Analoghi presupposti e finalità, diverse forme tecniche: nuovi strumenti di regolazione della crisi e formazione del consenso dei creditori

Stefano Morri
Massimiliano Poppi
19 Gennaio 2023

Il CCII prevede un numero significativo di strumenti di regolazione della crisi d'impresa, al fine di agevolare il più possibile l'accesso delle imprese in difficoltà ad un quadro di risanamento. L'articolo prende in esame tali strumenti, soffermandosi in particolare sulle analogie, sulle diversità nella descrizione normativa e sull'obiettivo comune dell'accordo con i creditori, che può essere raggiunto attraverso diverse forme di adesione da parte dei creditori.
Premessa

Il Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza offre alle imprese un numero significativo di strumenti di regolazione della crisi.

L'obiettivo è di agevolare quanto più possibile l'accesso delle imprese in difficoltà ad un quadro di risanamento, tenendo conto delle loro specifiche caratteristiche, della composizione del ceto creditorio e dello stato, più o meno avanzato, della crisi che viene affrontata.

Gli strumenti di regolazione della crisi (a parte quelli in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento) sono il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione (con le sue ulteriori declinazioni, consistenti negli accordi di ristrutturazione agevolati e negli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e con il particolare istituto della transazione sui crediti tributari e contributivi), la convenzione di moratoria, il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e il concordato preventivo (quest'ultimo con le sue diverse possibili articolazioni e con l'istituto del trattamento dei crediti tributari e contributivi).

Esaminando in modo “trasversale” i sopra citati strumenti di regolazione della crisi, emerge come solo alcuni prevedano un controllo (più o meno pregnante) dell'autorità giudiziaria, rimanendo, in altri casi, valorizzata l'autonomia negoziale nell'addivenire ad un accordo che conduca al superamento dello stato di crisi.

Gli strumenti di regolazione della crisi: presupposti e finalità

Presupposto degli strumenti di regolazione della crisi è lo stato di crisi o di insolvenza dell'impresa. Invero, soltanto nella convenzione di moratoria non viene citato lo stato di insolvenza; esso, in effetti, mal si concilia con la natura stessa dell'istituto, che consiste sostanzialmente in una forma regolamentata di “stand still” negoziata con i creditori.

Si palesano, invece, diversità nella descrizione normativa della finalità dei vari strumenti di regolazione della crisi:

- il piano attestato di risanamento ha la finalità di rivolgere ai creditori un piano, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria;

- gli accordi di ristrutturazione hanno la finalità di trovare, appunto, un accordo con i creditori avente ad oggetto la situazione debitoria dell'impresa;

- la convenzione di moratoria ha la finalità di trovare un accordo diretto a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ed ha ad oggetto dilazioni, rinuncia agli atti, sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito;

- il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione ha lo scopo di trovare un accordo con i creditori, che ne preveda la soddisfazione, suddividendoli in classi, distribuendo il valore generato dal piano anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. Tale istituto risulta una delle più significative novità del Codice della Crisi, in quanto rappresenta una esplicitazione, nella normativa sulla crisi d'impresa, della “relative priority rule”, in luogo, o meglio, a fianco, della regola generale dell'”absolute priority rule”;

- il concordato preventivo ha la finalità di realizzare il soddisfacimento dei creditori mediante diverse forme: la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l'attribuzione delle attività ad un assuntore o “in qualsiasi altra forma”.

Gli strumenti di regolazione della crisi: la formazione del consenso dei creditori

Sebbene vi siano diversità nella descrizione normativa di tali istituti, emerge come “radice comune” l'obiettivo dell'accordo con i creditori.

Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso diverse forme di adesione da parte dei creditori.

Una prima rilevante distinzione è tra istituti che prevedono, o che non prevedono, quale manifestazione e meccanismo di formazione del consenso, il voto dei creditori.

Non prevedono il voto dei creditori:

- il piano attestato di risanamento;

- gli accordi di ristrutturazione;

- la convenzione di moratoria.

Prevedono invece il voto dei creditori:

- il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione;

- il concordato preventivo.

Estremamente diversi sono poi i meccanismi tramite i quali deve avvenire l'adesione dei creditori, sia in caso di mero accordo con i creditori, sia in caso di votazione.

Nel piano attestato di risanamento non è espressamente indicata alcuna “percentuale minima” che il debitore deve conseguire.

Negli accordi di ristrutturazione, invece, sono previste delle percentuali minime di adesione da parte dei creditori, che tuttavia variano nelle sotto tipologie di accordi di ristrutturazione previste dal Codice. Secondo l'art. 57, deve essere raggiunto un accordo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, salvo il pagamento integrale dei non aderenti (entro 120 dall'omologazione, per crediti già scaduti, entro 120 giorni dalla scadenza, per quelli non ancora scaduti). La percentuale scende al 30% negli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60), dove il debitore rinunci alla moratoria nei confronti dei creditori non aderenti e non abbia richiesto o rinunci a richiedere misure protettive.

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61) contemplano un meccanismo che di fatto riduce le percentuali ordinarie sopra indicate. Infatti, attraverso la classificazione, è possibile “costringere” i creditori ad aderire agli accordi laddove vi sia il consenso del 75% degli altri creditori della medesima categoria. In tal modo, di fatto, le percentuali del 60% e del 30% di cui agli artt. 57 e 60 del Codice si possono ridurre fino al 45% e al 22,5% .

