Sebbene vi siano diversità nella descrizione normativa di tali istituti, emerge come “radice comune” l'obiettivo dell'accordo con i creditori.
Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso diverse forme di adesione da parte dei creditori.
Una prima rilevante distinzione è tra istituti che prevedono, o che non prevedono, quale manifestazione e meccanismo di formazione del consenso, il voto dei creditori.
Non prevedono il voto dei creditori:
- il piano attestato di risanamento;
- gli accordi di ristrutturazione;
- la convenzione di moratoria.
Prevedono invece il voto dei creditori:
- il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione;
- il concordato preventivo.
Estremamente diversi sono poi i meccanismi tramite i quali deve avvenire l'adesione dei creditori, sia in caso di mero accordo con i creditori, sia in caso di votazione.
Nel piano attestato di risanamento non è espressamente indicata alcuna “percentuale minima” che il debitore deve conseguire.
Negli accordi di ristrutturazione, invece, sono previste delle percentuali minime di adesione da parte dei creditori, che tuttavia variano nelle sotto tipologie di accordi di ristrutturazione previste dal Codice. Secondo l'art. 57, deve essere raggiunto un accordo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, salvo il pagamento integrale dei non aderenti (entro 120 dall'omologazione, per crediti già scaduti, entro 120 giorni dalla scadenza, per quelli non ancora scaduti). La percentuale scende al 30% negli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60), dove il debitore rinunci alla moratoria nei confronti dei creditori non aderenti e non abbia richiesto o rinunci a richiedere misure protettive.
Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61) contemplano un meccanismo che di fatto riduce le percentuali ordinarie sopra indicate. Infatti, attraverso la classificazione, è possibile “costringere” i creditori ad aderire agli accordi laddove vi sia il consenso del 75% degli altri creditori della medesima categoria. In tal modo, di fatto, le percentuali del 60% e del 30% di cui agli artt. 57 e 60 del Codice si possono ridurre fino al 45% e al 22,5% .
La percentuale del 75% di adesioni da parte dei creditori (suddivisi per categorie) si ritrova anche nella convenzione di moratoria.
Maggiori complessità si riscontrano affrontando gli istituti che prevedono il voto dei creditori.
Nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, è richiesta l'approvazione di tutte le classi di creditori. E' richiesta, in ciascuna classe, la maggioranza dei crediti ammessi al voto, oppure il voto favorevole dei due terzi dei votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe (in sostanza, potrà essere sufficiente il voto favorevole dei creditori portanti almeno un terzo dei crediti di ciascuna classe e, di conseguenza, anche del totale dei crediti concorsuali).
Nel concordato preventivo, infine, è previsto un diverso meccanismo di voto a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o di concordato in continuità aziendale.
Nel concordato liquidatorio è richiesta l'approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, è richiesta anche una maggioranza “per teste”: il concordato è infatti approvato se, oltre alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, è stata conseguita la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta inoltre nel maggior numero di classi. Viene dunque previsto un criterio di maggioranza per valore dei crediti, (in alcuni casi) per teste e per classi.
Nel concordato in continuità aziendale è previsto un meccanismo di approvazione analogo a quello del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, ovvero: voto favorevole di tutte le classi e in ciascuna classe approvazione della proposta se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché questi siano titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.
Relativamente al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e al concordato preventivo in continuità aziendale, è possibile dunque svolgere delle considerazioni comuni: per un verso, non è richiesta necessariamente l'adesione da parte di creditori che rappresentino la maggioranza assoluta dei crediti, potendo invece contare su una maggioranza dei favorevoli più qualificata (due terzi), sebbene ristretta ai soli votanti. Tale aspetto può risultare un'agevolazione per il debitore; tuttavia il CCII ha introdotto anche nuovi elementi che possono invece rappresentare un ostacolo all'approvazione.
Nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione è infatti richiesta l'adesione della totalità delle classi, elemento quest'ultimo che potrebbe limitare il successo dell'istituto. Ciò anche alla luce del fatto che l'art. 64-ter “Mancata approvazione di tutte le classi” in realtà finisce sempre per richiedere, per l'omologazione, l'approvazione di tutte le classi, anche dopo lo svolgimento delle operazioni di voto. Risulta escluso l'istituto del cram down da parte del Tribunale, come risulta espressamente dal comma 9 dell'art. 64-bis che esclude l'applicazione dell'art. 112 a tale procedura.
Nel concordato preventivo in continuità aziendale può invece essere invocato, in caso di una o più classi dissenzienti, il cram down da parte del Tribunale, laddove tuttavia ricorrano, congiuntamente, le condizioni indicate l'art. 112, comma 2, e segnatamente che (i) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle prelazioni, (ii) il valore che eccede quello di liquidazione sia distribuito in modo tale che le classi dissenzienti ricevano un valore almeno pari a quello delle classi di medesimo grado e più favorevole rispetto alle classi di grado inferiore, (iii) nessun creditore riceva più di quanto gli spetta in base al proprio credito e (iv) la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi e figurino tra queste classi formate da prelazionari o, in mancanza, che tra le classi aderenti alla proposta ve ne sia almeno una che risulterebbe almeno parzialmente soddisfatta anche non solo sul valore di liquidazione ma anche su quello eccedente ad esso (condizione questa che tende ad evitare che la maggioranza di classi aderenti alla proposta sia formata solo di creditori che nulla avrebbero da perdere nello scenario della liquidazione giudiziale).
Da rilevare infine la norma di raccordo tra piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e concordato preventivo, prevista dall'art. 64-quater: se il piano non è approvato da tutte le classi, il debitore può modificare la domanda formulando una proposta di concordato. E' previsto anche il passaggio inverso (da concordato preventivo a piano di ristrutturazione) sino a che non sono iniziate le operazioni di voto.
E' evidente che gli avanzamenti portati dal Codice in punto di graduazione delle soddisfazioni, rinunciando alla rigida regola della “absolute priority rule” per abbracciare nel concordato in continuità e nella ristrutturazione soggetta a omologazione quella della “relative priority rule”, sono stati bilanciati dalla richiesta che le proposte siano approvate da tutte (e non solo dalla maggioranza delle) classi – richiesta temperata dal meccanismo del cram down (condizionato) nel concordato in continuità ma non nella ristrutturazione soggetta a omologazione. Il successo di tale ultimo istituto è appeso dunque alla ricerca del consenso di tutte le classi, condizione difficile a raggiungersi e che potrebbe anzi dare campo a atteggiamenti opportunistici da parte di alcuni creditori. A ciò si aggiunga, sempre con riferimento a tale istituto, la negazione dell'accesso al trattamento dei crediti tributari e contributivi, che configura un vero e proprio vuoto normativo difficilmente colmabile dalla interpretazione “creativa”.
Si vedrà dunque nei prossimi mesi quanto queste oggettive carenze rendano impraticabile la ristrutturazione omologata, che doveva essere la vera novità della riforma. E' evidente che in caso di constatata inapplicabilità della procedura il Legislatore dovrà intervenire, pena la violazione sostanziale del dovere di dare applicazione alla Direttiva Insolvency.