dissenzienti – corrisponde in fin dei conti ad ammettere l'esistenza di un “diritto ad avere un figlio attraverso una pratica di surrogazione commerciale”.

Ciò anche laddove le autorità nazionali – come nel caso danese – abbiano constatato che la situazione familiare dei minori era adeguatamente rassicurante (famiglia riunita, riconoscimento della nazionalità ai minori e loro custodia congiunta da parte di entrambi i genitori) e la stessa Corte di Strasburgo abbia, per gli stessi motivi, rigettato il motivo di ricorso relativo alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare di tutti i ricorrenti.

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