La percentuale del 75% di adesioni da parte dei creditori (suddivisi per categorie) si ritrova anche nella convenzione di moratoria.

Maggiori complessità si riscontrano affrontando gli istituti che prevedono il voto dei creditori.

Nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, è richiesta l'approvazione di tutte le classi di creditori. E' richiesta, in ciascuna classe, la maggioranza dei crediti ammessi al voto, oppure il voto favorevole dei due terzi dei votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe (in sostanza, potrà essere sufficiente il voto favorevole dei creditori portanti almeno un terzo dei crediti di ciascuna classe e, di conseguenza, anche del totale dei crediti concorsuali).

Nel concordato preventivo, infine, è previsto un diverso meccanismo di voto a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o di concordato in continuità aziendale.

Nel concordato liquidatorio è richiesta l'approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, è richiesta anche una maggioranza “per teste”: il concordato è infatti approvato se, oltre alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, è stata conseguita la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta inoltre nel maggior numero di classi. Viene dunque previsto un criterio di maggioranza per valore dei crediti, (in alcuni casi) per teste e per classi.

Nel concordato in continuità aziendale è previsto un meccanismo di approvazione analogo a quello del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, ovvero: voto favorevole di tutte le classi e in ciascuna classe approvazione della proposta se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché questi siano titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.

Relativamente al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e al concordato preventivo in continuità aziendale, è possibile dunque svolgere delle considerazioni comuni: per un verso, non è richiesta necessariamente l'adesione da parte di creditori che rappresentino la maggioranza assoluta dei crediti, potendo invece contare su una maggioranza dei favorevoli più qualificata (due terzi), sebbene ristretta ai soli votanti. Tale aspetto può risultare un'agevolazione per il debitore; tuttavia il CCII ha introdotto anche nuovi elementi che possono invece rappresentare un ostacolo all'approvazione.

Nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione è infatti richiesta l'adesione della totalità delle classi, elemento quest'ultimo che potrebbe limitare il successo dell'istituto. Ciò anche alla luce del fatto che l'art. 64-ter “Mancata approvazione di tutte le classi” in realtà finisce sempre per richiedere, per l'omologazione, l'approvazione di tutte le classi, anche dopo lo svolgimento delle operazioni di voto. Risulta escluso l'istituto del cram down da parte del Tribunale, come risulta espressamente dal comma 9 dell'art. 64-bis che esclude l'applicazione dell'art. 112 a tale procedura.

Nel concordato preventivo in continuità aziendale può invece essere invocato, in caso di una o più classi dissenzienti, il cram down da parte del Tribunale, laddove tuttavia ricorrano, congiuntamente, le condizioni indicate l'art. 112, comma 2, e segnatamente che (i) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle prelazioni, (ii) il valore che eccede quello di liquidazione sia distribuito in modo tale che le classi dissenzienti ricevano un valore almeno pari a quello delle classi di medesimo grado e più favorevole rispetto alle classi di grado inferiore, (iii) nessun creditore riceva più di quanto gli spetta in base al proprio credito e (iv) la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi e figurino tra queste classi formate da prelazionari o, in mancanza, che tra le classi aderenti alla proposta ve ne sia almeno una che risulterebbe almeno parzialmente soddisfatta anche non solo sul valore di liquidazione ma anche su quello eccedente ad esso (condizione questa che tende ad evitare che la maggioranza di classi aderenti alla proposta sia formata solo di creditori che nulla avrebbero da perdere nello scenario della liquidazione giudiziale).

Da rilevare infine la norma di raccordo tra piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e concordato preventivo, prevista dall'art. 64-quater: se il piano non è approvato da tutte le classi, il debitore può modificare la domanda formulando una proposta di concordato. E' previsto anche il passaggio inverso (da concordato preventivo a piano di ristrutturazione) sino a che non sono iniziate le operazioni di voto.

E' evidente che gli avanzamenti portati dal Codice in punto di graduazione delle soddisfazioni, rinunciando alla rigida regola della “absolute priority rule” per abbracciare nel concordato in continuità e nella ristrutturazione soggetta a omologazione quella della “relative priority rule”, sono stati bilanciati dalla richiesta che le proposte siano approvate da tutte (e non solo dalla maggioranza delle) classi – richiesta temperata dal meccanismo del cram down (condizionato) nel concordato in continuità ma non nella ristrutturazione soggetta a omologazione. Il successo di tale ultimo istituto è appeso dunque alla ricerca del consenso di tutte le classi, condizione difficile a raggiungersi e che potrebbe anzi dare campo a atteggiamenti opportunistici da parte di alcuni creditori. A ciò si aggiunga, sempre con riferimento a tale istituto, la negazione dell'accesso al trattamento dei crediti tributari e contributivi, che configura un vero e proprio vuoto normativo difficilmente colmabile dalla interpretazione “creativa”.

Si vedrà dunque nei prossimi mesi quanto queste oggettive carenze rendano impraticabile la ristrutturazione omologata, che doveva essere la vera novità della riforma. E' evidente che in caso di constatata inapplicabilità della procedura il Legislatore dovrà intervenire, pena la violazione sostanziale del dovere di dare applicazione alla Direttiva Insolvency.

Sommario