Prime applicazioni della riforma Cartabia in tema di giudizio abbreviato

Ferdinando Brizzi
20 Gennaio 2023

Le prime applicazioni della riforma Cartabia aiutano a comprendere le ragioni per cui nella relazione del Massimario della Cassazione n. 2/2023 la cd. “riforma Cartabia” venga definita come la prima, vera, riforma organica del sistema processuale penale da quando, nel 1989, fu adottato il modello di processo “accusatorio” e la cui significatività è segnalata, oltre che dal copioso numero di articoli introdotti, anche dal varo di istituti, come la giustizia riparativa, di assoluta novità, probabilmente impensabili sino a pochi anni orsono e dalla evoluzione di altri, come le sanzioni sostitutive, oggi confluite nella nuova categoria delle pene sostitutive delle pene detentive brevi.

Un compendio di tali affermazioni può rinvenirsi nella ordinanza-sentenza 18 gennaio 2023 del Tribunale di Perugia in composizione democratica.

All'udienza del 18 gennaio 2023, la difesa dell'imputato depositava istanza con la quale veniva fatta richiesta di rimessione nel termine per presentare giudizio abbreviato a seguito delle modifiche intervenute con l'entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 alla data del 30 dicembre 2022.

Il suddetto decreto ha infatti inserito il comma 2-bis all'art. 442 c.p.p., con il quale si prevede che, quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna inflitta a seguito di giudizio abbreviato, la pena è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione.

La difesa motivava l'istanza ritenendo la norma di carattere sostanziale, con conseguente applicazione del principio di retroattività favorevole ex art. 2, comma 2, c.p.

Il Tribunale ha ritenuto che la questione sottoposta al suo esame debba essere risolta nel solco di precedenti arresti di legittimità che, rispetto ad analoghi mutamenti in melius degli effetti connessi alla scelta del rito abbreviato, hanno applicato il principio per cui il regime premiale sancito dall'art. 442 c.p.p., pur avendo carattere processuale, ha tuttavia effetti sostanziali in quanto comporta un trattamento sanzionatorio più favorevole.

In particolare, la Corte di Cassazione ha applicato tale principio alla modifica effettuata con l. 103/2017 all'art. 442 c.p.p., comma 2, c.p.p., che ha ampliato l'effetto premiale connesso alla scelta rito nell'ipotesi di contravvenzione (Cass. pen., sez. N, 13 febbraio 2019, n. 12881; Cass. pen., sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 832, Del Prete, Rv. 271752).

In quel contesto è stato peraltro ricordato come l'art. 442, comma 2, c.p.p., determinando effetti sostanziali, deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7, p. 1, CEDU, cosi come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell'art. 25 comma 2 Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa.

È stato anche sottolineato che, sebbene l'art. 442 c.p.p., si inserisca nell'ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale e preveda, in modo peculiare, un più favorevole trattamento penale in considerazione di una condotta dell'imputato successiva al reato, da un lato, la diminuzione o sostituzione della pena è senz'altro un aspetto sostanziale, che ricade, dunque, nell'ambito applicativo dell'art. 25 Cost. comma 2, sicché ne consegue che i profili processuali sono intimamente ed inscindibilmente connessi a quelli sostanziali.

In definitiva, il Giudice ha ritenuto ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all'art. 2 c.p., pur restando tuttora confermato che la riduzione di pena prevista dall'art. 442 c.p.p., comma 2, essendo finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in funzione di una specifica scelta processuale operata dall'imputato, va applicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva anche dell'eventuale aumento per la ritenuta continuazione (Cass. pen., sez. VI, 10 settembre 1992 n. 9622 rv. 191857), e che, comunque, la necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermata 3 dalla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali.

Sicché tali principi, nonostante il contrario avviso del P.M., sono stati ritenuti dal Tribunale applicabili anche in relazione al neo-introdotto art. 442, comma 2-bis, c.p.p., in quanto la norma, pur collegando l'effetto di favore alla mancata impugnazione della sentenza emessa a seguito del rito, si connette comunque a una scelta processuale dell'imputato avente ricadute sostanziali sulla pena irrogata, e, in conseguenza, in applicazione dell'articolo 2 c.p., l'istanza di restituzione nei termini per proporre richiesta di rito alternativo è stata accolta.

Nonostante nel verbale di udienza le ragioni di dissenso del P.M. non siano state esplicitate esse paiono comunque desumili dal fatto la prima udienza dibattimentale durante la quale sono state formulate le richieste istruttorie era già stata celebrata il giorno 15 giugno 2022 e il difensore dell'imputato aveva presentato una lista testi ritenuta inammissibile in quanto tardiva.

Le verosimili ragioni del dissenso del P.M. possono essere più agevolmente comprese alla luce di quanto può leggersi proprio nella relazione del Massimario della Cassazione n. 2/2023. L'art. 442 cod. proc. pen. è stato modificato mediante l'introduzione del comma 2-bis, per effetto dell'art. 24, lett. c), d.lgs. n. 150 del 2022 in base al quale «quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione».

Per effetto della modifica introdotta all'art. 676, comma 1, c.p.p. dall'art. 39, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 150 del 2022, la procedura da seguire da parte del giudice dell'esecuzione è quella “de plano” ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p. cui può seguire l'eventuale opposizione davanti allo stesso giudice che procede nelle forme dell'art. 127 c.p.p.

È necessario, quindi, ai fini della riduzione della pena in esame, l'instaurazione di un sub procedimento esecutivo che, in base ai principi generali ed in assenza di previsioni in senso contrario, potrà essere introdotto anche dal pubblico ministero riguardando l'applicazione dello schema legale del trattamento sanzionatorio. A tale proposito si segnala la rilevanza dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando il giudice dell'esecuzione provvede erroneamente secondo lo schema del procedimento camerale in luogo di quello de plano, il rimedio esperibile è quello dell'opposizione con la conseguenza che l'eventuale ricorso per cassazione proposto deve essere convertito in opposizione e trasmesso al giudice competente sulla stessa.

È stato reiteratamente affermato, infatti, che avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione è data solo la facoltà di proporre opposizione, anche nel caso in cui questi abbia irritualmente deciso nelle forme dell'udienza camerale ex art. 666 cod. proc. pen. anziché " de plano" ai sensi dell'art. 667, comma 4, cod. proc. pen., sicché come tale deve essere riqualificato l'eventuale ricorso per cassazione proposto avverso il suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del "favor impugnationis", con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente. (fra le molte, Cass. pen., sez. I, 9 febbraio 2021, n. 8294, Giarletta, Rv. 280533).

Pare dunque potersi affermare che il Giudice di Perugia, per motivi “sostanziali”, abbia voluto “anticipare” alla fase del “merito” quella in cui è possibile fare applicazione della riduzione di pena previsa dal comma 2 bis all'art. 442 c.p.p. espressamente riservata dal legislatore della Riforma a quella dell'“esecuzione”.